Al Consiglio europeo si è trovato un accordo sul bilancio dell’Unione per il periodo 2007-2013. Grazie alla mediazione della Germania. La discussione è stata pregiudicata dalla decisione del 2002 di mantenere invariati i tetti per la spesa agricola. Il compromesso raggiunto in extremis non cancella la delusione per un negoziato che poco innova nel bilancio comunitario e rinvia tutte le decisioni al prossimo round, dopo il 2013. Una postilla all’intervento già apparso su questo sito.

Si apre il Consiglio europeo che conclude il semestre di presidenza britannica dell’Unione. Il piatto forte è costituito dalle prospettive finanziarie, cioè l’accordo sulle risorse complessive e le grandi poste di spesa del bilancio dell’Unione nel periodo 2007-2013. I capi di Stato e di Governo si riuniscono in un clima di forte tensione, con uno schieramento molto ampio deciso a respingere l’ipotesi di compromesso avanzata nei giorni scorsi dalla presidenza britannica.

Le risorse complessive

La Commissione aveva proposto di ampliare il bilancio dell’Unione fino al tetto “di impegno” dell’1,24 per cento del reddito lordo aggregato dei paesi membri (per un tetto di “pagamenti” intorno all’1,14 percento del reddito lordo), per un ammontare totale di 1.025 miliardi di euro nei sette anni di riferimento, subito rifiutato come troppo costoso dai paesi che sopportano oneri più elevati per il finanziamento del bilancio (Austria, Danimarca, Germania, Olanda, Regno Unito e Svezia). Nel giugno scorso, la presidenza lussemburghese aveva proposto un tetto di impegno di 871 miliardi, ora ridotto dalla proposta britannica a 847 miliardi, ovvero circa l’1 per cento del reddito lordo aggregato dell’Unione. (1)

Le grandi rubriche di spesa

Le prospettive finanziarie sono organizzate in cinque grandi rubriche: crescita sostenibile, risorse naturali (che include l’agricoltura e la pesca), giustizia e sicurezza interna, azioni esterne, amministrazione.
La discussione sul nuovo bilancio è stata largamente pregiudicata dalla decisione del Consiglio europeo del 2002 di mantenere invariati i tetti per la spesa agricola comune fino a tutto il 2013. Con l’aumento delle risorse proposto dalla Commissione, questa posta sarebbe discesa in termini relativi sotto il 30 per cento della spesa totale, mentre con la proposta attualmente sul tavolo la sua quota si attesterebbe al 44 per cento. Le altre grandi poste in discussione riguardano i fondi per la crescita e la competitività – la nuova rubrica proposta dalla Commissione Prodi per concentrare le risorse a favore della ricerca e del capitale umano – e i fondi strutturali e di coesione.
Con un marcato riorientamento del bilancio comunitario verso le nuove priorità dell’Unione, la Commissione aveva proposto un forte aumento delle spese per la ricerca e l’occupazione (dal 7 al 13 per cento del totale) e delle spese per i fondi regionali, la coesione e lo sviluppo rurale (stabili in percentuale, ma in forte crescita in valore assoluto); l’aumento veniva destinato largamente ai nuovi paesi membri. Importanti stanziamenti erano previsti anche per le azioni esterne (95 miliardi di euro nel settennio) e le azioni per la cittadinanza e la sicurezza interna (18 miliardi di euro).
La presidenza lussemburghese aveva già apportato tagli rilevanti alle proposte della Commissione, riducendo gli stanziamenti complessivi di impegno per i sette anni del bilancio a 871 miliardi di euro. La proposta britannica risparmia ulteriori 24 miliardi, concentrati in riduzioni sui fondi strutturali e di coesione per i nuovi paesi membri (14 miliardi) e sui fondi di sviluppo rurale nei vecchi paesi membri (7 miliardi); il rimanente risparmio viene da tagli alle spese agricole (2 miliardi) e alle spese amministrative (1 miliardo).
La riduzione dei fondi ai nuovi paesi membri viene “addolcita” con alcune concessioni di tipo amministrativo, valide solo per loro: il tasso di co-finananziamento viene ridotto dal 20 al 15 percento; il periodo per l’utilizzo dei fondi di ogni anno viene allungato a tre anni (dagli attuali due); viene consentito l’utilizzo dei fondi per progetti edilizi, finora esclusi dai progetti finanziabili. Infine, si promette l’avvio di una revisione approfondita del bilancio a partire dal 2008 (revisione che, peraltro, per l’agricoltura è comunque già prevista).

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Il rimborso britannico

Una questione centrale del negoziato riguarda il meccanismo di correzione dei saldi netti di bilancio a favore del Regno Unito. Il meccanismo è abbastanza complesso, ma nella sostanza prevede un rimborso pari circa ai due terzi dei contributi netti al bilancio comunitario.
Il rimborso britannico appare sempre meno giustificabile: quando fu negoziato a metà degli anni Ottanta, il Regno Unito aveva un reddito pro-capite pari al 90 per cento della media comunitaria. Oggi è salito al 111 percento, contro valori di 107 dell’Olanda, 105 della Francia e della Svezia, 99 della Germania, 97 dell’Italia. Se il meccanismo del rimborso non fosse modificato, nel periodo di bilancio 2007-2013 il contributo netto del Regno Unito sarebbe, in proporzione al reddito lordo, il più basso tra tutti i paesi contributori netti (tra 0,20 e 0,25 del reddito lordo). Per confronto, si può ricordare che il contributo netto dell’Olanda nel corrente periodo di bilancio è stato vicino allo 0,5 per cento e quello della Germania intorno allo 0,34.
In effetti, questi paesi chiedono da tempo la riduzione del loro contributo: già dal bilancio precedente, avevano ottenuto un meccanismo temporaneo di correzione, seppure minima, per ridurre i saldi positivi. Per questo motivo, nel negoziato in corso hanno sostenuto la proposta di riduzione del bilancio dell’Unione all’1 per cento del reddito aggregato lordo. La Commissione, invece, aveva proposto di adottare un nuovo meccanismo generalizzato di correzione, che consentisse di mantenere i contributi netti, in rapporto al reddito nazionale, in linea con le posizioni relative di reddito pro-capite.
La proposta britannica non modifica i meccanismi attuali, salvo che in un aspetto: esclude dalla base di calcolo del rimborso britannico i pagamenti ai nuovi paesi membri. Se il meccanismo del rimborso restasse invariato, e si seguisse la proposta britannica per la dimensione complessiva del bilancio, il contributo netto del Regno Unito ammonterebbe a 50 miliardi di euro; il piccolo aggiustamento proposto dalla presidenza porta tale contributo a 58 miliardi di euro, contro i 70 che sarebbero risultati dalla proposta lussemburghese (che congelava il rimborso sui livelli attuali). Di qui lo scandalo: rispetto all’ipotesi respinta in Lussemburgo sei mesi fa, gli unici a guadagnare sono gli inglesi. Tutti gli altri perdono.

Una valutazione d’insieme

Al momento, la presidenza britannica appare piuttosto isolata, avendo alienato le simpatie anche dei nuovi paesi membri, finora suoi alleati “naturali” in molte questioni europee. Tuttavia, ciò non significa che un compromesso sia da escludere.
In realtà, l’impianto della proposta britannica non è molto diverso da quello lussemburghese. La riduzione delle risorse totali verso l’1 per cento del reddito aggregato appare inevitabile. Se non si toccano le spese per l’agricoltura, non c’è scampo: si devono comprimere soprattutto le spese per la crescita e i fondi strutturali.
Ciò che rende la proposta britannica indigeribile è il fatto di aver riservato a se stessi le concessioni maggiori. In realtà, dietro questa impostazione si intravedono le crescenti difficoltà interne del premier Tony Blair, che solo all’ultimo minuto ha riconosciuto davanti all’opinione pubblica inglese la possibilità di una revisione del rimborso, e che deve fronteggiare la resistenza a qualsiasi concessione del cancelliere, e suo probabile successore, Gordon Brown.
Ma queste difficoltà sono ben note anche nelle altre capitali, dove si teme che un compromesso possa rivelarsi anche più difficile senza Blair. Dunque, nonostante le pubbliche grida, la ricerca di un’intesa prosegue alacremente. Certo, il Regno Unito dovrà concedere qualcosa di più, o un accordo a dicembre sarà impossibile.
Qualunque sia il risultato, resta l’amaro in bocca per un negoziato che, alla fine, innova poco o nulla nel bilancio comunitario e, ancora una volta, rinvia tutte le decisioni al prossimo bilancio pluriennale, dopo il 2013.

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(1)
Mercoledì 14 dicembre la Gran Bretagna ha ritoccato la sua proposta, portando il totale delle risorse da 847 a 849 miliardi, prevedendo marginali concessioni ai paesi dell’allargamento e ai fondi per lo sviluppo rurale. Nulla cambia per il rimborso britannico.

L’accordo sul bilancio europeo: addendum

Come sembrava ragionevole attendersi, alla fine l’accordo sulle prospettive finanziarie pluriennali dell’Unione è arrivato. Lo hanno consentito l’aumento delle risorse totali a 862 miliardi (pari all’1.045 del reddito lordo aggregato dell’area, ovvero 13 miliardi in più rispetto all’ultima proposta britannica) e la riduzione del rimborso britannico di 10.5 miliardi (dagli 8 miliardi dell’ultima proposta britannica). Le maggiori risorse così rese disponibili sono state ripartite tra i contributori netti, i fondi rurali ai vecchi paesi membri e le risorse strutturali per i nuovi paesi membri, nel solito mercanteggiamento finale, poco edificante, ma inevitabile. La struttura dei contributi netti in rapporto al pil appare meno fuori linea rispetto ai redditi pro-capite dei paesi.

L’Italia ottiene un ottimo risultato: dopo aver quasi accettato una cifra molto inferiore, ha ottenuto alla fine il ripristino di 1.9 miliardi di euro nei sette anni, in precedenza tagliati, per il fondo di coesione (1.4 miliardi) e lo sviluppo rurale (0.5 miliardi). Onore al merito dei nostri negoziatori, dunque; peccato che di queste risorse ingenti – che nel complesso nel periodo 2007-2013 si aggireranno sui 26 miliardi di euro – il nostro paese continui a fare scempio, distribuendoli a pioggia senza visibili effetti positivi sulla crescita, l’occupazione e il miglioramento del tessuto civile delle nostre regioni più arretrate.

In una valutazione d’insieme, si possono sottolineare due aspetti. In primo luogo, il bilancio dell’Unione manterrà nei prossimi sette anni la stessa composizione di quello precedente, con oltre il 42 percento delle spese all’agricoltura il 35 ai fondi strutturali. L’auspicabile riequilibrio a favore delle spese per la crescita e la competitività e le nuove azioni in materia di sicurezza interna ed esterna non c’è stato. La promessa di una “revisione fondamentale” a partire dal 2008 suona poco convincente, vista l’intangibilità della spesa agricola. Anche l’annuncio di una modifica permanente del rimborso britannico a partire dal prossimo periodo di bilancio ha valore politico, ma appare assolutamente insoddisfacente nel contenuto: infatti, si conferma il principio di un trattamento speciale, che andrebbe del tutto abbandonato a favore di un meccanismo generale di riequilibrio dei contributi netti, come da tempo propone la Commissione. Insomma, questo accordo appare l’ultimo grido di una vecchia Europa che fatica a cambiare, più che l’alba di un nuovo inizio.

La seconda notazione riguarda gli equilibri politici nell’Unione. Non solo, dopo gli anni opachi di Schroeder, torna sulla scena la Germania con un ruolo da protagonista, come tutti hanno giustamente sottolineato; ma la dinamica del negoziato indica anche il profilo di un “concerto” dei tre grandi paesi, la Francia, la Germania e il Regno Unito, come soluzione possibile di governo di un’Unione a ventisette paesi retta dal principio dell’unanimità: infatti, è stato questo il modo in cui alla fine si è trovato l’accordo. Che l’Italia sia fuori non può stupire, viste le vicende attorno alla Banca d’Italia. L’unica alternativa è di passare al voto a maggioranza, laddove ciò appaia possibile – ad esempio, adottando per le decisioni di bilancio le proposte del Trattato costituzionale ora congelato.

Stefano Micossi

Roma, 19 dicembre 2005

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