Lo spoil system funziona solo in presenza di una dirigenza pubblica di grande professionalità e in grado di resistere alle pressioni politiche. Ma in Italia manca un’Ena capace di formare i quadri alti della burocrazia. Né esiste un mercato dei dirigenti pubblici. E la valutazione dei risultati è rimessa a una discrezionalità assai ampia. Per uscire da questa situazione serve un progetto condiviso di lungo periodo. Intanto, in ogni amministrazione, l’applicazione del sistema dovrebbe essere ristretta a poche posizioni apicali tassativamente identificate. In unazienda privata, appena nominato, lamministratore delegato sostituisce di solito parte del top management. Ed è logico che sia così. Il “chief executive” risponde di fronte agli azionisti di riferimento dei suoi risultati, misurabili in modo oggettivo in termini di Roe e di quotazione di Borsa. Se lazienda va male, la prima testa che rotola è la sua. È dunque normale che egli pretenda leve di comando efficaci, compresi dirigenti scelti con due criteri: capacità e fiducia. I tasselli di un buon modello Intanto, non basta la sola separazione tra politica e amministrazione, in base alla quale il vertice politico assegna ai dirigenti gli incarichi a tempo determinato, dà indirizzi e risorse e valuta i risultati, mentre i dirigenti pubblici, scelti anche tra esterni allamministrazione, sono responsabili in via esclusiva della gestione. Questo principio è solo uno dei tasselli del modello aziendalistico teorizzato e applicato negli anni Novanta soprattutto nei paesi anglosassoni. (1) I tempi lunghi delle soluzioni Non è auspicabile, anzitutto, un ritorno al passato nel quale direttori generali inamovibili contavano più dei ministri traballanti per le frequenti crisi di Governo. Non sono chiari peraltro gli effetti, su questo versante, della nuova legge elettorale proporzionale. Tuttavia, lapplicazione dello spoil system dovrebbe essere ristretta, in ogni amministrazione, a poche posizioni apicali tassativamente identificate.
Calato nel contesto delle pubbliche amministrazioni, il modello aziendalistico, che prevede sistemi di spoil system più o meno accentuati, funziona male, specie se condito in “salsa italiana”.
Il primo di questi tasselli è costituito da un circuito della responsabilità politica ben funzionante. I vertici politici devono rispondere di fronte ai cittadini e allopinione pubblica dei risultati conseguiti, in relazione ai programmi elettorali.
In Italia, nonostante le riforme che hanno accentuato la visibilità e i poteri dei sindaci e dei “governatori” delle Regioni, pochi sono ancora gli incentivi a superare il vecchio metodo spartitorio e clientelare nella gestione della cosa pubblica. Anzi, linefficienza burocratica, in un contesto di norme confuse e contraddittorie, apre spazi di discrezionalità, e dunque di intermediazione politica, utili per incrementare il consenso. Senza “i buoni uffici” di un patrono è più difficile ottenere unautorizzazione, lerogazione di un contributo finanziario, e così via.
Inoltre, lo spoil system può funzionare solo in presenza di una dirigenza pubblica ad alta professionalità e in grado di resistere alle pressioni politiche. In Italia manca invece unEna alla francese che attiri i cervelli migliori e formi i quadri alti della burocrazia. Non esiste poi un mercato della dirigenza pubblica: il dirigente non confermato al termine del suo incarico (magari di durata brevissima: solo nel 2005 è stata ripristinata la durata minima di tre anni), non sa spesso come riciclarsi. Infine, la valutazione dei risultati conseguiti dal dirigente in base agli obiettivi assegnati (di fatto anche questi assai generici) è anchessa rimessa a una discrezionalità assai ampia, tanto da far rimpiangere quasi le vecchie “note di qualifica”.
In definitiva, secondo la diagnosi di Cesare Salvi e di Massimo Villone, in un bel volume che ricostruisce anche le norme che dal 1990 hanno introdotto ed esteso lo spoil system, “la debolezza del dirigente produce una sinergia tra cattiva politica e cattiva amministrazione”. (2) Se il dirigente, nei fatti, è ridotto a portaordini del politico, l”intero castello costruito sulla separazione tra politica e amministrazione collassa”. La conclusione provocatoria è che, a questo punto, “trasparenza e responsabilità vorrebbero che decidesse direttamente il politico”.
Come spezzare questo circuito perverso? Non ci sono ricette semplici.
Inoltre, per ricostruire sulle macerie di unaltra burocrazia pubblica spesso poco professionale, scelta in base a fedeltà politiche, demotivata dai troppi innesti di dirigenti esterni, occorre un progetto condiviso di lungo periodo. Bisognerebbe infatti partire dai percorsi formativi universitari e postuniversitari cercando di rendere più attraente la carriera nelle pubbliche amministrazioni. In questi anni il moltiplicarsi di corsi di laurea, master, scuole di formazione e specializzazione per dirigenti pubblici, di centri (autoproclamatisi) di eccellenza ha aumentato la confusione. Sarebbe necessario anche rivedere le regole dei concorsi di accesso alla dirigenza.
La stessa opinione pubblica dovrebbe essere più attenta ai problemi dellamministrazione e meno attratta dai lustrini della politica che vive di polemiche effimere. Non basta certo denunciare di tanto in tanto qualche scandalo.
Insomma, tempi lunghi. Ed è comunque difficile stabilizzare un pendolo che tende a oscillare tra una dirigenza asservita alla politica e una politica priva di leve per attuare il programma elettorale.
(1) Negli Stati Uniti, il rapporto Al Gore; in Gran Bretagna il New Public Management
(2) Cesare Salvi e Massimo Villone, Il costo della democrazia, Mondadori, 2005.
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FRANCO BONACCHINI
Inviterei tutti i lettori di questo articolo a vedere il dibattito generato a suo tempo dal decreto Bassanini che istituì il sistema. Non so cosa ne pensi l’allora ministro, ma mi sembra di aver letto che l’applicazione snaturò completamente le sue intenzioni. Ho seguito la vicenda essendo coniuge di Segretario Comunale e ricordo che a suo tempo i relatori della legge in parlamento erano daccordo nell’inserire limitazioni al meccanismo. (sentire in proposito Diego Novelli e l’attuale Sindaco di Brescia. Ne sortì una legge che ha condannato i segretari da controllori a meri esecutori delle volontà dei politici, pena l’allontanamento ed in alcuni casi la disoccupazione. In compenso vennero nominati Direttori Generali i disastri dei quali sono sotto gli occhi di tutti. Occorre tornare indietro, occorre ripristinare il pubblico concorso, riabilitare chi li vinse ed ora si trova emarginato. Mia moglie fece, avendone l’età ed i titoli, il corso per la segreteria generale ed ora si trova in piccoli comuni lontano da casa e superata da colleghi senza arte ne parte che possono solo vantare conoscenze politiche altolocate.
vito d'ambrosio
Il problema più importante da affrontare è le modalità di accesso alla dirigenza. Siamo passati da sistema dove le prove da sostenere erano certe e garantivano le stesse possibilità a tutti, ad un sistema dove le prove sono costruite ad immagine e somiglianza dei “vincitori” in quanto sono generiche e vaghe nei contenuti. Poi la riforma della dirigenza ha prodotto una sorta di nepotismo con un moltiplicarsi degli incarchi dirigenziali a funzionari senza nessun sistema di valutazione che si troveranno un giorno dirigenti per cooptazione. La stragrante maggioranza dei dirigenti nel nostro paese non ha superato un concorso e quando un concorso è stato “a punti”( valutazione dei titoli e colloquio). Il nostro scarso senso civico e l’assenza di Alta scuola di formazione mi porta a ritenere che l’unica forma di accesso possa essere quella del concorso aperto a tutti senza la valutazione dei titoli.
carmelo lo piccolo
Sono perfettamente d’accordo con quanto sostenuto nell’articolo di Marcello Clarich. Il paradosso della situazione italiana è attualmente quello di aver coniugato il lato peggiore dell’aziendalismo (dirigenti superpagati come manager, ma che non hanno nè le competenze, nè la capacità di decidere dei managers) e della cultura burocratica di tipo formalistico – giuridico ( ingresso nella carriera dirigenziale determinata dal semplice possesso del titolo di studio, senza alcuna prova concorsuale e nessuna effettiva valutazione delle capacità manageriali, sostanziale asservimento al potere politico, dal quale dipendono progressioni di carriera e incarichi, impossibilità di favorire il merito attraverso concorsi interni). Si è così venuta a creare una sorta di “casta” sostanzialmente irresponsabile per i risultati della gestione nei confronti della collettività, che non subisce alcun tipo di “concorrenza” dall’interno della Pubblica Amministrazione per il blocco dei concorsi interni, che annulla ogni possibilità di ricambio e di immissione di personale motivato e professionalmente qualificato.
I rimedi da approntare riguardano, a mio avviso, i criteri di selezione e di accesso alla dirigenza:
1) abolizione di qualsiasi collegamento, per il personale interno, tra titolo di studio posseduto e possibilità di concorrere per un posto di dirigente: la Regione Lazio, tanto per fare un esempio, è piena di dirigenti non laureati che però lavorano e sono produttivi tanto quanto quelli laureati.
2) Concorsi pubblici per soli esami per l’accesso dall’esterno, impedendo l’uso del titolo di studio come “barriera all’ingresso” per quanto concerne il “mercato” della dirigenza.
3) Valutazione della effettiva professionalità dimostrata nello svolgimento dell’incarico e non di titoli accademici ai quali non corrispondono effettive competenze organizzative e relazionali.
Roberto Napoletani
Sono decisamente d’accordo con Marcello Clarich, nonchè con Cesare Salvi e Stefano Villone.
E ora di fare marcia indietro, perseverare negli errori del passato sarebbe, oltrechè diabolico, deleterio per tutta la società italiana.
Dieci anni di questo sistema hanno deprofessionalizzato la p.a. in modo aberrante.
Del resto, anche l’ex ministro Bassanini se ne è reso conto e la storia dei segretari comunali, come diceva Bonacchini nel primo intervento, è assolutamente emblematica.
C’era una volta un funzionario che riusciva a coniugare professionalità di gestione e controllo di buon amministrazione, tutelando la legalità dell’azione amministrativa e della gestione delle pubbliche funzioni, oggi è solo un’ombra del passato !
V. D.
Anche io mi trovo d’accordo con i commenti precedenti. Credo sinceramente che il meccanismo di accesso alla dirigenza, debba essere supportato, anche dalla responsabilizzazione e sensibilizzazione del cittadino; il nostro è un sistema che “si riempe la bocca” di principi, che come detto, trovano una sporadica applicazione (si parlava di una denuncia ogni tanto), e che alla fine vedono persone che vanno all’estero, persone che cambiano lavoro (soffocando le proprie inclinazioni) nonostante la Costituzione reciti”..è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli..”; il cittadino deve tornare ad essere protagonista nel sociale,deve avere fiducia nelle istituzioni, non sono i titoli a fare la differenza. Il titolo si può anche comprare con un ottimo master; e non sono solo i più stretti controlli, a garantire la selezione; al cittadino non interessa il rolex o la colomba a Pasqua, al cittadino serve attenzione; e non è più pensabile che i posti dirigenziali, vengano gestiti solo dai “vincitori”, perchè questo genera malcontento. Il diritto, deve separarsi totalmente e definitivamente (direi dunque divorziare) dalla politica, ed occuparsi del reinserimento dell’idea di cittadinanza, anche nell’ottica di una cittadinanza europea, intesa come comune sentire.
Lorenzo Sandiford
Del tutto d’accordo anche su questo articolo.
Riguardo a una migliore regolazione dell’accesso, ben vengano titoli di studio adeguati, ma data la mentalità di noi italiani il fattore decisivo è costituito dal modo in cui sono realizzati i concorsi. In particolare bisogna che nei concorsi non entri in gioco la specifica appartenenza politica, o meglio ancora nemmeno il grado di politicizzazione in senso generale, del candidato. Questo si può ottenere attraverso un’apposita impostazione delle prove d’esame e soprattutto grazie a commissioni giudicatrici costituite da tecnici indipendenti e prive di conflitti d’interesse.
Sul problema del controllo dell’opinione pubblica, poi, non sono così preoccupato: le soluzioni ci sono e sono molto semplici. Basta volerle realizzare.
Lorenzo Sandiford
chiesi
http://www.areagiuridica.com reca un caso di illegittimo spoil system, demansionamento ,estromissione, eliminazione dall’ufficio di un lavoratore, condanna datoriale (inottemperata) al reintegro esclusivamente nelle precedenti mansioni. Conseguenze.