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Liberalizzazione e concorrenza viste dai Poli

Il programma dell’Unione è abbastanza vago sulla riforma del commercio, peraltro mai menzionata dalla Casa delle libertà. Estrema prudenza di entrambi gli schieramenti sugli ordini professionali. Quanto al governo dei settori, l’Unione batte molto sul tema delle Autorità indipendenti, da potenziare. Ma lascia perplessi il riferimento alle clausole sociali (scusa tradizionale per svuotare le liberalizzazioni) e l’affermazione che la proprietà delle reti deve rimanere pubblica. Mentre la Cdl elenca obiettivi senza indicare le azioni da intraprendere.

Concorrenza e liberalizzazione sono molto presenti, anche se in modo “articolato”, nel programma dell’Unione, quasi assenti in quello della Casa delle libertà. Avviene anche per la nota scelta della Cdl di essere particolarmente breve, il che non cambia il fatto che la decisione di lasciare questo aspetto nell’ombra solleva qualche perplessità.

La riforma del commercio

Al momento la riforma promossa dal governo del centrosinistra nel 1998 sta funzionando a metà per il potere di Comuni e Regioni che spesso rallentano l’apertura del mercato. Gli orari sono ancora sottoposti a regole, le aperture di grandi centri commerciali richiedono autorizzazioni non di solo tipo urbanistico, ma di vera programmazione del settore, il tipo di merci che possono essere vendute è tuttora limitata (i supermercati non possono vendere benzina e medicinali da banco).
Su questi temi l’Unione resta abbastanza nel vago, affermando la necessità di aumentare la concorrenza, favorire la grande distribuzione nazionale, ma valorizzando anche i piccoli esercizi, la cui funzione sociale è riconosciuta. Come si debba realizzare questo equilibrio non è per altro chiaro.
Il tema della distribuzione commerciale non è mai menzionato nel programma della Cdl.

La riforma delle professioni

Su questo la Cdl dice semplicemente “3. Nuova legge sulle professioni”. Trovo personalmente irritante che si indichi che questo è il punto di un programma, se non si dice almeno a quali principi generali la legge dovrebbe ispirarsi. Soprattutto perché anche quattro anni fa la Cdl aveva dichiarato di volere intervenire sul settore, mentre non ha fatto nulla. Anche su questo tema non traspare alcunché. Peccato.
Unione dedica a questo punto due pagine (130-132). Parte dalla dichiarazione che “i servizi professionali sono protetti da norme che senza giustificazioni (…) limitano la concorrenza” per poi affermare che diversi aspetti dovrebbero essere liberalizzati, in particolare “prezzi, pubblicità e modelli aziendali”. Questo porta l’Unione a proporre l’eliminazione dei prezzi minimi, ma non per le”attività riservate” – curioso, visto che i professionisti hanno già il diritto esclusivo di effettuare quelle attività senza concorrenza da parte di altri soggetti – l’eliminazione del divieto di pubblicità. Anche l’introduzione di società tra professionisti è favorita, ma solo per servizi “multidisciplinari e interprofessionali”. Ovvero, liberalizzazione sì, ma non esageriamo…
Il voto dei professionisti sembra interessare entrambi gli schieramenti.

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I settori a rete

Intanto, il tema generale delle liberalizzazioni. Su questo i poli sono d’accordo nel dire che le liberalizzazioni degli anni Novanta, avrebbero dovuto essere fatte meglio, evitando di perpetrare i monopoli preesistenti. La differenza è che per la Cdl questa è una critica al governo della controparte, mentre per l’Unione si tratta di un’autocritica. Tardiva, ma meglio che niente.
Sul governo dei settori, l’Unione batte molto sul tema delle Autorità indipendenti, il cui potenziamento viene visto come assai importante. A riguardo, si propone una unificazione delle Authority per i servizi a rete (e una nuova Autorità per i trasporti – finalmente).
Due aspetti del programma dell’Unione lasciano particolarmente perplessi. In primo luogo, il fatto che, tra l’altro, “liberalizzare significa (…) garantire fondamentali clausole sociali per gli operatori”. Purtroppo, le clausole sociali (hanno significato in buona sostanza garantire che la liberalizzazione lasciasse intatti i privilegi della forza lavoro in eccesso o con salari superiori a quelli degli altri settori) sono la scusa tradizionale per svuotare le liberalizzazioni, e vedere questa sottolineatura nel programma accanto al tema dei servizi pubblici locali, ove questi problemi sono enormi, desta particolari preoccupazioni.
Il secondo tema critico è che “nei servizi a rete (energia, trasporti) la proprietà delle reti deve rimanere pubblica“. Perché? Su questo tema nessuna argomentazione viene proposta, e si noti che pubbliche sono le reti elettriche che ci hanno regalato il blackout del 2003, quelle del gas che un’impresa sotto controllo pubblico non ha potenziato portandoci sull’orlo della crisi, quasi tutte quelle idriche che perdono oltre il 30 per cento dell’acqua immessa, quelle ferroviarie (no comment) e così via.
Su tutto questo la Cdl afferma semplicemente che “occorre quindi più concorrenza nella gestione dei servizi in settori nevralgici come le banche, le assicurazioni, l’energia, le autostrade, le telecomunicazioni”, ma non è dato sapere di più. Di nuovo, obiettivi senza indicazioni di azioni da intraprendere.

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Cinque punti senza salti

  1. vera bliznakoff

    Vorrei rilevare che quanto affermato nel programma dell’ulivo circa la riserva di competenza è esatto.
    Le riserve esclusive negli ordini professionali sono molto poche e, come ha detto chiaramente una sentenza della Corte Costituzionale,
    per riserve esclusive devono intendersi quelle tassativamente previste da leggi.

    Le professioni regolamentate fanno poi apparire l’elenco delle attività loro riconosciute come competenze esclusive ma in molti casi non è affatto vero.

    • La redazione

      Cara lettrice,
      il punto non è se sia vero che esistono attività riservate e quante siano.
      Il punto è se sia giusto – su queste attività – continuare ad accettare che un ordine professionale determini dei prezzi sotto i quali non è legittimo fornire tali prestazioni. Francamente, non ne vedo ALCUNA ragione se non il desiderio di limitare la concorrenza tra professionisti a scapito dei consumatori.
      Cordiali saluti
      carlo scarpa

  2. Giuliano Delfiol

    In merito alla liberalizzazione delle professioni, vi sono a mio vedere due punti essenziali da valutare con grande attenzione:
    a) chi deve (o dovrà) garantire pubblicamente la competenza dei professionisti? Teoricamente gli Ordini, che però oggi non lo fanno se non in termini meramente burocratici: invece è chiaro che un qualche soggetto pubblico di seria garanzia deve pur esservi, pena gravi rischi per gli utenti e la collettività;
    b) le tariffe. Si osserva che l’esistenza di tariffe minime è lesiva della concorrenza. Vero, ma si dimentica di dire che una retribuzione adeguata è anche garanzia di indipendenza del professionista. Se il direttore dei lavori di un’opera pubblica ha vinto l’incarico ad un prezzo non remunerativo, sarà ben difficile che possa svolgere seriamente i complessi compiti di controllo e garanzia di qualità che la legge gli assegna, e non credo proprio che questo favorisca la collettività cui è destinata l’opera.
    Allora: ben venga anzitutto un’autorità che garantisca sul serio i contenuti della prestazione professionale, ma è evidente che ciò significa stabilire, sia pure indirettamente, che il costo non può scendere sotto certi livelli: se la giornata dell’architetto, aggiudicata al massimo ribasso, costa come quella del muratore, sarà ben difficile avere buoni progetti!
    Grazie e cordiali saluti
    Giuliano Delfiol

  3. Simone Amari

    I poli non vedono la concorrenza

    Basta dare un’occhiata alle proposte di sanzioni formalizzate dall’antitrust per avere un’idea di com’è la “concorrenza” in molti settori:
    – molte compagnie assicurative sono state condannate dall’Antitrust ad una
    multa di 360 milioni di euro con l’accusa di cartello per la determinazione
    dei prezzi delle polizze;
    – molte compagnie petrolifere sono state condannate dall’Antitrust ad una
    multa di 250 milioni di euro con l’accusa di cartello nella fissazione dei
    prezzi dei carburanti alla pompa (multa annullata dal Consiglio di Stato);
    – l’azienda pressoché monopolista (30% proprietà dello Stato) nelle
    importazioni di gas è stata condannata dall’Antitrust ad una multa di 290
    milioni di euro con l’accusa abuso di posizione dominante;
    – la maggior compagnia privata di telecomunicazioni del paese è stata
    condannate dall’Antitrust ad una multa di 115 milioni di euro per abuso di posizione dominante sui
    mercati delle telecomunicazioni per utenza fissa dei clienti affari;
    – l’associazione di categoria dei farmacisti di alcune province,
    nonché quella dei titolari da farmacie sono stati condannati dall’Antitrust
    ad una multa di 100.000 di euro per aver ostacolato la libera concorrenza;
    – i dirigenti delle maggiori banche private sono stati condannati con multe
    pesanti dal ministero dell’economia, su indicazione dell’autorità di
    controllo, per vendite irregolari di prodotti finanziari (caso Cirio – bollettino Isvap anno XXII n. 3.1, 1-15 marzo 2005).
    L’ordine dei giornalisti poi è essenziale per garantire l’informazione. Soprattutto quelli economici ci parlano sempre del rapporto annuale sui fondi comuni d’investimento pubblicato da Mediobanca. Quest’ultimo infatti evidenzia il sostanziale fallimento (per il cliente) dell’industria del risparmio gestito italiana.
    A questo punto i poli probabilmente ritengono che la concorrenza e la trasparenza danneggi i consumatori.

  4. Giuseppe Lupoi

    Gli ordini istituzionalmente non possono garantire alcuna qualità nella prestazione del professionista: certificano solo il superamento di un esame, fossanche venti anni prima.
    L’utente può essere garantito solo dal riconoscimento delle libere associazioni professionali: associazioni di professionisti, alle quali non vi è obbligo di iscrizione, senza scopo di lucro, che verificano il “saper fare”, non il possesso di titoli, che rinnovano periodicamente questa verifica, etc.
    La riforma che il polo ha cercato di fare mirava all’aumento delle esclusi ve ( soprattutto per gli avvocati ed i dottori commercialisti) ed alla marginalizzazione di ogni attività non riconducibile agli attuali ordini.
    La difesa delle tariffe obbligatorie è patetica: è dimostrato che le alte tariffe non hanno mai garantito la qualità, se un direttore di lavori non è eticamente corretto, alla alta parcella che gli spetta, aggiungerà la mazzetta dell’impresa, etc
    Mi fermo, ma ci sarebbe ytroppo da dire…

  5. alias

    Col precedente governo, fu il Parlamento nel 2000 (1 Commissione) a modificare una proposta di legge riguardante i servizi pubblici locali (in particolare, quelli idrici) che prevedeva la possibilità di affidamento delle reti anche ai privati (ddl Vigneri-DS, e ddl Gasparri-AN, confluiti in medesima discussione). Nell’attuale legislatura, sono stati discussi una decina di analoghi disegni di legge, nessuno dei quali a quanto pare a buon fine. Anzi, fra le norme del TU in materia ambientale dell’estate 2005, proposto dall’esecutivo, vi era la perla di modificare il regime di acque pubbliche, abrogando la legge Galli del 1983 (una legge tutto sommato buona, anche se rimasta inapplicata), condonando le captazioni idriche abusive in Sicilia; evocando il fallimento della pubblica amministrazione a far rispettare la legge.
    Sarebbe opportuno far discutere i candidati premier di reti, visto che costano, e perdono soldi del contribuente e acqua; spesso poi sono gli enti locali (e determinati partiti politici, che vi hanno forte potere) che non vogliono affrontare la concorrenza. Possiamo far domande in proposito a CDL e Ulivo? E’ vero che una “user fee,, è necessaria, proprio per evitare sprechi da parte nostra? Sanno che l’acqua, a Berlino, costa 4 euro al metro cubo (otto volte più che a Roma)? Se dovremo arrivarci, perchè non pensare a meccanismi (e incentivi) di risparmio idrico anche in campo edilizio pubblico e privato ?

  6. Renzo Forti

    Liberalizzazioni e concorrenza nelle professioni sarebbero davvero una panacea.
    Oggi se non sei figlio di un professionista con l’attività già avviata o non hai “corridoi preferenziali” per accedere a buoni incarichi non puoi certo pensare di metterti in proprio e “vivere” della tua professione, perchè tra tariffe bloccate e divieti di promozione e pubblicità non si vede proprio tramite quali canali si possa far crescere l’attività.
    Sappiamo già quale esoso costo aggregato la nostra società è costratta a sostenere per una simile situazione.
    Mi chiedo, tuttavia, come sia possibile pensare ad una svolta politica su tali tematiche con una legge elettorale che favorisce, attraverso la mancata espressione delle preferenze da parte dei cittadini, una più facile concentrazione e organizzazione degli interessi corporativi.

    Cordiali saluti

  7. massimo greggio

    Non sono un esperto di economia, ma ritengo che il mantenimento dela proprietà pubblica delle reti (idrica, gas etc) sia volto a far si che non avvenga quello che è avvenuto nella telefonia fissa, in cui tuttora il gestore ex monopolista detiene un incalcolabile vantaggio sui concorrnti dato dalla proprietà della preesistente rete telefonica, questo vantaggio si è uteriormente incrementato negli ultimi tempi con l’avvento della cosiddetta ‘banda larga’, che rende, e renderà sempre di più in futuro, fondamentale la connettività telefonica fissa degli utenti, soprattutto dei privati.

  8. Gianluca Ricozzi

    Io penso che la liberalizzazione delle professioni possa avvenire anche mantenendo in piedi gli ordini. Il problema è che gli ordini non dovrebbero gestire l’ingresso nelle professioni, che invece dovrebbe essere gestito da un organismo pubblico non composto da isritti all’ordine.
    Agli ordini dovrebbe invece essere assegnato il compito di vigilare sulla deontologia professionale, problema che mi sembra scarsamente affrontato oggi in Italia.
    Andrebbero ovviamente aboliti i divieti in materia di pubblicità e il sistema delle tariffe, che dovrebbero essere definiti dal mercato.

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