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Le tasse al tempo del caro-petrolio

In questa fase di turbolenza politico-istituzionale siamo invitati a ricordare che il primo nodo da sciogliere è la tenaglia della scarsa crescita economica e dello squilibrio dei conti pubblici che stringe l’economia italiana. A ciò si aggiunge la tegola dei record del prezzo del petrolio. Invece di ascoltare le non originali proposte di ridurre il prelievo fiscale sui prezzi dei carburanti, il nuovo Governo dovrebbe varare al più presto riforme di struttura, volte a liberalizzare il più possibile i mercati dell’energia. E riordinare l’intera tassazione del settore.

Nella fase di turbolenza politico-istituzionale che l’Italia sta attraversando all’indomani delle elezioni politiche, l’articolo del Financial Times ha richiamato tutti all’ordine nel ricordare quali sono le priorità assolute che il nuovo Governo dovrà affrontare. (1) Già su questo sito avevamo sottolineato che il primo nodo da sciogliere è la tenaglia della scarsa crescita economica e dello squilibrio dei conti pubblici che stringe l’economia italiana.

Ad aggiungere carbone sulla brace sono poi arrivati i record del prezzo del petrolio come una nuvola scura che si addensa sull’economia globale. E le idee, peraltro non originali, su come attutirne gli effetti a livello nazionale non hanno tardato a manifestarsi tra esponenti anche di spicco della futura maggioranza.

Anche attingendo a precedenti contributi apparsi su questa testata vorremmo provare a fare il punto della situazione.

 

Ragioni ed effetti del rincaro

 

Il prezzo del petrolio continua a correre, bruciando nuovi record. Le ragioni contingenti sono le difficoltà in Nigeria (sesto paese al mondo per riserve di gas e nono per riserve di petrolio) e in Ciad, ma soprattutto la crisi nucleare in Iran (secondo al mondo sia per riserve di petrolio che di gas). Purtuttavia, la prevista elevata domanda della Cina (+5,5 per cento nel 2006 secondo la Iea, il doppio della crescita del 2005) e i tempi necessari per aggiungere nuova capacità produttiva a quella esistente (dai 24 ai 36 mesi) restano i fattori fondamentali che spiegano come il prezzo dell’oro nero non possa ragionevolmente scendere sotto i 60 dollari al barile almeno nei prossimi due anni.

Gli elevati prezzi del petrolio e i record battuti dal 2004 a oggi non hanno avuto finora serie ripercussioni sulla crescita economica globale né sui tassi di inflazione. Questa osservazione è stata fatta ripetutamente, nonostante le preoccupazioni espresse da un po’ tutte le principali istituzioni economiche internazionali, e nonostante i risultati di simulazioni condotte da Fmi e Iea. (2) Aumenta tuttavia la preoccupazione e il numero di coloro che cominciano a vedere nero. Oltre alle recentissime stime del Fondo monetario internazionale, che ha rifatto i conti, i segnali di allarme originano dalle possibile conseguenze sull’economia americana. Finora è cresciuta in maniera molto soddisfacente, e un suo rallentamento potrebbe avere effetti di trascinamento all’ingiù anche del potenziale di espansione delle altre economie, a partire da quella europea. (3) Non mancano peraltro voci fuori dal coro, come quella di Allen Sinai, che sostiene che solo a prezzi superiori agli 85 dollari si comincerebbero ad avere problemi, ora no, visto che siamo comunque in presenza di uno shock da domanda più che da offerta e che le economie oggi sono più forti, più diversificate e meno dipendenti dal petrolio. (4)

 

La situazione dell’Italia

 

Quanto all’Italia, paese più di altri dipendente dal greggio di importazione, il maggiore prezzo del petrolio aggrava direttamente la bilancia commerciale e si ripercuote molto velocemente sul prezzo dei carburanti e un poco più lentamente sulle bollette di elettricità e gas, il tutto con conseguenze avverse per i bilanci familiari. Trattandosi di un impatto non diversificabile, non resta che subirlo direttamente, accettandolo e cercando di attutirne il più possibile gli effetti.

Anche in questa occasione si è sentita la proposta di ridurre il prelievo fiscale sui prezzi dei carburanti onde contenere il maggiore esborso da parte delle famiglie. L’idea è ancora una volta quella di sterilizzare gli effetti del maggiore prezzo del petrolio con una corrispondente riduzione delle accise. E secondo quanto riportato dalla stampa, non è vista negativamente da autorevoli esponenti dell’Unione, chiamata a governare la nazione nei prossimi cinque anni. Abbiamo già osservato in precedenza come questa operazione comporterebbe dei rischi, oltreché essere oggettivamente sbagliata. Anzitutto è difficile stabilire l’entità della sterilizzazione perché il Governo non sa esattamente quale è il livello “di equilibrio” del prezzo dell’oro nero: se il prezzo continua a crescere verso gli 80, i 90 o addirittura i 100 dollari quanti interventi sarà chiamato a fare? E se interviene, ma il prezzo del petrolio prende a scendere nel giro di un anno a 60 o addirittura 50 dollari, che si fa?

Ma la proposta è sbagliata per altre due ragioni. La prima è che il prezzo elevato e crescente del petrolio segnala la progressiva scarsità della risorsa, invita a economizzarne l’uso e a stimolare la diversificazione verso altre fonti. In fin dei conti, qual è il ruolo che i prezzi nelle economie di mercato devono svolgere? I manuali ci insegnano che hanno la funzione di allocare risorse scarse verso l’impiego migliore tra le alternative disponibili. La seconda ragione è che non ci possiamo semplicemente permettere in questo preciso momento di perdere possibili entrate fiscali, stante l’allarme debito pubblico e la pressante necessità di riequilibrare il bilancio statale.

Che cosa allora dovrebbe fare il nuovo Governo di fronte a questa situazione? Dovrebbe operare per attutire il più possibile gli effetti negativi sul sistema economico del maggiore prezzo del petrolio, un problema, si badi, che tocca tutti i paesi sviluppati e consumatori di greggio. Il Governo dovrebbe perciò varare speditamente riforme di struttura, volte a liberalizzare il più possibile i mercati nazionali ed europeo dell’energia. (5) Ciò permetterebbe di contenere il più possibile la traslazione dei maggiori costi dell’energia (petrolio) dei produttori di elettricità e dei distributori di gas sui prezzi finali, il tutto salvaguardando trasparenza e concorrenza tra operatori.

L’altra importante misura consiste in un intervento di riordino della tassazione dell’energia che nel medio termine sia ispirata non già a finalità di gettito, come è tradizionalmente stato in Italia, ma ispirata al fine di minimizzare l’impatto sul clima e sull’ambiente dei consumi di fonti energetiche inquinanti. Anche qui, come abbiamo di recente osservato, esistono opzioni che permettono di contemperare questo obiettivo con quello di altre finalità di carattere macroeconomico, come il sostegno all’occupazione.  

 

(1) L’editoriale “Prodi’s lamentable poll is bad news for the euro” è stato pubblicato il 17 aprile 2006. Ma si veda anche “Italy Follows Argentina Down the Same Road to Ruin” pubblicato il 17 marzo 2006 e disponibile all’indirizzo www.aei.org/include/pub_print.asp?pubID=24071.

(2) Un breve riassunto di questi aspetti si trova in “Dinamiche di mercato ed effetti macroeconomici dei prezzi delle materie prime: il caso del petrolio”, in L’Italia nell’economia internazionale, Rapporto Ice 2004-2005 (disponibile all’indirizzo www.ice.gov.it/editoria/rapporto/rapporto.htm).

(3) “Oil Prices and Global Imbalances”, capitolo II del World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale (disponibile all’indirizzo www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2006/01/pdf/c2.pdf).

(4) “Allen Sinai va controcorrente”, la Repubblica del 19 aprile 2006.

(5) Ancora una volta ne abbiamo parlato in “Fisco e benzina, un Giano bifronte“. 

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  1. Matteo Olivieri

    Gentile autore,
    le scelte di tassazione, di investimento e di agevolazione fiscale sono interscambiabili nelle scelte energetiche. Concordo con un entusiasmo da fan. Va ricordato per l’ennesima volta: in un paese manifatturiero come il nostro le scelte che stimolano la produzione di impianti e tecnologie a risparmio energetico possono essere decisive e lungimiranti. Cosa aspettiamo? Forse calcoli più precisi sulle ricadute. Un suggerimento per il vostro gruppo. Grazie

  2. Marco Beretta

    Credo che un briciolo di attenzione dovrebbe far sorgere qualche dubbio sull’affermazione che, per risolvere o limitare i danni di un costo del petrolio crescente, sia necessaria una riforma liberista del mercato delle materie prime.

    Infatti, sebbene il liberismo spinga il mercato verso l’aumento dell’efficienza totale, c’è da domandarsi cosa succede quando un mercato liberista ha a che fare con una risorsa che non può soddisfare la domanda per motivi fisici.

    Siamo sicuri che un mercato energetico liberalizzato sia capace di distribuire la risorsa efficientemente e nel contempo in modo equo, per evitare pericolosi imbalances?

    Secondo me no.

    Ripeto: il liberismo funziona bene in un sistema con risorse infinite. In questo caso quest’ultimo requisito non è soddisfatto!

    Cordiali saluti,
    Marco Beretta

    • La redazione

      Si parla di liberalizzazione dei mercati non della materia prima
      ma dell’elettricità, gas e carburanti, risorse che per essere vendute devono essere distribuite attraverso una rete. I mercati di eletricità e gas erano in origine dei monopoli pubblici. Oggi sono dei quasi-monopoli. Nel caso dei
      carburanti sono dei veri e propri oligopoli. Il problema della liberalizzazione si è intrecciato in Italia dannosamente intrecciato con quello della privatizzazione degli enti di stato. L’esito non favorevole ai consumatori finali induce talvolta a ritenere che sarebbe stato meglio non liberalizzare.
      Ma, ripeto, il riferimento nell’articolo non era al mercato delle materie prime. Una completa o più accentuata liberalizzazione dei mercati di elettricità, gas e carburanti sarebbe tale da contenere il più possibile la traslazione del maggiore prezzo del petrolio sui prezzi di tali prodotti. e come tale la cosa limiterebbe le conseguenze sui consumatori.

  3. Martino da Bologna

    Sono d’accordo che il problema energetico vada affrontato con riforme strutturali in Italia. Il nostro paese, come sappiamo, è povero di petrolio e gas, ha già sfruttato al massimo l’energia idrica e geotermica, ha poche zone in cui i venti abbiano la caratteristica di essere sfruttati per l’energia eolica. Allora, piuttosto che incentivare la produzione di energia solare, un metodo oggi fra i più inefficienti, sarebbe meglio tornare a puntare sul nucleare (oltre che sul risparmio): sono passati vent’anni da Chernobil e forse si può ragionare a mente fredda senza lasciarsi trascinare dagli umori delle folle!

  4. Gianluca Reggiani

    Buona sera (o buon giorno a seconda dell’ora in cui leggerete). Ieri ho inviato un commento a questo articolo dal titolo, mi pare, “Il petrolio petrolifera dall’uranio”: potrei sapere, per curiosità, il motivo per il quale non è stato pubblicato? Per via del link a http://www.forbes.com? Forse per il riferimento finale all'”impero”, che peraltro non voleva essere un giudizio? Spero non sia per l’ipotesi in sé, cui peraltro si può replicare, tanto più se non sta in piedi. Se mi spiegate, rimando il mio commento dovutamente “corretto”. Grazie in anticipo, Gianluca Reggiani

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