Lavoce.info

Se il mercato non ha notizie

Le sanzioni della Consob alla Ifil, alla Giovanni Agnelli & C e ai loro vertici per manipolazione del mercato hanno provocato una reazione del gruppo torinese che suona pressappoco così: senza le operazioni incriminate non ci sarebbe la Fiat risanata e in ripresa. La maggior parte dell’informazione italiana si è allineata a questo giudizio. Ma davvero la mancata comunicazione al mercato di notizie rilevanti è servita al salvataggio? Per farsi un’opinione può servire una ricostruzione della complessa vicenda (sulla quale lavoce.info era già intervenuta), dalla stipula di un contratto derivato nel 2005 alla scoperta di un misterioso documento.

“Fanno la fortuna di Fiat e la Consob li punisce”. Questo il titolo più esplicito (sulla prima pagina del quotidiano Libero) che riflette l’atteggiamento assolutorio con cui la grande maggioranza della stampa italiana ha riportato e commentato la notizia delle sanzioni alla Ifil, alla Giovanni Agnelli & C. e ai loro vertici. Complessivamente 16 milioni di euro e la sospensione da ogni carica sociale per Gianluigi Gabetti (6 mesi), Franzo Grande Stevens (4 mesi), Virgilio Marrone (2 mesi) comminati dalla Consob per false comunicazioni sociali. L’indulgenza dei giornali si allinea alla dichiarazione che il presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, ha rilasciato a botta calda il 13 febbraio: “Senza l’equity swap (il contratto finanziario all’origine della vicenda, ndr) non ci sarebbe stata la Fiat di oggi”.
Poche le voci dissonanti, come i commenti di Alessandro Penati sulla Repubblica dal titolo significativo “Provaci ancora Consob”, di Galapagos sul Manifesto (“Difesa sospetta dei furbetti di Torino”), di Biagio Marzo sull’Opinione. Ancora una volta la Fiat è riuscita a convincere delle proprie ragioni la maggior parte del mondo dell’informazione, solitamente incline ad additare il rigore della Sec americana come esempio da seguire per garantire la trasparenza del mercato e tutelare gli investitori che non sono insider.
La casa automobilistica torinese è uscita da una lunga e profonda crisi, ha rimesso in sesto i bilanci, guadagna quote di mercato, in meno di due anni ha quadruplicato il proprio valore di borsa. È giusto, dunque, “disturbare il manovratore” con le sanzioni erogate la scorsa settimana in nome della trasparenza? Per farsi un’opinione in proposito, giova ripercorrere brevemente le storia dell’equity swap e rileggersi la norma che ha originato l’azione dell’autorità del mercato finanziario.

Mai così in basso

Il 20 aprile 2005 il titolo Fiat tocca i minimi di borsa, 4,52 euro. La casa automobilistica parrebbe a rischio di scalata. Entra in scena Exor, società lussemburghese al 70 per cento della Giovanni Agnelli & C e al 30 per cento della Ifil, due delle casseforti in cui è conservato il controllo di fatto della Fiat, poco più del 30 per cento . Gabetti è presidente e amministratore delegato di Ifil, presidente di Exor e della Giovanni Agnelli & C. Grande Stevens è amministratore di Ifil e di Exor.
Il 26 aprile Exor dà mandato alla Merrill Lynch di acquistare sul mercato 90 milioni di azioni Fiat a 5,5 euro con il patto che a scadenza pagherà l’eventuale minusvalenza rispetto ai prezzi di mercato oppure incasserà dalla banca d’affari l’eventuale plusvalenza. Si tratta di un equity swap, un contratto derivato che non prevede la consegna fisica dei titoli a Exor perché rappresenta in sostanza una scommessa di Exor sul buon andamento del titolo Fiat. Merrill Lynch, dunque, rastrella le azioni da quel giorno di aprile, anche se comunica alla Consob soltanto il superamento della prima soglia rilevante di partecipazione, 2 per cento del capitale (le successive sono 5, 7,5, 10 per cento e i successivi multipli di 5) quando le percentuali in gioco superano sicuramente la terza soglia (7,5).
Il titolo Fiat continua a mettere a segno consistenti rialzi. In luglio veleggia verso 7 euro e il mercato si interroga sulle ragioni di un andamento tanto positivo. Esistono informazioni rilevanti che conoscono gli insider e non la generalità degli investitori?
Il 21 luglio la Consob chiede a Fiat e Ifil un comunicato di commento. La risposta è secca: “(…) la Società non dispone di alcun elemento utile o di informazioni relative a fatti rilevanti tali da influire sulle quotazioni”. Il 24 agosto, superata quota 7 euro, la Commissione ripete la richiesta. Identica risposta.

Leggi anche:  Tutto cambia, ma non la Rai

Rischio di Opa

Intanto si sta avvicinando il momento dell’esercizio del cosiddetto convertendo, vale a dire la data in cui le banche che hanno finanziato con 3 miliardi di euro la Fiat in crisi convertono il loro credito in azioni della casa automobilistica mediante aumento di capitale. L’azionista di maggioranza rischia di vedere la propria quota diluita nell’operazione, scendendo a poco più del 22 per cento a meno che non ricostituisca la propria posizione acquistando (per esempio dalle banche stesse) un pacchetto dell’8 per cento. È questa un’ipotesi che Grande Stevens sottopone alla Consob in quel mese di agosto per accertare che, in caso l’acquisto avvenga contestualmente all’aumento di capitale al servizio del convertendo, la Commissione non ravvisi l’obbligo di Opa totalitaria, che scatta al raggiungimento del 30 per cento del capitale e che sarebbe pressoché insostenibile finanziariamente per il gruppo Agnelli. Grande Stevens, che non fa parola dell’esistenza dell’equity swap, viene rassicurato dalla Consob.

Colpo di scena

Tra il 15 e il 20 settembre 2005 matura l’esercizio del convertendo. Se l’azionista di maggioranza della Fiat volesse mantenere la posizione acquistando dalle banche, pagherebbe un prezzo salato: 10,28 euro per azione (valore del convertendo) a fronte di un prezzo di borsa di 7,76 (15 settembre). Invece Ifil rende nota una soluzione diversa: mantiene nella Fiat il 30,6 per cento acquistando da Exor 82.250.000 azioni al prezzo di 6,5 euro. A sua volta Exor ha rilevato tale pacchetto da Merril Lynch a 5,5 euro modificando, proprio quel 15 settembre, il contratto di equity swap: non più l’incasso della plusvalenza secondo la scommessa originaria, ma la consegna fisica dei titoli sottostanti il derivato. In altre parole, un’operazione puramente finanziaria è diventata un’operazione strategica.

L’indagine

È a questo punto che la Consob avvia un’indagine per chiarire anzitutto se, come sostiene il gruppo Agnelli, l’idea di utilizzare l’equity swap sia nata nei primi giorni di settembre o molto prima (forse già alla stipula del contratto derivato, il 26 aprile, come sospettano molti sul mercato) e pertanto se nei comunicati di luglio e agosto si configuri la violazione degli obblighi di disclosure.
Nel corso delle indagini dell’autorità di vigilanza, cui si sono aggiunte le inchieste per manipolazione del mercato di due procure della Repubblica (Torino e Milano), è emerso un documento su carta intesta Merrill Lynch datato 15 luglio 2005 (forse un aggiornamento di uno scritto di data anteriore, sospetta la Consob) che contiene una dettagliata presentazione dell’operazione che avrebbe avuto il suo epilogo a settembre. Non è questa l’unica prova raccolta dalla Consob, ma certamente quella risolutiva.
Nel corso della lunga istruttoria, le società e i loro vertici si sono difesi negando ogni nesso intenzionale tra la stipula dell’equity swap e l’operazione di settembre, hanno sostenuto che Exor, Ifil e i loro amministratori ignoravano i reciproci progetti e hanno cercato di dimostrare che il progetto finale è maturato soltanto poche settimane prima dell’esercizio del convertendo.

Leggi anche:  Quelle esportazioni cinesi che non finiscono mai di stupirci

La sentenza

La Consob non ha creduto alla ricostruzione dei fatti dei manager di Torino. Ha ritenuto “che al 24 agosto 2005 (…) era stato studiato ed era già in corso di attuazione il progetto finalizzato a conservare al 30 per cento la partecipazione di Ifil in Fiat, contestualmente all’esecuzione dell’aumento di capitale sociale al servizio del “convertendo” con le banche; che tale progetto era fondato sull’esistenza del contratto di equity swap stipulato in data 26 aprile 2005 (…)”. E di conseguenza i comunicati diffusi il 24 agosto 2005 “contenevano una rappresentazione falsa della situazione all’epoca esistente”. Configurando la violazione dell’art. 187-ter del Testo unico della finanza intitolato “Manipolazione del mercato” che punisce chi “diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari”.
La vicenda non è destinata a finire qui. Sia perché i sanzionati hanno annunciato ricorso alla Corte d’appello, sia perché proseguono le indagini penali, ma anche perché la Consob non ha probabilmente terminato il lavoro sul dossier. Rimane infatti da chiarire il mistero dell’unica partecipazione rilevante dichiarata da Merrill Lynch, rimangono da esaminare i ruoli svolti da altri attori nella vicenda e potrebbe addirittura essere ripresa in esame l’esenzione dall’Opa alla luce dei fatti emersi dall’istruttoria.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Quelle esportazioni cinesi che non finiscono mai di stupirci

Precedente

Più pubblica o più privata?

Successivo

Perché serve la valutazione individuale dei lavoratori nel settore pubblico

  1. Franco benoffi gambarova

    Vorrei consigliare all’estensore della nota, che non
    aggiunge alcunchè a quanto già noto, di documentarsi prima di sparare. L’azionista di minoranza di Exxor NON è IFIL ma IFI. Non dovrebbe essere difficile consultare i siti delle
    società menzionate per averne conferma.
    Non entro nel merito della vicenda perchè non ho l’abitudine di discutere le sentenze, sopratutto mentre è in corso l’esame di un ricorso.
    Mi permetto solo di chiedermi “cui nocuit?” e consigliare in questo caso la consultazione dei testi che usammo nelle scuole medie.

    Franco Benoffi-Gambarova, Lecco

    • La redazione

      L'”estensore dell’articolo” non ha “sparato”, ha raccontato i fatti. E’ incorso nell’errore segnalato dall’attento lettore Benoffi-Gambarova e siscusa, rilevando che l’errore è comunque ininfluente sul corso degli eventi
      esposti. Alla domanda “cui nocuit” ogni lettore può dare la propriarisposta. Una cosa è fuor di dubbio: la generalità degli investitori (il mercato) che in quel periodo ha preso decisioni di investimento o disinvestimento sul titolo Fiat lo ha fatto senza conoscere quelli che la Consob ha ritenuto fatti rilevanti. La credibilità e l’efficienza del mercato borsistico hanno come fondamento il rispetto delle regole e la
      “disclosure” delle notizie che possono influire sui corsi dei titoli.

  2. Fabrizio Balda

    Vorrei solo riportare l’attenzione sull’operazione Telecom – Pirelli, in cui una delle più grandi aziende italiane è passata di mano senza che i piccoli azionisti se ne siano accorti. Dov’era allora la Consob?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén