Lavoce.info

Clima, il destino dell’Europa

Oggi la Commissione europea adotta una Comunicazione al Consiglio dei capi di Stato e di governo e al Parlamento europeo denominata “Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius – Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond”. Il suo punto di partenza è la constatazione che il cambiamento del clima è in atto. Interventi urgenti per contenerlo entro livelli tollerabili sono perciò necessari. Il testo della Comunicazione e lo studio di supporto riaffermano la volontà di intervento e la leadership europea nei confronti del fenomeno.

Oggi la Commissione europea adotta una Comunicazione al Consiglio dei capi di Stato e di governo e al Parlamento europeo denominata “Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius – Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond”. (1)
Il suo punto di partenza è la constatazione che il cambiamento del clima è in atto. Interventi urgenti per contenerlo entro livelli tollerabili sono perciò necessari. In particolare, l’Unione Europea conferma la sua determinazione a limitare l’aumento della temperatura globale media rispetto al livello pre-industriale a 2 gradi centigradi.

Un ruolo da leader

La Comunicazione parte dal presupposto che, se è vero che affrontare il problema dei cambiamenti climatici richiede uno sforzo collettivo da parte di tutti i paesi del mondo, l’Europa si attribuisce il ruolo di leader, di precursore che mostra ad altre nazioni la via. Il documento illustra una serie di azioni per la riduzione delle emissioni di gas clima-alteranti generate dai paesi dell’Unione. Per grandi capi, le proposte operative includono: la definizione di limiti target di riduzione delle emissioni, concettualmente analoghi a quelli del Protocollo di Kyoto; le decisioni che emergono dalla nascente politica energetica comune europea; il rafforzamento del mercato europeo dei permessi di inquinamento; la limitazione delle emissioni nel settore dei trasporti; la riduzione delle emissioni in altri settori, inclusi interventi sui fabbricati residenziali e commerciali, nonché le emissioni di gas-serra diversi dall’anidride carbonica; incentivi e finanziamenti alla ricerca e allo sviluppo tecnologico.
Tuttavia ad attirare l’attenzione dei media sono stati i risultati dell’analisi economica contenuta nel documento di supporto. Così abbiamo letto di “allarme in Europa”, di “catastrofe nel Mediterraneo”, di “Europa 2070: catastrofe del clima”, e più puntualmente di “Italia e Spagna rischiano di più” o di “in spiaggia in Svezia, nel deserto in Italia”. Ancora una volta titoli assai allarmistici, alla stregua di quelli che avevano contraddistinto la pubblicazione del Rapporto Stern
, di cui i documenti della Commissione condividono la tesi centrale: i benefici di un intervento rapido a mitigazione dei cambiamenti climatici eccedono significativamente i costi dell’inazione, che altrimenti comporta seri danni economici e sociali. (2)
Un secondo elemento in comune con il Rapporto Stern è che anche in questo caso le conclusioni e indicazioni sono basate sulle conoscenze scientifiche più aggiornate. Beninteso, si tratta di due testi fondamentalmente diversi e che forniscono risultati anche quantitativi di natura assai differente. Il Rapporto Stern offriva una stima quantitativa dei costi dell’inazione e dei vantaggi dell’intervento immediato commisurati percentualmente al Pil mondiale, “adesso e per sempre”; il documento della Commissione limita invece la sua considerazione ai danni sofferti da certi settori e ambiti a causa del cambiamento del clima. Il Rapporto inoltre adottava un’ottica globale, mentre il documento in parola si concentra sull’Europa.

I contenuti della Comunicazione

Il documento di background prende le mosse da una rassegna aggiornata delle nostre conoscenze in tema di cambiamenti climatici e di loro impatti. Le accresciute emissioni aumentano le concentrazioni in atmosfera e ciò provoca delle reazioni termodinamiche: l’aumento della temperatura media globale e della sua variabilità innesca una serie di effetti (stress) che includono: l’aumento e l’intensificarsi di eventi estremi (inondazioni, uragani, eccetera), l’aumento del livello dei mari, lo scioglimento progressivo dei ghiacciai e della calotta polare, la crescente acidificazione degli oceani, i cambiamenti nella circolazione oceanica e nella salinità dell’acqua, l’aumento degli stress termici (ondate di calore e di freddo), il peggioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, i cambiamenti nelle malattie trasmesse da vettori (insetti) e dall’acqua. Tutti questi stress causano impatti sulle risorse idriche; sulla sicurezza alimentare e sulle modalità dell’attività agricola; sugli ecosistemi terrestri, marini e di acqua dolce; sulle zone costiere; sugli insediamenti urbani; sulle attività dell’industria e sulla domanda di energia; sul settore delle assicurazioni e di altri prodotti finanziari; sulla salute umana. Questi aspetti sono richiamati nelle figure 1 e 2.
Il documento dell’Unione europea utilizza queste nuove conoscenze unitamente a due scenari di crescita globale presi da uno noto studio dell’Ipcc (Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) – uno ad alta crescita ed elevate emissioni e uno più moderato – per calcolare gli impatti e i danni, talora in unità fisiche talora in unità monetarie, in settori come agricoltura, salute, protezione delle zone costiere, rischi di inondazioni, flussi turistici. Sostanzialmente, si tratta di numeri che aggiornano e disaggregano a livello europeo le stime degli impatti che l’Ipcc aveva fornito nel suo Third Assessment Report, summa del sapere in materia, che riportiamo in figura 3. (3) Il documento europeo copre solo alcuni settori, quelli analizzati finora da un progetto finanziato dalla Commissione, denominato Peseta, tuttora in corso. (4)

Leggi anche:  Se l'auto elettrica rallenta

Da uomo a uomo

Nel complesso vi sono tre aspetti di questa analisi che sembra utile sottolineare.
Il primo è illustrato dalla figura 1. Il ciclo degli effetti dei cambiamenti climatici passa attraverso una serie di fasi, originando dall’uomo e ritornando a esso. Le attività economiche, utilizzando energia da fonti fossili, causano emissioni di gas-serra. Queste, attraverso concentrazioni e aumento della temperatura, hanno impatti su un insieme di settori che caratterizzano il nostro sistema economico, ambientale e sociale. Tipicamente si discute di mitigazione, cioè di contenimento delle emissioni, intervenendo all’inizio della catena. È il principio alla base del Protocollo di Kyoto. Le emissioni possono essere contenute, tra l’altro, consumando meno energia, o diversificandola verso le fonti rinnovabili, o ancora – come allora prospettato dai membri del Club di Roma – limitando il tasso di sviluppo economico. In alternativa, o a complemento della mitigazione, si può pensare di intervenire alla fine della catena, laddove gli impatti si sono prodotti, a contenimento del danno: sono le misure di adattamento. Secondo alcuni, dopotutto ciò che conta è l’effetto che i cambiamenti del clima hanno su di noi e sui nostri stili di vita; secondo altri è meglio puntare sull’adattamento perché per la mitigazione siamo ormai in irrecuperabile ritardo.
Il documento della Commissione si occupa in qualche misura anche di adattamento, soprattutto trattando di zone costiere e di inondazioni.
Il secondo punto che emerge dallo studio è che i cambiamenti del clima sono differenziati non solo temporalmente, ma anche geograficamente. Questo fatto è ben documentato dalla figura 3 con riferimento alle grandi regioni del mondo, ma vale anche per i vari paesi dell’Unione nella misura in cui le alterazioni del clima influenzano il nord ed il sud dell’Europa in maniera differente. Gli interventi comunitari, soprattutto sul fronte dell’adattamento, devono tenerne conto.
Il terzo e ultimo punto è che i cambiamenti del clima portano danni, ma anche vantaggi, comportano dei costi, ma anche dei benefici. Famosa è la battuta attribuita al presidente Putin, secondo cui per la Russia il riscaldamento globale è un vantaggio perché non saranno più necessari i cappotti di pelliccia per proteggersi dal freddo. Più seriamente, si può notare che quest’anno per la prima volta navi non rompighiaccio potranno percorrere completamente le rotte artiche a nord di Canada e Russia, con conseguente significativo risparmio sui costi di trasporto. Anche a livello europeo, se l’industria turistica italiana e spagnola avessero a soffrire, quella scandinava e britannica potrebbero conoscere una consistente espansione. Più in generale alcuni settori di attività economica sarebbero soggetti a costi e difficoltà crescenti, mentre altri trarrebbero consistenti benefici. Il tema della perdita di competitività in seguito ai cambiamenti climatici, spesso paventata dai rappresentanti dell’industria europea, è ancora aperto e la risposta finale non è ancora stata scritta. Il documento non manca infine di sottolineare i co-benefici in termini di occupazione che si verificherebbero in seguito a un’espansione delle attività legate all’energia rinnovabile, in un’ottica di politica europea che persegua il fine della sicurezza energetica, co-benefici che riguardano anche altri ambiti come la qualità dell’aria (minori emissioni nei settori della produzione elettrica e dei trasporti).
In conclusione, viene oggi adottata una Comunicazione che riafferma la volontà di intervento e la leadership europea nei confronti del fenomeno dei cambiamenti del clima. È altamente auspicabile che altri paesi, anzitutto tra quelli sviluppati, ne seguano l’esempio per rendere più efficace lo sforzo messo in atto dai paesi volenterosi.

Leggi anche:  Politiche ambientali tra redistribuzione e consenso


(1)
Il testo della comunicazione ed il documento di background paper è scaricabile all’indirizzo http://www.endseuropedaily.com/docs/61220a.doc e http://www.endseuropedaily.com/docs/61220b.doc.
(2) Il rapporto Stern è scaricabile all’indirizzo
www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/stern_review_report.cfm.
(3) Il quarto rapporto Ipcc, con dati aggiornati al 2006, sarà pubblicato sul finire di quest’anno. Un aggiornamento sul tema degli impatti a opera di uno dei più noti studiosi dell’argomento è contenuto in Richard S.J. Tol, “Why Worry about Climate Change’ A Research Agenda”, Fondazione Eni Enrico Mattei working paper n. 136.2006 (novembre 2006), scaricabile all’indirizzo www.feem.it.
(4) Peseta sta per “Projections of Economic Impacts of Climate Change in Sectors of Europe Based on Bottom-up Analysis” ed è finanziato dall’Institute of Prospective Technological Studies, Joint Research Centre di Seviglia, un centro di ricerca dell’Unione europea. Uno dei partners di questo progetto, e unico italiano, è la Fondazione Eni Enrico Mattei.


Figura 1: Catena degli effetti dei cambiamenti climatici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Figura 2: Classificazione degli impatti dei cambiamenti climatici

 

 

 

 

 

 

 

 


Figura 3: Stima dei danni fisici dei cambiamenti climatici

 

 

 

 

 

 

 

 


Source: Adapted from IPCC 1996

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Chi ci guadagna se l'aria in centro è più pulita

Precedente

La Finanziaria, una legge “speciale”

Successivo

I fondi pubblici per l’università

  1. Marco Solferini

    Prima di tutto voglio sottolineare l’importanza fondamentale di interessarsi a questo argomento. Purtroppo l’ambiente spesso viene ricompreso nell’arcipelago confusionario e a volte visionario delle buone intenzioni, fini a se stesse. Il ragionamento pragmatico di sviluppo sostenibile parte invece dalla neutralità dell’empirico dato matematico. Dove c’è realismo e ragionevolezza sopravvie anche la maturità di scelte non approssimative. Nei 15 anni trascorsi la politica dell’allarmismo catastrofico ha paradossalmente allontanato l’interesse della pubblica opinione su di una tematica che, come si evince dall’articolo dell’Autore, ha ripercussioni globali e non facilmente, prevedibili come tali controllabili. Non si tratta di salvare il Pianeta, né di puntare l’indice e fare un processo di piazza contro qualche “cattivo” di turno, si tratta invece di educare al rispetto verso la vita, di cui siamo parte e portatori, sottolineo che è la scienza il motore che risponde al quesito inespresso di come e quanto sopravviveremo a noi stessi, all’ignoranza, a volte, alla distrazione in altre circostanze. Questa è una sfida che si combatte in casa, ma è disarmante constatare quanto poco gli Italiani leggano o si documentino sull’argomento in termini scientifici. Siamo al gradino più basso di abbonamenti a riviste specializzate di settore. I giovani sono più attenti e su internet si documentano di più, grazie a siti dedicati. Questa non è UNA battaglia qualunque, può diventare LA battaglia che deciderà l’evoluzione.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén