La sostituzione dell’Irap pone problemi di gettito, distributivi e allocativi di estrema importanza e di non facile soluzione. Va perciò evitata l’improvvisazione normativa. Un’ipotesi è dividerla in due o più imposte, ciascuna delle quali riferita alle singole componenti della base imponibile. Una completa detassazione del costo del lavoro priverebbe l’erario di 12 miliardi di euro. Meglio allora escludere dall’imposta solo gli oneri sociali. Tanto più se il mancato gettito fosse recuperato con l’unificazione e l’inasprimento delle aliquote sulle rendite finanziarie.

A più di un mese dalle conclusioni dell’avvocato generale della Corte di giustizia europea sull’incompatibilità dell’Irap con le norme comunitarie, non sembra che siano stati fatti passi avanti significativi per trovare possibili vie d’uscita al pasticcio in cui il Governo si trova, anche per non aver voluto adeguatamente difendere un’imposta contrastata da sempre.

Una sostituzione difficile

La sostituzione dell’Irap pone problemi di gettito, distributivi e allocativi di estrema importanza e di non facile soluzione, che andrebbero attentamente studiati. Il rischio è l’improvvisazione normativa, dettata dall’urgenza di evitare un crollo dei prossimi versamenti o una sentenza di condanna della Corte. Il dibattito che si è sviluppato non sembra infatti avere tenuto sufficientemente conto di tre elementi che sono invece fondamentali e fortemente interrelati:
1. Il vincolo di gettito. L’eventuale superamento, integrale o parziale, dell’Irap deve accompagnarsi all’individuazione di entrate sostitutive. Molti degli interventi sul tema sembrano invece dare per scontato che esistano 12 miliardi di sgravio che possono a piacimento essere giocati nella riduzione delle imposte sulle famiglie (Irpef) o sulle imprese (Irap).
2. La coerenza del sistema tributario. L’Irap, con più di 33 miliardi di gettito, è la terza imposta del nostro sistema tributario, dopo Irpef e Iva e porta da sola più del 9 per cento delle entrate tributarie complessive delle amministrazioni pubbliche. La sua sostituzione con altre forme di prelievo pone delicati problemi di ripartizione del carico tributario che non riguardano solo la distribuzione personale e familiare, ma anche quella fra diverse categorie di contribuenti (pensionati, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, ditte individuali, società di persone, società di capitali) e fra diverse tipologie di reddito (di lavoro dipendente e di lavoro autonomo, di impresa e di capitale). Va inoltre valutata in relazione agli effetti economici che si intende perseguire.
3. Le modalità di finanziamento delle Regioni. L’Irap, per quanto imperfetta, ha dotato le Regioni di un’importante forma autonoma di imposizione locale, con caratteristiche che andrebbero preservate.
Con questi tre criteri in mente, si possono valutare le più importanti ipotesi sino ad ora avanzate. È importante ricordare che la base imponibile dell’Irap – il valore aggiunto tipo reddito netto – può essere scomposta, con alcune approssimazioni, nelle seguenti componenti.

Utili (derivanti dall’attività produttiva del soggetto, esclusi quindi proventi finanziari e partite straordinarie) + interessi passivi + costo del lavoro (comprensivo degli oneri contributivi, deducibili dall’imposta sul reddito, ma non dall’Irap).

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L’ipotesi dello” spacchettamento”

Una prima ipotesi consiste nel cercare di salvaguardare le caratteristiche dell’Irap, apportando alcuni aggiustamenti che permettano di aggirare i rilievi che potrebbero essere sollevati dalla Corte di giustizia europea. A tal fine, l’Irap potrebbe essere “spacchettata” e cioè divisa in due o più imposte, ciascuna delle quali riferita a una o più componenti della sua base imponibile, preservando gli effetti complessivi dell’attuale tributo. (1)
In particolare, effetti pressoché equivalenti all’attuale Irap potrebbero essere ottenuti attraverso due tributi separati:
a) una business tax regionale, che abbia come soggetti passivi le imprese e i lavoratori autonomi, con una base imponibile data dal reddito di impresa o di lavoro autonomo, calcolato senza ammettere la deducibilità degli interessi passivi, e con un’aliquota di base del 4,25 per cento. L’indeducibilità (totale o parziale) degli interessi passivi è una caratteristica condivisa da molte importanti imposte prelevate, a livello locale, sulle attività produttive: si pensi ad esempio alla Gewerbesteuer in Germania, alla single business tax del Michigan (Usa) e alla business tax delle municipalità ungheresi. Al contrario di ciò che viene molto spesso sostenuto, l’indeducibilità non si traduce in una discriminazione ai danni delle imprese che si indebitano, ma ha la funzione di ridurre il vantaggio fiscale loro riconosciuto rispetto a quelle che si finanziano con capitale proprio.
b) un contributo sul costo del lavoro (retribuzioni più oneri sociali) – una sorta di “contributo sanitario” – indeducibile dalle imposte sui redditi, anch’esso al 4,25 per cento. (In alternativa, il contributo potrebbe essere deducibile e l’aliquota corrispondentemente aumentata).
Lo “spacchettamento” potrebbe essere ottenuto anche attraverso altre rimodulazioni delle diverse componenti della base imponibile, che rischiano però di introdurre maggiore complessità nel prelievo e sono meno adatte a mantenerne il carattere locale.

Irap e costo del lavoro

Una seconda ipotesi si concentra sulla detassazione dell’intero costo del lavoro o degli oneri sociali. Entrambe le misure potrebbero prevenire i rilievi della Corte, mantenendo un tributo locale analogo alla business tax. Nel primo caso, alla business tax non verrebbe affiancato nessun contributo sul costo del lavoro, mentre nel secondo si aggiungerebbe un contributo commisurato alle sole retribuzioni (al netto cioè degli oneri sociali). Le due misure comportano perdite di gettito molto diverse.
Detassare completamente il costo del lavoro costerebbe circa 12 miliardi di gettito. Avrebbe la finalità dichiarata di ridurre il costo del lavoro e favorire per questa via l’occupazione e la competitività delle imprese.
ipotesi implicita è che la riduzione dell’Irap non vada a favore dei lavoratori e che la riduzione del costo del lavoro si traduca in un contenimento dei prezzi, invece che in un aumento dei profitti. Fra le ipotesi di finanziamento di tale operazione si parla di un aumento dell’addizionale Irpef e/o dell’aliquota dell’Iva. Nel primo caso si tratterebbe di uno spostamento (parziale, in quanto l’addizionale è pagata anche dai lavoratori autonomi e dai proprietari delle piccole imprese) di onere dalle imprese ai lavoratori dipendenti e ai pensionati (i cui redditi rappresentano più di tre quarti della base imponibile dell’addizionale in questione). Nel caso di sostituzione con l’Iva, il plausibile aumento dei prezzi che ne conseguirebbe comporterebbe una redistribuzione dell’onere sui consumatori, con effetti tendenzialmente regressivi.
L’esclusione da imposta della componente del costo del lavoro costituita dagli oneri sociali avrebbe invece la finalità di eliminare un aspetto discusso dell’attuale Irap che, ammettendo la deducibilità degli ammortamenti e non quella dei contributi, discrimina l’impiego del fattore lavoro rispetto a quello del fattore capitale. Si tratterebbe di un intervento da tempo e da più parti suggerito, con un impatto molto più limitato , e di costo più contenuto, 4-5 miliardi, che almeno in parte potrebbero essere recuperati attuando un altro importante intervento di razionalizzazione del prelievo: l’unificazione delle aliquote della tassazione sulle rendite finanziarie a un livello intermedio rispetto ai due attualmente previsti (12 e 27 per cento), e vicino a quello della prima aliquota dell’Irpef. L’imposta sostitutiva sui redditi finanziari potrebbe poi essere fatta oggetto di compartecipazione da parte delle Regioni. In questo modo, si potrebbe sostenere, anche i percettori di rendite finanziarie sarebbero chiamati a concorrere al finanziamento della spesa sanitaria.

La scelta fra queste ed altre ipotesi sul tappeto discende crucialmente dalla risposta che si vuole dare alla domanda: perché sostituire l’Irap? Se lo si fa solo per l’urgenza di evitarne la bocciatura da parte della Corte di Giustizia, la soluzione dello spacchettamento o altre soluzioni che prevedano operazioni di maquillage, modificando il meno possibile la natura, gli effetti distributivi ed economici del prelievo, sono preferibili (ma allora sarebbe stato meglio difendere l’Irap sin dall’inizio!). In caso contrario, i detrattori dell’Irap dovrebbero avere la consapevolezza che si va attorno ad un tributo molto rilevante per il nostro ordinamento, che è stato introdotto dopo anni di studio e di dibattito e che non può essere sostituito con soluzioni improvvisate e pasticciate i cui effetti non siano stati adeguatamente ponderati.

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(1) Un’ipotesi di questo tipo è stata avanzata già diversi anni fa da Salvatore Biasco, presidente della Commissione bicamerale per l’attuazione della riforma fiscale del precedente governo (Commissione dei trenta).

 

 

 

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