Il primo ministro britannico ha provato a utlizzare il bilancio per imporre una profonda riforma dell’Unione Europea. Non ci è riuscito e ora assistiamo ai soliti mercanteggiamenti venati di nazionalismo. Eppure, la Commissione va liberata dalle procedure burocratiche pesantissime che le impediscono di agire. Così come bisogna rinunciare alla distribuzione a pioggia delle risorse. Pac e ai fondi strutturali non sono altro che enormi spechi di denaro. Eliminarle non avrebbe alcun effetto sul recupero e sulla coesione dei paesi all’interno dell’Unione.

Bisognerà pur arrivare a un accordo sul bilancio europeo, sotto una presidenza o l’altra. Partendo dal principio che il denaro è il nerbo della guerra, Tony Blair ha provato a utlizzare il bilancio per imporre una profonda riforma dell’Unione Europea. Ma non ha funzionato e ci si è avviati verso un negoziato tradizionale, in cui i piccoli compromessi permettono ai piccoli egoismi di proteggere i loro piccoli interessi. Insomma, la solita routine. Comunque sia, Blair è riuscito almeno ad attirare l’attenzione su un problema importante. Ma da una parte è stato troppo audace per riuscire a risolverlo, e dall’altra troppo timoroso nell’affrontare la questione dello scandaloso bilancio europeo.

La spesa dell’Unione

Una piccola parte del budget serve a finanziare la Commissione. Il suo presidente, José Manuel Barroso chiede un sostanzioso aumento di bilancio: è vero che l’Europa si è ingrandita, ma il suo bilancio è aumentato di conseguenza. Ma Barroso non si accontenta e in un certo senso ha ragione, sono molte le cose da realizzare. Oggi come oggi, però, la Commissione non può fare granché: è invischiata in procedure burocratiche pesantissime che le impediscono di agire; spende il suo bilancio in funzione di priorità che essa stessa determina, senza curarsi degli utenti e distribuendo a pioggia la sua munificenza, per non urtare interessi e suscettibilità nazionali. I suoi funzionari, anche se in gamba, sono bloccati da regolamenti che li deresponsabilizzano completamente. Numerosi tentativi di riforma si sono arenati nel pantano degli interessi particolari. Il messaggio di Barroso dovrebbe essere semplice e chiaro: non un soldo di più finché la Commissione non sarà integralmente ristrutturata.
La più grossa  fette dal bilancio invece, è destinata alla Politica agricola comune (Pac) il resto va soprattutto ai fondi regionali e strutturali: due enormi sperperi. Anche gli agricoltori francesi, punta di diamante della lobby agricola, si sono accorti ormai che la Pac arreca loro più svantaggi che vantaggi. Certo, apprezzano le sovvenzioni; ma la gran parte di queste finisce nelle mani dei grandi agricoltori, mentre il resto permette alle piccole imprese agricole di sopravvivere appena. Anzi, ogni anno ne spariscono migliaia. La Pac è una droga che fa del bene, ma uccide lentamente. E, nel contempo, chiude la porta dei mercati europei ai paesi poveri, per i quali l’agricoltura può rappresentare la chiave dello sviluppo. La Francia – a cui piace atteggiarsi a difensore dei paesi in via di sviluppo e che, per sovvenzionare detto sviluppo, ha aumentato il costo dei biglietti aerei – blocca (la riforma della Pac n.d.t.) senza altra giustificazione che la difesa degli interessi delle sue grandi aziende agricole. Una tal dose di cinismo è imbarazzante.

Uno spreco di denaro

Le politiche regionali e strutturali dovrebbero, in linea di principio, aiutare le regioni e i paesi più poveri dell’Unione a recuperare il loro ritardo economico, finanziando principalmente la costruzione di infrastrutture. È evidente che bisogna favorire lo sviluppo di infrastrutture nei paesi economicamente più deboli, ma perché a finanziarle deve essere proprio l’Europa? Se le infrastrutture sono utili, perché i paesi non chiedono un prestito all’Unione, per poi rimborsarla quando il loro livello economico sarà cresciuto? La risposta che viene solitamente data è: solidarietà. In realtà, nessuno ha mai potuto dimostrare che aiuti di tal sorta abbiano ridotto il divario economico. Anzi, questi aiuti non servono a nulla, o meglio, sono solo uno spreco di denaro pubblico. Come è possibile? È molto semplice: le sovvenzioni pubbliche sono divenute un diritto e non un mezzo. I paesi che ne fruiscono riducono la spesa per le infrastrutture e indirizzano le loro risorse verso altre spese meno produttive.
Tranne qualche rara eccezione, la soppressione di queste politiche non avrebbe alcun effetto sul recupero e sulla coesione dei paesi in seno all’Unione. Ma i nuovi Stati membri non intendono rinunciarvi, perché vogliono beneficiare anch’essi della manna di cui hanno goduto gli altri: per loro si tratta di una questione di giustizia e dignità. Da queste politiche, la Commissione attinge maggiore influenza e potere, anche se la corruzione è sempre in agguato. Gli altri, coloro che oggi pagano i finanziamenti, non osano ammettere che in passato non avevano realmente bisogno di queste sovvenzioni; è un muro di silenzio e di interessi inconfessabili.
Tony Blair pensava senza dubbio di dare una scossa a questo castello di menzogne. Ne serviranno altre prima di riuscire a scrollarsi di dosso lo status quo. Nel frattempo, continuiamo a mercanteggiare, con accenti nazionalistici.

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* L’intervento è tratto dal sito www.telos-eu.com

Budget Européen: Blair pose les bonnes questions, Version française

Il faudra bien arriver à un accord sur le budget européen, sous une présidence ou une autre. Partant du principe que l’argent est le nerf de la guerre, Tony Blair a essayé d’utiliser le budget pour forcer une réforme en profondeur de l’Union Européenne. Ça n’a pas marché, et on s’achemine vers une négociation traditionnelle, où des petits compromis permettent aux petits égoïsmes de protéger leurs petits intérêts. La routine. Tony Blair a cependant posé les bonnes questions. Il a été trop audacieux pour réussir, mais trop timoré face au scandale que représente le budget européen. 
Une petite parte du budget sert à financer la Commission. Son président, José Manuel Barroso, demande une grosse rallonge. C’est vrai que l’Europe s’est agrandie, mais son budget a aussi augmenté automatiquement. Barroso en veut plus. En un sens, il a raison, il y a beaucoup de choses à faire. Mais aujourd’hui, la Commission ne peut pas faire de bonnes choses. C’est une épouvantable bureaucratie. Ses procédures sont d’une lourdeur et d’un tatillon qui ferait frémir Courteline de rage. Elle dépense son budget en fonction de priorités qu’elle détermine elle-même, sans se soucier des utilisateurs, en prenant grand soin de saupoudrer ses générosités pour tenir compte des susceptibilités nationales. Ses fonctionnaires, dont beaucoup sont admirables, sont enfermés dans des règles qui les déresponsabilisent complètement. Plusieurs timides tentatives de réformes se sont enlisées dans le marais des intérêts particuliers. Le message à Barroso devrait être simple et clair: pas un sou de plus tant que la Commission ne se sera pas réformée d’elle-même. La plus gros part du budget, près de la moitié est consacrée à la PAC, le reste allant principalment aux aides régionales et structurelles. Deux énormes gaspillages. Même les agriculteurs français, le traditionnel fer de lance du lobby agricole, se rendent compte que la PAC leur fait plus de mal que de bien. Bien sûr, ils apprécient les subventions, mais l’essentiel est versé aux plus gros, le reste permettant tout juste aux petites exploitations de vivoter, et encore elles disparaissent par milliers chaque année. La PAC est une drogue qui fait du bien mais qui tue doucement. En attendant, elle ferme la porte des marchés européens aux pays pauvres, pour lesquels l’agriculture peut être la clé du développement. La France, qui veut se présenter comme champion de l’aide au développement en taxant les billets d’avion pour financer ses bonnes œuvres, bloque, sans autre justification que la défense des intérêts de ses gros exploitants agricoles. Tant de cynisme confond.
Les politiques régionales et structurelles sont censé aider les régions et les pays les plus pauvres de l’Union à rattraper leur retard économique. Elles financent principalement la construction d’infrastructures. C’est vrai que les infrastructures doivent être développées dans les pays en retard, mais pourquoi devraient-elles être financées par l’Europe? Si ces infrastructures sont utiles, pourquoi ne pas emprunter et rembourser ensuite lorsque le niveau économique aura augmenté? La réponse est: solidarité. En réalité, personne n’a jamais pu montrer que ces aides ont permis d’accélérer le rattrapage économique. En gros, elles ne servent à rien. Autrement dit, c’est du gaspillage des deniers publics. Comment est-ce possible? Tout simplement parce que les subventions européennes sont devenues un droit et non un moyen. Soit les récipiendaires réduisent d’autant leurs propres financements d’infrastructure, soit ils redéploient leurs moyens vers d’autres dépenses moins productives.
A quelques rares exceptions près, la suppression de ces politiques n’aurait aucune incidence sur le rattrapage et la cohésion au sein de l’Union. Alors pourquoi les politiques y tiennent tant ? Les nouveaux pays membres de l’Union veulent bénéficier de la manne auxquels les autres ont eu droit, il s’agit pour eux de justice et de dignité. La Commission y puise une source majeure d’influence et de pouvoir, même si la corruption n’est jamais très loin. Les autres, ceux qui paient aujourd’hui, n’osent pas avouer qu’ils n’avaient pas besoin hier de ces subventions. Un mur de silence et d’intérêts inavouables.
Tony Blair pensait sans doute donner un coup de pied dans la fourmilière. Il en faudra beaucoup d’autres avant de parvenir à secouer le statu quo. En attendant, retour au marchandage teinté d’accents nationalistes.

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