Per incorrere nel reato non è necessario un vero e proprio abuso diretto o indiretto dell’informazione privilegiata. E’ sufficiente il semplice fatto di comunicarla a soggetti non legittimati a riceverla. Né fa eccezione la comunicazione al governo, in funzione dell’eventuale esercizio dei “poteri speciali” riconosciuti dalla legislazione sulle privatizzazioni. Nelle relazioni fra imprenditori e politici alcune abitudini che ai tempi dello “Stato-imprenditore” potevano apparire normali, oggi potrebbero rischiare di sconfinare nell’illiceità penale.

La bufera economico-politica scatenatasi con l’annuncio del piano di ristrutturazione del gruppo Telecom e culminata con le dimissioni del presidente Marco Tronchetti Provera suscita alcuni inquietanti interrogativi anche sotto il profilo penale, per quanto riguarda la valutazione dei flussi informativi (reali o virtuali) che l’hanno caratterizzata. Ciò non interessa tanto la prima parte della storia, ossia il famoso documento riservato di “suggerimenti” o indicazioni per la ristrutturazione del gruppo indirizzato a Telecom da parte del consigliere economico della presidenza del Consiglio – documento il cui apprezzamento rimane nella sfera dell’opportunità politica – quanto piuttosto la fase successiva, ossia la mancata informazione da parte dei vertici Telecom nei confronti del governo in ordine ai contenuti specifici del piano di riassetto, in particolare per quanto riguarda l’ipotesi di uno scorporo di Tim da Telecom.

Informazione doverosa o vietata?

Lo “sconcerto” manifestato pubblicamente dal presidente del Consiglio dei ministri e le critiche rivolte da alcuni organi di stampa al comportamento dei vertici Telecom (1) dovrebbero indurre ad alcune riflessioni più meditate, in quanto eventuali comunicazioni riguardanti operazioni di ristrutturazione societaria di tale importanza strategica, coinvolgenti società con azioni quotate in borsa, apparterrebbero in realtà a una sfera informativa particolarmente delicata e problematica, suscettibile persino di assumere rilevanza penale ai sensi della normativa sull’insider trading.

La disciplina penale dell’insider trading

Integra infatti il delitto di insider trading – ovvero, “abuso di informazioni privilegiate” – il comportamento di colui che, “essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione”, fra le altre ipotesi, “della sua qualità di membro di organi di amministrazione” di una società emittente titoli quotati, opera “su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime”, o anche si limita a comunicare “tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio” delle proprie funzioni, ovvero “raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna” operazione di mercato. Come si vede, non è necessario un vero e proprio abuso (diretto o indiretto) dell’informazione privilegiata, ma è sufficiente a integrare il reato il puro e semplice fatto di comunicare ad altri – a soggetti cioè non legittimati a ricevere tale comunicazione – una “informazione privilegiata”, intendendo per tale – secondo quanto precisato dallo stesso legislatore (articolo 181 Tuf) – “un’informazione di carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”.
Non vi è dubbio, nel caso di specie, che il progetto dei vertici Telecom di procedere alla scissione della società di gestione della telefonia mobile e delle strutture di accesso alla rete fissa rappresentasse di fronte al mercato – e ha rappresentato fino al momento in cui non è stata divulgata al pubblico – una “informazione privilegiata” concretamente suscettibile di “influire in modo sensibile sui prezzi” delle azioni Telecom. Dunque, una informazione rispetto alla quale incombevano sul presidente di Telecom – e sugli altri amministratori a conoscenza della notizia – tutta la serie di obblighi sanciti dalla norma penale, fra i quali il divieto di comunicare a terzi l’informazione.

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Insider trading e “golden share” nelle società privatizzate

Occorre a questo punto chiedersi se possa mai fare eccezione a questo generale divieto la comunicazione nei confronti delle autorità di governo, considerata soprattutto come funzionale all’eventuale esercizio dei “poteri speciali” (la cosiddetta “golden share“) riconosciuti al ministro del Tesoro dalla legislazione sulle privatizzazioni: è vero infatti che fra i poteri speciali attribuibili al ministro ex articolo 2 decreto legge 31 maggio 1994, n. 332 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474) figurava anche un potere di veto su operazioni societarie considerate strategiche, fra le quali venivano espressamente menzionate anche le delibere di scissione di società; ma dal riconoscimento in astratto di un tale potere (3) non sembra che possa facilmente evincersi l’esistenza di un obbligo (e nemmeno di una facoltà) di informazione preventiva dell’autorità governativa circa eventuali progetti di operazioni strategiche non ancora approvati dal consiglio di amministrazione delle società interessate e resi noti al pubblico. Di fonte dunque alla difficoltà di individuare una norma che preveda (esplicitamente o anche solo implicitamente) un obbligo o una facoltà tale da incrinare il rigore del divieto di comunicazione stabilito dalla disciplina repressiva dell’insider trading, il dubbio sulla legittimità di una comunicazione come quella che si lamenta non essere avvenuta nei rapporti fra presidenza Telecom e presidenza del Consiglio dei ministri appare in realtà più che consistente.
Ricordiamo, per concludere, che la normativa penale sull’insider trading e le sue rigorose sanzioni (4) non rappresentano una sorta di “gabbia” per la libertà di manovra degli operatori di mercato imposta arbitrariamente da un legislatore nazionale iper-vincolista. Costituisce, tutto al contrario, una garanzia essenziale dell’affidabilità e serietà del mercato finanziario, imposta da una precisa e dettagliata scelta del legislatore comunitario, che con due direttive – la prima risalente al novembre 1989 e la più recente del gennaio 2003 (5) – ha imposto ai paesi membri l’adozione di misure sanzionatorie efficaci, proporzionate e dissuasive contro il fenomeno dei cosiddetti “abusi di mercato” (abusi di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato), considerati come gravi ostacoli all’efficienza del mercato e alla libertà e lealtà della concorrenza.
Alla luce di tali rigorose regole di derivazione comunitaria debbono pertanto essere verosimilmente ripensati anche certi costumi e abitudini, nelle relazioni fra imprenditori e politici, che in altra epoca (l’epoca dello “Stato-imprenditore”, anziché dello “Stato-regolatore”) potevano forse apparire come normali, o addirittura iscriversi in una sorta di tacito “galateo istituzionale”, e che oggi potrebbero viceversa rischiare di sconfinare nell’illiceità penale.

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(1) Vedi ad esempio M. Giannini, “Profitti privati e perdite pubbliche”, in La Repubblica, 13 settembre 2006, p. 1 e 18, che accenna esplicitamente a un “dovere di informazione” del gestore della rete telefonica nei confronti dello Stato in ordine a piani di ristrutturazione societaria di tale dimensione.
(2) Articolo. 184 del Testo unico sull’intermediazione finanziaria, così come riformato dalla legge comunitaria 2004 (L. 18 aprile 2005, n. 62), in attuazione della direttiva Ce sugli abusi di mercato.
(3) Potere che non risulta peraltro richiamato dall’ultimo intervento legislativo in materia di privatizzazioni: cfr. in proposito l’art. 1, commi 381-384, della legge Finanziaria 2006 (l. 23 dicembre 2005, n. 266).
(4) L’art. 184 Tuf prevede per il delitto di “abuso di informazioni privilegiate” la pena della reclusione da uno a sei anni, congiunta alla multa da 20.000 a 3.000.000 di euro
(5) Direttiva 89/592/Cee del 13 novembre 1989, sul coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading) e direttiva 2003/6/Ce del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato).

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