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Vero o falso? Capitolo “università”

Si è discusso di università in una puntata di AnnoZero. Conduttore, ministro e ospiti hanno elencato qualche cifra in libertà. Sulla spesa per studente dei vari paesi e su quella di singoli atenei, soprattutto americani. E anche le “classifiche” delle migliori università hanno riservato notevoli sorprese. Come sempre, cerchiamo di fare chiarezza.

Nel corso della puntata del 3 maggio 2007 di “AnnoZero”, la trasmissione in onda su RaiDue condotta da Michele Santoro, si è parlato fra l’altro di università, con la partecipazione del ministro per l’Università e la ricerca, Fabio Mussi. Nel corso del programma sono state fatte alcune interessanti affermazioni.

1. Il ministro Mussi ha affermato che “lo Stato negli Stati Uniti mette molti più soldi nell’università che in Italia”. Inoltre, secondo il ministro, l’Italia spende per studente troppo poco: €8,700 l’anno, meno di paesi come Gran Bretagna (€9,800), Francia (€9,600), Germania (€11,000) e Scandinavia (€13,000). Vero o Falso?

È difficile fare un confronto con gli Stati Uniti, perché la maggior parte delle università sono private, e quelle pubbliche sono prevalentemente finanziate dai singoli stati. Ma è possibile fare un confronto con il sistema inglese, particolarmente utile perché è esclusivamente pubblico, come gran parte di quello italiano.
Innanzitutto, la differenza fra le cifre fornite dal ministro sulla spesa per studente in Italia e nel Regno Unito sembra modesta (10 per cento) e non tale da giustificare la differenza nelle prestazioni.. Un’idea più precisa può essere ottenuta guardando alla spesa per studente e per docente desunta dai singoli bilanci di ogni università, e convertita in una moneta unica secondo la Parità di potere d’acquisto, per tenere conto del diverso potere di acquisto di 1 euro in Gran Bretagna e in Italia. Un tale esercizio è stato fatto da Roberto Perotti sul Sole-24Ore del 30 novembre 2006.
Se guardiamo alla spesa per studente undergraduate – ovvero per studenti non iscritti a corsi di specializzazione quali master e dottorati di ricerca – equivalenti a tempo pieno nell’anno accademico 2003/2004 in Italia abbiamo speso 15,400 dollari (aggiustati per la parità di potere d’acquisto), il 20 per cento in meno che nel Regno Unito nell’a.a. 2004/2005, dove il dato è circa 19,600 dollari
Tuttavia, la spesa per studente non è l’unico indicatore importante della qualità relativa dell’università italiana. Sembrerebbe importante considerare anche la qualità della didattica, ovvero l’attenzione ricevuta dagli studenti da parte dei docenti.
Un modo per “misurare” questo particolare aspetto è calcolare il rapporto tra studenti e docenti, tenendo in considerazione la più alta percentuale di studenti iscritti ma non frequentanti nel sistema italiano. Considerando il numero di “studenti equivalenti a tempo pieno”, il rapporto tra studenti e docenti totali non è molto diverso per i due paesi. Se in Italia nell’a.a. 2003/2004 c’erano circa 9 studenti per docente, in Gran Bretagna nell’a.a. 2004/2005 ce n’erano invece circa 12. Le risorse “didattiche” a disposizione degli studenti italiani sembrerebbero quindi addirittura maggiori di quelle dei colleghi britannici.

2. Secondo Michele Santoro Harvard “spende ogni anno 20 miliardi di dollari circa” (nessun presente, incluso il ministro, ha smentito questa cifra). Secondo il senatore Marino, – presidente della commissione Igiene e sanità del Senato e docente all’università Thomas Jefferson di Filadelfia – l’entità del fondo che finanzia le spese di Harvard è di circa 50 miliardi di dollari. Vero o Falso?

C’è molta confusione fra il fondo di dotazione e la spesa annuale, e sull’entità di entrambe. Essendo privata, Harvard si finanzia principalmente con i guadagni su un fondo di dotazione (la sua “ricchezza finanziaria”) accumulato negli anni con donazioni, commesse eccetera e investito in una varietà di attività finanziarie. Il fondo di dotazione era, nel 2005, di circa 26 miliardi di dollari. Tuttavia, la spesa finanziabile da questo fondo è ovviamente assai inferiore ai 30 miliardi; per avere un ordine di grandezza, è utile pensare alla spesa finanziabile ogni anno come gli interessi (più i dividendi eccetera) ottenibili dal fondo stesso. Di fatto, la spesa totale di Harvard nel 2005 è stata di circa 2,75 miliardi di dollari, circa 1/7 di quanto affermato da Michele Santoro (si veda http://vpf-web.harvard.edu/budget/factbook/current_facts/2006OnlineFactBook.pdf). Del resto, se Harvard spendesse veramente ogni anno 20 miliardi di dollari, spenderebbe da sola circa l’1 per cento del Pil italiano!

3. Il ministro Mussi ha affermato che vi sono “100 università italiane tra le 500 migliori al mondo”, e che se si prende in considerazione “il ranking corretto per dimensione”, due atenei italiani si piazzerebbero tra le prime 22. Vero o Falso?

È necessario premettere che tutte le classifiche delle università sono soggette a numerose possibili critiche (per un’interessante discussione si veda per esempio http://en.wikipedia.org/wiki/University_rankings#Academic_Ranking_of_World_Universities. Tuttavia, se i criteri per definire le classifiche sono esplicitati chiaramente, possono essere un utile elemento di dibattito. (1)
Il ministro sembrerebbe fare riferimento alla classifica (o ranking) annuale delle migliori 500 università al mondo commissionata dal governo cinese all’università Jiao Tong di Shangai (http://ed.sjtu.edu.cn/ranking.htm). Secondo questo ranking le università europee tra le prime 500 al mondo sono 207, di cui 23 italiane. Tra queste, la migliore è La Sapienza, 100esima. Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Israele, Giappone, Olanda, Norvegia, Russia, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti hanno tutti una o più università con ranking inferiore a 100.
La classifica cinese prende in considerazione la qualità dell’output di ricerca e la qualità della formazione universitaria impartita, oltre che quella dei docenti. Tuttavia, è influenzata dalle dimensioni di un ateneo. Ad esempio, poiché un modo di valutare la qualità di un lavoro di ricerca consiste nel contare il numero di citazioni ricevute, a parità di qualità un istituto che produce più lavori perché ha più ricercatori realizza un punteggio maggiore.
Quando il punteggio totale viene diviso per il numero dei ricercatori presenti in un ateneo, eliminando così l’influenza del fattore dimensione, due università italiane, la Sns di Pisa e la Sissa di Trieste, figurano tra le prime 30 al mondo (tabella 1). La Sapienza, che è una delle università più grandi del mondo, scende dal 100esimo al 395esimo posto. Si noti che, con quattro eccezioni, tutte queste università sono in paesi anglosassoni.
Ogni classificazione richiede che vengano stabiliti dei criteri, e che a ognuno sia attribuito un certo peso. Tanto la scelta dei criteri quanto quella dei pesi riflettono necessariamente un certo grado di arbitrarietà. In particolare, il ranking cinese potrebbe essere distorto dal fatto che risultati raggiunti nel campo delle scienze naturali hanno un peso relativo maggiore nella valutazione. Sono disponibili le classifiche per 5 gruppi disciplinari, che purtroppo però non eliminano il fattore dimensione. In queste classifiche per aree disciplinari, solo 4 università italiane figurano tra le prime 100; nessuna italiana è fra le prime 100 nelle scienze sociali (http://ed.sjtu.edu.cn/ARWU-FIELD.htm).
La classifica cinese non è comunque l’unica disponibile. Una fonte non sospetta di livore anti-italiano è la Commissione Europea. Nel 2004 ha stilato una classifica delle università europee che presentano un fattore di impatto misurato per citazioni più alto della media mondiale (http://cordis.europa.eu/indicators/third_report.htm). Nessuna delle 22 università della lista vanta cittadinanza italiana (tabella 2).

Leggi anche:  Fin dove arriva la responsabilità delle piattaforme

Tabella 1: Classifica delle 30 migliori università al mondo ponderata per dimensione

Fonte: http://ed.sjtu.edu.cn/rank/2006/ARWU2006TOP500list.htm

Classifica

Ateneo

Paese

Punteggio ottenuto (su 100)

1

California Inst Tech

Stati Uniti

100

2

Harvard Univ

Stati Uniti

73,6

3

Univ Cambridge

Regno Unito

66,5

4

Stanford Univ

Stati Uniti

65,3

5

Princeton Univ

Stati Uniti

58

6

Massachusetts Inst Tech (MIT)

Stati Uniti

53,6

7

Univ California – Berkeley

Stati Uniti

53,1

8

Swiss Fed Inst Tech – Zurich

Svizzera

52,6

9

Yale Univ

Stati Uniti

49,3

10

Univ California – San Francisco

Stati Uniti

48,2

11

Univ California – San Diego

Stati Uniti

47,1

12

Univ Oxford

Regno Unito

46

13

Columbia Univ

Stati Uniti

45,8

14

Univ Toronto

Canada

44,8

15

Univ Chicago

Stati Uniti

41,8

16

London Sch Hygiene & Tropical Med

Regno Unito

41,6

17

Int Sch Adv Studies – Trieste

Italia

40,9

18

Swiss Fed Inst Tech – Lausanne

Svizzera

40,7

19

Washington Univ – St. Louis

Stati Uniti

40,4

20

Duke Univ

Stati Uniti

40,3

21

Imperial Coll London

Regno Unito

40,2

22

Cornell Univ

Stati Uniti

40,1

23

Univ Pennsylvania

Stati Uniti

40

24

Scuola Normale Superiore – Pisa

Italia

39,8

25

Rockefeller Univ

Stati Uniti

38,4

26

Northwestern Univ

Stati Uniti

36,7

27

Univ British Columbia

Canada

36,6

28

Vanderbilt Univ

Stati Uniti

36,2

29

Univ California – Santa Barbara

Stati Uniti

35,7

30

Univ Rochester

Stati Uniti

35,6

 

Tabella 2: Classifica delle università europee che raggiungono un fattore di impatto per numero di citazioni maggiore del fattore di impatto medio mondiale

Fonte: ftp://ftp.cordis.europa.eu/pub/indicators/docs/3rd_report_snaps10.pdf

Classifica

Ateneo

Paese

1

Univ. Cambridge

Regno Unito

2

Univ. Oxford

Regno Unito

3

Eindhoven Univ. of Technology

Olanda

4

Tech. Univ. Munich

Germania

5

Univ. Edinburgh

Regno Unito

6

Univ. Freiburg

Germania

7

Univ. Karlsruhe

Germania

8

Univ. Twente

Olanda

9

Erasmus Univ.

Olanda

10

Univ. Heidelberg

Germania

11

Univ. Strasbourg 1

Francia

12

Univ. Helsinki

Finlandia

13

Univ. London

Regno Unito

14

Univ. Amsterdam

Olanda

15

Leiden Univ.

Olanda

16

Univ. Catholique de Louvain

Belgio

17

Delft Univ. of Technology

Olanda

18

Tech. Univ. Denmark

Danimarca

19

Univ. Stuttgart

Germania

20

Free Univ. Amsterdam

Olanda

21

Karolinska Inst.

Svezia

22

Univ. Antwerp

Belgio 

 

 

Tabella 3: Classifica per qualità della didattica secondo il THES – top 30

Fonte: elaborazione su dati http://www.topuniversities.com/worlduniversityrankings

Classifica

Ateneo

Paese

1

Duke University

Stati Uniti

2

Yale University

Stati Uniti

3

Eindhoven University of Technology

Olanda

4

University of Rochester

Stati Uniti

5

Imperial College London

Regno Unito

6

Sciences Po Paris

Francia

7

Tsing Hua University

Cina

8

Emory University

Stati Uniti

9

Vanderbilt University

Stati Uniti

10

University of Geneva

Svizzera

11

Wake Forest University

Stati Uniti

12

Case Western Reserve University

Stati Uniti

13

Mie University

Giappone

14

Columbia University

Stati Uniti

15

Washington University in St. Louis

Stati Uniti

16

University of Chicago

Stati Uniti

17

Vrije University Brussels

Belgio

18

University College London (UCL)

Regno Unito

19

Universität Ulm

Germania

20

Kumamoto University

Giappone

21

Yeshiva University

Stati Uniti

22

Peking University

Cina

23

Ecole Normale Supérieure

Francia

24

Austral Univ

Argentina

25

California Institute of Technology

Stati Uniti

26

Johns Hopkins University

Stati Uniti

27

Universidad Nacional Autónoma de México

Messico

28

University ORT de Uruguay

Uruguay

29

École Polytechnique

Francia

30

School of Oriental and African Studies

Regno Unito

 

Tabella 4: Classifica per qualità della ricerca secondo il THES – top 30

Fonte: elaborazione su dati http://www.topuniversities.com/worlduniversityrankings

Classifica

Ateneo

Paese

1

Harvard University

Stati Uniti

2

University of California, Berkeley

Stati Uniti

3

Stanford University

Stati Uniti

4

University of Cambridge

Regno Unito

5

Massachusetts Institute of Technology

Stati Uniti

6

University of Oxford

Regno Unito

7

California Institute of Technology

Stati Uniti

8

University of Tokyo

Giappone

9

Princeton University

Stati Uniti

10

Yale University

Stati Uniti

11

Australian National University

Australia

12

University of Toronto

Canada

13

University of Melbourne

Australia

14

National University of Singapore

Singapore

15

Cornell University

Stati Uniti

16

Imperial College London

Regno Unito

17

Peking University

China

18

University of California, Los Angeles

Stati Uniti

19

Kyoto University

Giappone

20

University of Texas at Austin

Stati Uniti

21

University of Sydney

Australia

22

University of California, San Diego

Stati Uniti

23

University of Chicago

Stati Uniti

24

Columbia University

Stati Uniti

25

Ecole Normale Supérieure

Francia

26

Johns Hopkins University

Stati Uniti

27

ETH Zurich

Svizzera

28

McGill University

Canada

29

Monash University

Australia

30

University of Edinburgh

Regno Unito

 

(1) Per chi volesse farsi un’idea più approfondita circa le classifiche disponibili, consigliamo di cominciare da http://en.wikipedia.org/wiki/University_rankings

* a cura di Anna Zabai per la redazione de lavoce.info

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14 commenti

  1. ferrante francesco

    Mi dispiace dovere rilevare che il calcolo utilizzato per misurare il rapporto docenti/studenti in Italia non è metodologicamente corretto.
    Il numero di docenti è stato calcolato includendo il numero di contratti rilevati dal MIUR. Notoriamente, i contratti (sostitutivi e integrativi) includono prestazioni molto diverse, comunque notevolmente inferiori, per numero di ore, a quelle di un docente strutturato. I contratti integrativi non superano spesso le 20 ore di durata.

  2. Davide Pinardi

    Come mai il nord Europa è praticamente assente da tutti questi elenchi? Sono Paesi globalmente all’avanguardia sul piano tecnologico, hanno dinamiche economiche apprezzabili, tutti parlano un inglese perfetto, non vi è troppa ingiustizia sociale… Forse sarebbe il caso di ripensare i criteri con i quali vengono fatte queste graduatorie e introdurrne di diversi. Per fare qualche esempio: il livello didattico medio, il “buonsenso formativo distribuito”, il beneficio collettivo della ricerca ecc. Non sarebbe bene uscire dalla subalternità a mitologie anglo-americane ( non soltanto in relazione al caso del Fondo Monetario…)?

  3. Vito Svelto

    La recente publicazione di dati essenziali riguardanti gli studi di Ingegneria in USA, proveniente dalla ASEE (American Society for Engineering Educaion), consente qualche considerazioni di confronto con la situazione italiana.
    Senza voler qui riportare i dati, si deduce che il rapporto laureati su docenti di ruolo è sostanzialmente pari a 5, sia in America che in Italia; ci si riferisce a coloro che conseguono titoli sia di primo sia di secondo livello (bachelor +master). E’ proporzionalmente inferiore in Italia il numero di coloro che conseguono il Dottorato, che costituisce un problema per la ricerca universitaria e per quella nel paese.
    Due sono le differenze notevoli, sempre nell’area dell’Ingegneria. La principale riguarda il finanziamento della Ricerca. Le spese per la ricerca, sempre in Ingegneria, ammontano negli USA, nell’anno 2004, a 5523 M$, di cui 4324M$ da fondi pubblici (Federale o stati). Di conseguenza il finanziamento alla ricerca, derivante dalle varie agenzie e stati è pari al 79% del totale!! Il finanaziamento diretto delle Industrie è molto limitato e pari a 671 M$. Considerando, inoltre che i professori di ruolo(tenure) in USA sono indicati come pari a 22.269, si ha che ogni docente ha in media 250K$. Tale importo è nettamente superiore alle disponibilità in Italia, comunque si effettui il confronto. Questo per i valori medi. (Il leader in questa classifica, MIT, ha spese, solo per ricerca in Ingegneria, pari a 216,5 M$ nell’anno)
    Un altro aspetto riguarda la distribuzione dei docenti tra le tre fasce di ruolo; i Full professor eguagliano, all’incirca, la somma degli Asssociate professor e degli Assistant professor; la distribuzione non è piramidale, ma a fungo!!
    Pur non ritenendo che le difficoltà della ricerca in Italia discendano solo dalla scarsità dei finanziamenti, certamente gli importi disponibili contribuiscono alla scarsità di risultati.

  4. Alfonso Fuggetta

    Concordo sul fatto che c’è una differenza tra fondi e spesa corrente. Cionondimeno, se si vanno a confrontare i budget annuali delle diverse università, si possono notare delle differenze abissali rispetto all’Italia. I budget annuali di Stanford, MIT e Harvard sono superiori ai 2 miliardi di dollari (come detto anche nell’articolo). Il Politecnico di Milano, che ha lo stesso numero di professori di MIT e circa 4 volte il numero degli studenti (a proposito di rapporto studenti-docenti), ha un budget di poco superiore ai 300 Milioni di euro.

    Certe statistiche annegano i fenomeni mediandoli. Andando a guardare i casi concreti delle realtà più significative credo si possano avere dei riscontri molto interessanti.

  5. alberto bisin

    Quante le italiane nelle prime 500 secondo il ranking utilizzato dal Ministro quando sia rinormalizzato per la dimensione?

  6. Marco Solferini

    L’approssimazione è un dazio, dolce amaro, di qualunque programma televisivo che voglia approfondire un argomento, nel contenuto limite temporale della trasmissione, che dal raffronto fra le cifre riesce a trarre un dato, forse poco elegante e stilisticamente impreciso, ma in grado di appassionare e coinvolgere il telespettatore. Ovvio che se si volesse veramente operare un paragone fra le Università Italiane e quelle Americane danneggeremmo anzitutto l’Amozzonia, in quanto poveri alberi, per la carta da utilizzare. Ciò posto io non riesco a condividere lo stile della critica sensazionalistica con la quale si cerca il difetto e si insinua il vizio, attraverso il minimo comune denominatore della genericità e della massimizzazione di contenuti. Non lo condivido anzitutto perchè non è costruttivo negli intenti e nelle finalità, oltremodo diventa diseducativo in quanto decade nel drastico, poi nel paradossale e infine suggerisce una placida affermazione del luogo comune. Gli argomenti seri andrebbero trattati con serietà e sopratutto nell’ambito di un contraddittorio pieno: meno inquisizione giornalistica e più dibattito, virtuoso e con realismo. Altrimenti la puntata può essere sottotitolata “tarallucci e vino”.

  7. Camillo Lanzinger

    1) La disinformazione attuata per mezzo della televisione da persone che l’opinione pubblica reputa affidabili, almeno per il ruolo sociale che ricoprono, è un fattore letale per la democrazia. Le presunte scusanti legate alla questione del poco tempo a disposizione, della necessità di lanciare dei messaggi chiari e facilmente comprensibili, dell’affaticamento dello spettatore a fronte di spiegazioni complesse sono risibili. Quando un conduttore, un politico o un esperto ritengono un loro dovere semplificare i concetti per darli in pasto ad un pubblico di handicappati mentali, e di fatto operano delle manipolazioni sui concetti, la Società civile dovrebbe intervenire.
    2) Si sta affermando nella nostra Società una dipendenza psicologica dalle “classifiche” basata di nuovo su forzature e su azioni di disinformazione delle quali non è difficile capire lo scopo anche senza essere “vittime della sindrome del complottismo”.
    Che la misura dipenda dallo strumento di misura, che a sua volta viene scelto in funzione di quello che si voglia misurare è noto. L’articolo dimostra una volta di più come questo concetto sia vero in modo generalizzato, anche in ambienti diversi da quello fisico-ingegneristico.
    Che in Italia ben pochi si adoperino per rendere di opinione comune questo concetto può alimentare un certo pessimismo sull’evoluzione democratica del Paese, se tra i temi caratteristici della democrazia intendiamo anche quello della crescita della consapevolezza del cittadino-decisore.
    Vorrei azzardare un collegamento anche al problema dell’inconsistenza di termini quali “meritocrazia” se non si definisce la scala dei valori di merito, “produttività”, se non si definiscono le grandezze prese in considerazione, etc.

  8. Alessandro Figà-Talamanca

    L’articolo di Roberto Perotti, pubblicato su IlSole240re del 30 novembre 2006, ampiamente citato in questa notizia, costituisce, a mio parere, un esempio da manuale di come dati statistici apparentemente obiettivi possano essere messi al servizio di una tesi preconcetta. Non è possibile nello spazio che qui mi è concesso giustificare questa mia opinione. Tuttavia una mia replica articolata alle argomentazioni di Perotti è stata pubblicata da Il Riformista del 5 dicembre, a pag.8. Il lettore interessato ad approfondire il tema del confronto tra i sistemi universitari inglese e italiano dovrebbe innanzitutto leggere l’articolo originale di Perotti, e valutare poi le mie critiche.

  9. Giuseppe Caffo

    Ho letto con interesse e sconcerto il vostro articolo. Sarebbe molto interessante conoscere il giudizio e le motivazioni che la redazione dell’ lavoce.info attribuisce alle falsità puntualmente descritte. Mi sembra grave che importanti e noti giornalisti e ministri in una seria trasmissione di approfondimento forniscano notizie false.Secondo voi sono errori o menzogne? E quale delle due ipotesi è più grave?

  10. Marco Cinato

    E’ strano che essendoci in Italia 86 università secondo il sito del MIUR, 100 di esse possano essere tra le prime 500 del mondo. Il ministro dovrebbe avere un’idea di quante sono.

  11. Mauro Venier

    Nell’articolo sono citate come università la SNS di Pisa e la SISSA di Trieste.
    Come ogni studente, docente (o anche solo bidello) di dette strutture può chiarirvi, esse non sono università. Non rilasciano lauree e possono essere frequentate solo da chi o prima o contemporaneamente ha frequentato o frequenta una università “classica”.

    Cordialmente,

    Mauro Venier.

  12. Alfonso Pierantonio

    Università degli Studi dell’Aquila: 27.000 studenti, 645 docenti (2007).

    Università delle Baleari: 15.000 studenti, 1200 docenti (2005).

    Salari (lordo oneri inclusi):

    Assistant Professor in Italia: 43.663 E
    Assistant Professor in Portogallo: 50.425 E

    Post-doc in Francia 43.200 E
    Post-doc in Italia 18.000 E

    Associate Professor in Italia: 58.000 E
    Associate Professor in Israele: 70.000 E
    Phd in Italia: 13.000 E
    PhD in Israele: 20.000 E

    Queste sono cifre fornite da Università di quei paesi relativamente ai costi reali da dichiarare nei progetti dell’FP7.

    Boeri dice molte cose sensate, ma se non vuole che i dati snoccioalati da lei e Perotti siano come i pollastri di Trilussa, dica cosa che le Università Italiane sono in mano alle aree professionali, a coloro che in facoltà non ci sono mai perchè frequentano cliniche private o tribunali.

    Due regole per risanare l’Università :

    1. Tagliare del 50% lo stipendio a chi è iscritto ad un albo professionale

    2. Associatura ed ordinariato in sedi diverse da dove si è conseguito il PhD e si è stati ricercatore

  13. Fabio Pancrazi

    A quanto ne so (pur non facendo lo studente, il docente o il bidello) alla Scuola Normale Superiore di Pisa si accede tramite un selezionatissimo concorso. Si frequenta poi sì la statale ma si devono seguire diversi corsi interni annuali con i relativi esami da superare (quindi doppi esami, insieme alla “classica), il tutto entro l’anno accademico che lì termina in settembre/ottobre e con una media di votazioni assolutamente non inferiore ai 27/30, pena l’esclusione dalla Scuola. Un esame interno alla metà di ogni anno per continuare a poterla frequentare ed un diploma normalistico finale da ottenere con una tesi diversa da quella che si sostiene alla statale. Altro che se non è una università! L’ingiustizia è che il diploma normalistico (per ottenerlo si fanno enormi sacrifici) non è riconosciuto legalmente in Italia come lo è invece in Francia.

  14. L.Tamagno

    Concordo con la proposta di ridurre considerevolmente lo stipendio di professore a chi è iscritto (ed esercita) ad un albo professionale.
    Sono laureato in ingegneria elettronica (Genova 1978), allora era come andare al Liceo 5 -7 ore di lezione ogni giorno dalle 8 alle 16, senza buchi e con pochi o nessun problema logistico. Il preside (appena tornato da STANFORD, era sempre in facoltà e parlargli, anche per fatti sostanzialmente personali, era pressochè imediato.
    Ora le cose sono un po’ cambiate, ma la sostanza è ancora la stessa (incluso l’accesso al Preside, nuovo).
    Mio figlio studia Economia e Commercio, un dribbling continuo fra orari incompatibili con buchi di ore fra le lezioni dei vari corsi.; a questo si aggiungono vari forfait per “impegni” dei professori.
    negativi didattica ed esempio.

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