Dopo la revisione del Patto di stabilità, difficilmente l’Italia potrà beneficiare di maggiori margini di manovra rispetto a quelli che ha già utilizzato. La flessibilità per i paesi con un debito elevato non è aumentata, semmai è diminuita. Intanto, le previsioni della Commissione europea danno il nostro disavanzo pubblico al 3,6 per cento del Pil nel 2005. Il ciclo elettorale, con il promesso taglio delle imposte, potrebbe portarlo intorno al 6 per cento nel 2006. Ancor prima che dall’Europa, le sanzioni potrebbero arrivare dai mercati, con un incremento del costo del debito.

La revisione del Patto di stabilità decisa dal Consiglio europeo alla fine di marzo ha diffuso un’atmosfera di ottimismo sulle prospettive dei conti pubblici italiani e sulle nuove possibilità che si aprono per la politica di bilancio che non è giustificata. In realtà, difficilmente l’Italia potrà beneficiare in futuro di maggiori margini di manovra rispetto a quelli che ha già utilizzato. La flessibilità per i paesi con un debito elevato non è aumentata, semmai è diminuita.

Margini di manovra esauriti

Nel documento del Consiglio europeo si prevede di “aumentare l’attenzione sul debito e la sostenibilità” e si stabilisce che “quanto più elevato è il rapporto tra debito e Pil tanto maggiori dovranno essere gli sforzi per ridurlo rapidamente”. In realtà, la revisione del Patto va a vantaggio di paesi come la Germania e la Francia con un debito pubblico relativamente basso che potranno più facilmente (continuare a) superare la soglia del 3 per cento del disavanzo senza incorrere in sanzioni. E in effetti, la stampa internazionale ha interpretato la revisione come una vittoria politica di Germania e Francia. Di vittoria diplomatica dell’Italia hanno parlato solo i giornali italiani. Ma anche tralasciando la questione del debito, gli eventuali margini di manovra sul disavanzo per l’Italia sembrano già esauriti. Le previsioni di primavera della Commissione europea danno il disavanzo pubblico al 3,6 per cento del Pil nel 2005 e al 4,6 per cento nel 2006. Per il 2005 la differenza rispetto all’obiettivo del Governo italiano (2,7 per cento) dipende solo in parte dalla revisione della previsione di crescita del Pil (dal 2,1 all’1,2 per cento). Contano di più i dubbi sull’effettiva portata delle misure decise nella Legge finanziaria, dalla revisione degli studi di settore ai tagli delle spese. In questo, le valutazioni della Commissione coincidono con quelle espresse da tempo da studiosi italiani. Vi è poi la stucchevole questione dell’Anas, che da tre anni il Governo in sede di previsione esclude dall’ambito della Pa, in vista di una trasformazione le cui caratteristiche non vengono mai spiegate.
Ancora più grave il fatto che secondo la Commissione dal 2006 il debito pubblico riprenderà a salire, per la prima volta dopo il 1995, passando dal 105,6 per cento previsto per il 2005 al 106,3 per cento, pur seguendo le indicazioni italiane che stimano nuovi introiti da privatizzazioni nell’ordine dei 26 miliardi l’anno nel 2005 e 2006 (cifre eccezionali che non è chiaro a cosa si riferiscano). Tutto ciò, si badi bene, basandosi sui dati contenuti nella notifica Istat del 1° marzo, non convalidata da Eurostat. Senza tener conto, in altre parole, degli “effetti di trascinamento di potenziali revisioni in aumento” dei dati sul disavanzo e sul debito.  Queste revisioni, dalla discrepanza tra conti di cassa e di competenza al trattamento delle operazioni di Ispa e di Scip, potrebbero avere effetti dirompenti. Solo i finanziamenti di Ispa alla Tav (effettuati mediante l’emissione di titoli con servizio del debito in gran parte a carico dello Stato) valgono circa mezzo punto di Pil, che sarebbe sufficiente, se aggiunto al debito pubblico, a far crescer il rapporto tra debito e Pil già nel 2004. Della vicenda di Scip (la cartolarizzazione di immobili degli enti di previdenza per 6,7 miliardi effettuata nel 2002) ci siamo ampiamente occupati in passato. Presentata come l’ultima frontiera della valorizzazione del patrimonio pubblico, l’operazione Scip sta diventando un’occasione di perdita di credibilità. Con un andamento delle vendite effettive ampiamente al di sotto delle previsioni, per rimborsare i titoli emessi già lo scorso anno si è dovuto far ricorso a un prestito ponte di 800 milioni (con garanzia dello Stato). Quest’anno verranno emessi, a fine aprile, nuovi titoli per 5,4 miliardi (sempre garantiti dagli immobili) per poter rimborsare quelli emessi nel 2002, trasformando la cartolarizzazione in un vero e proprio Ponzi game.

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I pericoli del ciclo elettorale

Insomma le prospettive non sono certo rosee. A ciò si aggiunge il prevedibile ciclo elettorale. L’ultimo, quello del 2001, partiva da una situazione ben diversa da quella odierna: secondo i dati rivisti, nel 2000 il disavanzo era all’1,8 per cento e l’avanzo primario al 4,6 per cento. Il peggioramento nel 2001 fu notevole: disavanzo al 3 per cento e avanzo primario al 3,6 per cento, ma ciò non impedì la diminuzione del rapporto tra debito pubblico e Pil dal 111,2 al 110,7. Questa volta, il ciclo elettorale – a differenza dell’ultima legislatura – sembra non produrrà tanto nuova spesa pubblica, quanto minori imposte. Il taglio ulteriore di un punto di Pil dell’imposta sul reddito, annunciato a più riprese dal Governo, condurrà il disavanzo 2006 nell’intorno del 6 per cento (con la prospettiva di avere per la prima volta dopo il 1990 un saldo primario negativo) e nessuno può sognarsi di pensare che un livello del genere possa rientrare nella flessibilità garantita dal Patto rivisto. Soprattutto, le sanzioni potrebbero arrivare dai mercati, con un incremento del costo del debito che riporterebbe lo squilibrio dei nostri conti su un livello simile a quello del 1996 (quando il disavanzo era al 7,1 per cento del Pil), con prospettive di gran lunga peggiori di allora. Non ci sarebbe più la speranza di guadagnare un dividendo con l’ingresso nella moneta unica e ci presenteremmo con un’eredità che renderebbe molto più arduo ricostruire credibilità e fiducia.

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