Il governo italiano proibisce la fusione fra Autostrade e Abertis. Cosa ne dirà la Commissione Europea? E non era meglio regolare il mercato anzichè interferire negli accordi fra aziende private? Riproponiamo ai lettori gli interventi di Xavier Vives, Andrea Boitani con Carlo Scarpa e Francesco Coco con Marco Ponti su questo tema.

Le fusioni transfrontaliere in settori regolamentati , di Xavier Vives

L’attività di fusione è di nuovo in crescita e le fusioni transfrontaliere non sono più un affare meramente anglosassone e riguardano ampiamente settori regolati. In questi settori, l’impatto delle fusioni sui consumatori dipende dalla qualità della regolazione. Se questa è buona, la nazionalità di chi gestisce i servizi è una scelta da lasciare al mercato.

Fusioni calde e fredde

Le fusioni transfrontaliere hanno contribuito ad incrementare il valore totale delle fusioni più che proporzionalmente e c’è stato un ruolo crescente e predominante dell’Europa continentale nelle operazioni internazionali. Molte di queste fusioni sono avvenute in settori regolamentati. Nel settore bancario, l’italiana Unicredito ha assunto il controllo della tedesca HVB e la spagnola Santander quello di Abbey. Il ritmo dell’attività nei servizi pubblici è stato particolarmente frenetico: la spagnola Ferrovial ha acquisito l’operatore britannico BAA, la francese Suez la belga Electrabel, la francese Telecom la spagnola Amena e la spagnola Telefónica ha acquistato la britannica O2.
Nello stesso momento, alcuni Paesi reagiscono con misure protezioniste. Nel settore energetico E.On vuole assumere il controllo di Endesa, mentre su questa era già stata avanzata un’OPA da Gas Natural. La Spagna reagisce facendo valere la sua funzione normativa. Enel sta scrutando Suez così come le spoglie della battaglia di Endesa. La Francia reagisce proponendo la fusione della pubblica GDF con Suez. Quando la BBVA e l’ABN- Amro tentano di assumere il controllo, rispettivamente, di BNL e Antonveneta, l’ex Governatore della Banca d’Italia si oppone all’accordo. La Commissione Europea valuta su che piano intervenire e finalmente la BNL viene acquistata da BNP e l’offerta relativa ad Antonveneta ha successo. Ora Abertis e Autostrade hanno un piano di fusione e si è creato un dibattito pubblico riguardo l’accordo.
Dietro alla tendenza alle fusioni vi è la liberalizzazione e l’integrazione del mercato in Europa così come tendenze internazionali nell’economia mondiale, quali la rivoluzione della tecnologia informatica e l’apertura dei mercati attraverso il processo di globalizzazione. Giocano anche un ruolo fattori a breve termine, come la forza dei profitti aziendali e la disponibilità di credito a minor costo. I redditi delle fusioni sono guidati dalla ristrutturazione e redistribuzione delle risorse sospinte dai cambiamenti tecnologici. La dimensione pesa nelle industrie caratterizzate da esternalità di rete, per investire in Ricerca e Sviluppo con mercati di capitale imperfetti e per guadagnare forza finanziaria e potere contrattuale nei mercati internazionali. Quei fattori si applicano anche ai settori regolamentati cui si riferiscono le fusioni sopra menzionate.

I veri problemi delle fusioni per la politica

Una questione fondamentale di politica pubblica è se il processo di fusioni danneggerà la competizione e finirà con il provocar danni al consumatore. Questo è l’ambito in cui intervengono le autorità ed i regolatori politici della concorrenza. Il primo importante fattore da tenere in considerazione è che se l’industria è un monopolio naturale o ha segmenti di monopolio naturale, come l’energia e i trasporti, il regolatore manterrà il controllo dei piani d’investimento, costi e qualità nel segmento di strozzatura: la trasmissione e la distribuzione di energia o la concessione delle autostrade. L’impatto sui consumatori o sugli utilizzatori del segmento di strozzatura è inoltre fondamentalmente nelle mani del regolatore. Ad esempio, gli investimenti nell’espansione autostradale, gli strumenti e la manutenzione non sono stabiliti unilateralmente dal concessionario, ma in accordo con alcuni parametri determinati in base all’accordo di concessione e monitorato dal regolatore. Il contesto regolamentare deve essere stabile, così che si possano fornire incentivi all’investimento. Il regolatore deve poi monitorare adeguatamente che i piani di investimento, il livello qualitativo e il costo per il fruitore siano appropriati. Nelle industrie che non hanno segmenti di monopolio naturale, come il settore bancario, il ruolo delle autorità politiche della concorrenza è più diretta ad assicurare che l’azienda nata dalla fusione non abbia eccessivo potere di mercato. Santander poteva puntare a Abbey mentre altre banche britanniche erano esitanti a presentare la loro offerta perché le autorità sulla competizione nel regno Unito, che avevano bloccato la precedente offerta di Lloyd’s TSB su Abbey nel 2001, avrebbero cercato di bloccare tale mossa per eccessiva concentrazione.

Se il consumatore è al primo posto dalle fusioni si può guadagnare

Un aspetto di cui si discute spesso e che può star dietro alla reazione protezionista di alcuni governi europei alle fusioni transfrontaliere è la paura di una perdita di influenza del governo sulle nuove entità nate da tali processi di fusione con quartieri generali localizzati in altri paesi europei. Questo è un argomento di politica economica che punta sulla perdita di influenza del governo su importanti decisioni aziendali che hanno effetti esterni sull’economia nazionale. Tuttavia, per le fusioni in mercati regolamentati con segmenti di monopolio naturale questo argomento perde valore. In primo luogo, questo avviene perché il regolatore resta al comando dei parametri operativi di base dell’azienda e li controlla. In secondo luogo, perché le risorse dell’azienda non sono generalmente trasferibili da un paese ad un altro o, come nel caso delle autostrade, rimangono sempre di proprietà pubblica. In generale, i governi nazionali e i regolatori hanno considerevoli margini di manovra nell’influenzare la profittabilità di aziende regolamentate.
I paesi che mettono l’interesse del consumatore al primo posto finiranno in vantaggio. Aprendo il suo mercato, il Regno Unito ha dimostrato il giusto percorso nell’interesse del consumatore nel settore dei servizi, ossia quello bancario, le telecomunicazioni, la gestione di infrastrutture aeroportuali. In un settore regolamentato con segmenti di monopolio naturale, il ricavo per il fruitore o il consumatore dipende tanto dall’azienda di servizi quanto dalla qualità della regolamentazione. Le domande sul caso Abertis-Autostrade dovrebbero essere: chi può gestire meglio le risorse e come il consumatore italiano potrebbe trarne vantaggio?

La nazionalità del gaucho autostradale , di Giuseppe Coco e Marco Ponti

Approvazione ministeriale e modifica alla Convenzione

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L’approvazione ministeriale sarebbe infatti, secondo notizie di stampa, condizionata a modifiche alla concessione principale del 1997 e agli atti aggiuntivi fino al IV, approvato dopo lunga battaglia al CIPE e contro il parere dei ‘tecnici’ del NARS nel 2004; modifiche sostanzialmente dirette a garantire che gli ingenti flussi di cassa che la società ha prodotto negli anni precedenti vengano utilizzati per investimenti programmati in Italia. In effetti, i ricavi da pedaggio annuali della Concessionaria erano nel 2004 già molto superiori rispetto alle previsioni formulate dal regolatore nel 2002. Una riflessione più attenta avrebbe dovuto condurre il Ministro a chiedersi come mai si siano formate quelle enormi riserve in una impresa privata che gestisce una infrastruttura di interesse pubblico soggetta a regolamentazione tariffaria. E anche di questo chiedere conto a chi ha gestito la regolazione tariffaria o a chi, come Anas e lo stesso dicastero delle Infrastrutture, ha sempre fiancheggiato interpretazioni discutibili della regolazione tariffaria.
Curiosamente, però, non è chiaro se il Ministro sia effettivamente intenzionato a chiedere modifiche nelle convenzioni a chiarimento delle modalità applicative del meccanismo tariffario. Alcune modifiche che rendano il meccanismo meno discutibile di quello oggi applicato sono possibili, indipendentemente dalla modifica/chiarimento della Convenzione. Si tratta solo di modificare delle modalità applicative discutibili applicate dall’Anas.

Tre punti da chiarire…

Ricorderemo qui tre punti sui quali è invece essenziale che il meccanismo tariffario sia specificato nei dettagli, per sgombrare il campo da interpretazioni giuridiche delle convenzioni che tendono a trascurare i principi economici della regolazione.
1) La Delibera CIPE 319 instaura un sistema di price cap. E’ noto che il price cap prevede tariffe prefissate per periodi regolatori predeterminati (in genere 4 o 5 anni) al termine dei quali il regolatore ‘ridetermina’ la base tariffaria basandosi su indicatori di costo unitario nell’arco del quinquennio passato. Il riferimento al price cap nella Delibera e nelle Convenzione dovrebbe quindi bastare a rendere scontata la revisione tariffaria a scadenza. Ma questo parere non ha prevalso in occasione della scadenza del primo periodo regolatorio di Autostrade per l’Italia. Abbiamo in questo caso avuto una dimostrazione evidente di quanto sia importante che modifiche nell’assetto regolatorio siano accompagnate da cambiamenti istituzionali appropriati per non determinare esiti paradossali;

2) La stessa Delibera CIPE rimanda i dettagli della remunerazione della qualità alle convenzioni. Per apprezzare la generosità della remunerazione concessa da Anas si pensi che nel solo 2005 l’incremento tariffario dovuto all’elemento qualità è stato sulla rete di Autostrade dell’1,2% circa. In termini di ricavi, oltre 25 milioni di euro in più. Appare improbabile che i miglioramenti qualitativi conseguiti nel 2004 valgano questa cifra per l’utenza. Inoltre, i sistemi di remunerazione della qualità impiantanti dall’Anas non sono in alcuna maniera legati a una quantificazione dei costi collegati o dei benefici per l’utenza e sono basati su due soli indici di qualità (pavimentazione ed incidentalità) non completamente sotto il controllo della Concessionaria. Vale anche la pena di ricordare che, stante il riconoscimento dell’incompletezza e della eccessiva generosità del sistema, l’art. 21 della Legge 47/04 (con cui passò il IV Atto Aggiuntivo) prevedeva la definizione di nuovi metodi di remunerazione della qualità da determinarsi entro sei mesi da parte dell’Anas. A nostra conoscenza questa è l’unica parte rimasta inattuata di quella discutibile legge.

3) Il IV Atto Aggiuntivo prevede l’allungamento del periodo regolatorio per Autostrade per l’Italia a 10 anni. Non siamo a conoscenza di esperienze di un price cap il cui periodo regolatorio sia così lungo. La Concessionaria, appoggiata da Anas, ha con questa clausola voluto ‘blindare’ l’interpretazione del price cap senza revisione per il periodo più lungo possibile, probabilmente nella consapevolezza che questa interpretazione fosse insostenibile nel lungo periodo. Anche questa clausola va modificata.

…e una regolazione da riformare

Oltre a questi chiarimenti della Convenzione, che sono necessari anche per informare tempestivamente chi acquista il controllo di Autostrade per l’Italia del cash flow e dei profitti che legittimamente si può attendere, sarà necessario che il governo si doti di strutture adeguate per la regolazione tariffaria. Che ovviamente non possono essere quelle che hanno determinato questa situazione.
L’ex Ad di Autostrade per L’Italia Vito Gamberale riferendosi al nome in codice della fusione con Abertis, il “progetto Gaucho”, ha suggerito testualmente (Repubblica 3-5-06) che, se le nozze andranno in porto, in futuro “saranno gli spagnoli a ‘mungere’ le Autostrade italiane”. Con ciò ha implicitamente ammesso che la mungitura avveniva comunque
. Cambia la nazionalità del gaucho. La preoccupazione principale del governo non dovrebbe essere la nazionalità del ‘gaucho’, ma l’interruzione della mungitura. Certo i concessionari autostradali sono stati resi “campioni finanziari” da una regolazione pubblica inadeguata, ma questo è proprio il problema della mungitura di cui parla Gamberale, e a cui è urgente porre fine, anche per evitare che il settore continui ad essere così “artificialmente”appetibile, e non solo da imprenditori privati, come si è recentemente visto in Lombardia e altrove. Il lettore de lavoce.info sa che le idee non mancano .

Un’autostrada che porta in Spagna , di Andrea Boitani e Carlo Scarpa

La fusione Autostrade-Abertis (meglio, la incorporazione di Autostrade nella spagnola Abertis) ha sollevato un dibattito interessante, ma la sui rilevanza è notevole soprattutto tenendo conto che siamo all’inizio di una nuova legislatura e che la risposta del mondo politico potrebbe in qualche misura segnare un nuovo indirizzo in termini di politica industriale. Quale dovrebbe essere la risposta “politica” a questa operazione? Quale lezione si può trarre?

Due società molto redditizie grazie alla regolazione

Le due società che intendono fondersi sono tra le più redditizie d’Europa.

Autostrade per l’Italia, nel novembre del 2005, occupava in Europa il decimo posto per rapporto Ebit/fatturato (49,6 per cento); Abertis occupava il dodicesimo posto (45,06 per cento). Nel 2004 le posizioni erano quasi invertite, dato che Abertis era al decimo posto e Autostrade al quindicesimo. Il titolo di Abertis ha raddoppiato il suo valore da gennaio 2004 al 21 aprile del 2006 (www.abertis.it), mentre quello di Autostrade, nello stesso periodo, si è apprezzato di oltre l’80 per cento (www.autostrade.it). Da quando si è diffusa la notizia della fusione, poi, il valore del titolo di Autostrade si è ulteriormente impennato.

Autostrade per l’Italia, da società pesantemente indebitata quale era, è anche riuscita ad accumulare una rilevante liquidità, si dice nell’attesa di effettuare gli importanti investimenti in nuova capacità autostradale concordati con il Governo; tutta questa liquidità la rende comunque oggetto del desiderio per società indebitate, come sembra essere Abertis.

Nel valutare gli ottimi risultati di queste due aziende non va dimenticato che il settore autostradale è fortemente regolato a livello nazionale. Le tariffe finali dipendono, dunque, dal regolatore (e non dall’impresa). Poiché i ricavi tariffari arrivano a costituire l’80-90 per cento dei ricavi totali di una società autostradale, è evidente che la performance economica (e finanziaria) di tali aziende dipende in larghissima misura dalla “generosità” del regolatore (in Italia il Cipe). I nostri automobilisti possono stare relativamente tranquilli: i pedaggi delle autostrade nazionali saranno alti o bassi in relazione alle scelte politiche del regolatore italiano e non (o almeno non direttamente) in relazione alla nazionalità del gestore.

Certo, è possibile che un gruppo più grande abbia maggiori capacità di pressione sul regolatore, per spuntare tariffe più favorevoli. Anche se forse i consumatori potrebbero avere una ricaduta positiva. Potrebbe anche darsi il caso che il Governo italiano, finora molto generoso con Autostrade smetta di esserlo, senza più la scusa di tutelare un’impresa italiana. Anche dati gli attuali livelli tariffari, speriamo proprio che succeda. Del resto, il programma elettorale dell’Unione (che formerà il nuovo Governo) prevedeva l’istituzione di un’Autorità indipendente per la regolazione delle tariffe autostradali . Rimane, comunque, il fatto che la scelta appartiene alla politica e non dipende dalla nazionalità del controllo azionario del soggetto regolato.

Allo stesso modo, gli investimenti nelle autostrade non dipendono gran che dalla nazionalità del gestore della concessione. Gli investimenti vengono effettuati (o non vengono effettuati) a seconda che esistano le condizioni di profitto per effettuarli, che siano state rilasciate le autorizzazioni necessarie, eccetera Il problema sarà quindi assicurarsi che si creino le condizioni di contorno affinché questi investimenti risultino redditizi per chi è chiamato a effettuarli. Condizioni che, peraltro, l’attuale regime regolatorio garantisce fin troppo abbondantemente, per le ragioni sopra dette . Semmai il problema è rendere più rapido e credibile il meccanismo delle autorizzazioni e, al contempo, rendere contrattualmente più rigoroso il rispetto dei tempi di completamento delle opere, utilizzando appropriati strumenti di incentivazione e di punizione.

Meglio non piangere sul latte versato

Se quanto appena detto è vero, c’è da chiedersi il perché della levata di scudi di una parte del mondo politico contro la fusione-incorporazione. Sembra che la risposta vada ricercata nel riflesso condizionato che scatta in molti politici in casi di questo genere. Ovvero il terrore di perdere un “campione nazionale”, perché l’italianità delle grande imprese, secondo alcuni, sarebbe un cruciale motore della crescita del paese. Anche se il sostegno teorico e fattuale a questa tesi è tra il debole e l’inesistente , la recente vicenda Enel-Suez ha mostrato come sul tema vi siano orecchie molto sensibili (anche) in altri paesi, quali la Francia o la Germania. E, tuttavia, non ci si può scandalizzare per il “nazionalismo” del Governo francese, per poi cadere nello stesso peccato neanche un mese dopo.

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La Spagna di Zapatero sembra essere l’ultima arrivata nel club degli sciovinisti economici (come la vicenda Endesa – Gaz Natural ha testimoniato), ma sembra anche essere molto aggressiva. La incorporazione di Autostrade in Abertis farà scomparire un soggetto imprenditoriale italiano. È un guadagno per gli spagnoli e una perdita per gli italiani? Ci piacerebbe capire perché, ma temiamo che l’onere della prova gravi su chi intende sostenere che l’Italia abbia molto da perdere. Non basta dire che siamo di fronte a un’operazione puramente finanziaria e che le sinergie industriali sembrano assai limitate. Affermazioni probabilmente corrette, ma insufficienti a dimostrare che l’Italia ci rimetterà.

Potrebbe esserci anche un’altra spiegazione all’allarme diffuso in questi giorni. Il timore di non essere in grado di mettere in piedi un sistema di regolazione rigoroso, a fronte di un soggetto imprenditoriale che diviene più forte a livello europeo. Il timore è legittimo, vista l’esperienza passata. Ma non si può sparare contro un’operazione finanziaria internazionale solo perché si ritiene di essere incapaci di regolare in modo ragionevole un settore tutto sommato non così complicato.

Quanto a lezioni da trarre, si conferma che il modo in cui venne condotta l’operazione di vendita di Autostrade spa nel 1999, da parte del Governo D’Alema, non fu di straordinaria lungimiranza, se l’obiettivo era costruire un forte gruppo industriale nel settore autostradale. In realtà, si creò una colossale posizione di rendita – rafforzata dalle generose scelte tariffarie del Governo Berlusconi nel 2004 – che ora gli azionisti di Autostrade vanno a riscuotere: per loro, la plusvalenza rispetto al prezzo di acquisto è stata ingente, ma del tutto legittima. Certo si è prodotta a scapito degli automobilisti italiani, ma chi ha consentito per sette anni che ciò avvenisse?

Per coloro che hanno a cuore gli interessi pubblici, non serve piangere sul latte versato, agitare lo spauracchio dello straniero o affliggersi con l’inevitabile debolezza del regolatore. Sarebbe meglio riflettere sugli errori commessi in passato e rimboccarsi le maniche per mettere in moto una buona riforma della regolazione di settore, indipendentemente dal fatto che gli operatori siano italiani o multinazionali.

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