Il ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, risponde all’intervento della redazione de lavoce.info.

Martedì 24 maggio, lavoce.info ha pubblicato un articolo che solleva la questione del mio ruolo all’interno del Governo. Rinviando ad altra discussione le molte questioni specifiche su cui non sono d’accordo, vorrei sollevare due punti principali di dissenso.

Primo tema: la descrizione del “ministro tecnico”, che apre l’articolo del 24 maggio, è una caricatura che ignora totalmente la natura del processo decisionale in un Governo.

Il ministro dell’Economia, tecnico o politico, non è un eremita che sta seduto in via XX Settembre, limitandosi a segnalare vincoli, produrre conti trasparenti, calare veti all’occorrenza. Partecipa a un dibattito continuo nel Governo e in Parlamento, ove si compiono scelte democratiche e non tecnocratiche, spesso combattute e frutto di ampio dibattito e compromesso. Le decisioni possono essere, ovviamente, di diversa qualità. Ma lo stereotipo di ministro tecnico descritto non esiste in natura e certamente non corrisponde al mio modo di lavorare.

Secondo tema: il ministro dell’Economia, come compito principale e soprattutto come prima occupazione, formula una politica economica e la sottopone al Consiglio dei ministri, al Parlamento, all’opinione pubblica, ai mercati. A cui risponde. In questo contesto è ovvio che la politica economica, appropriata o sbagliata che sia, non è la somma di atti più o meno ben riusciti in base a canoni accademici, né di schede tematiche settoriali tramutate in legge. È una direzione di marcia complessiva per affrontare i problemi del paese.

L’anno passato, il nostro paese ha approvato una riforma della previdenza che ha reso sostenibile il debito pubblico nel lungo periodo; ha realizzato un forte contenimento della spesa corrente, soprattutto per consumi intermedi e finali, evidenziata proprio nella Trimestrale di cassa; ha introdotto una regola di contenimento della spesa corrente across the board; ha chiuso la stagione dei condoni fiscali e aggiornato gli studi di settore; spinto le privatizzazioni. Tutto ciò per assicurare un bilancio strutturale ragionevole ove spesa ed entrate decrescono in modo sostenibile.

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Quest’anno, il paese si trova a fronteggiare una brusca accelerazione di mali antichi: la bassa dinamica della produttività e della crescita nel settore privato; le compatibilità finanziarie del bilancio pubblico in un contesto di crescita nulla o negativa; delicate situazioni industriali e complesse vicende nel settore creditizio.

Per affrontare tali questioni servono senz’altro misure puntuali.

Ma occorre soprattutto una politica economica condivisa che dia a tutti gli agenti privati un segnale per muovere nella giusta direzione. Una direzione che discuto con i miei colleghi ministri, con la Commissione europea, con le agenzie di rating e gli investitori, e cerco di mettere in pratica tra i molti vincoli. Sinceramente, con i miei colleghi economisti vorrei discutere di questa politica economica. Fatta di decisioni e responsabilità.

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