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Un Dpef di fine legislatura *

Il governo ha approvato un Dpef di “breve respiro e di breve periodo”, molto attento agli interessi politici immediati e poco agli interessi di finanza pubblica, e del paese, di medio periodo. Insomma un Dpef di fine legislatura. Per vari motivi. Delinea un percorso di finanza pubblica “peggiore” di quello che avevamo di fronte prima della tre giorni di “fiera della spesa”. Rimanda l’aggiustamento necessario a raggiungere il pareggio di bilancio interamente al 2009 e al 2010. Invece di sfruttare il ciclo economico positivo, si decide di prendere tempo. Offre un pessimo segnale per la trattativa sulle pensioni.

Il governo ha approvato un Dpef di breve respiro e di breve periodo, molto attento agli interessi politici immediati e poco attento agli interessi di finanza pubblica, e del paese, di medio periodo. Insomma un Dpef di fine legislatura. Per vari motivi. Primo, il Dpef 2008-2012 delinea un percorso di finanza pubblica “peggiore” di quello che il paese aveva di fronte lunedì scorso, prima della tre giorni di “fiera della spesa” che si è tenuta a Palazzo Chigi. Secondo, il Dpef rimanda l’aggiustamento di finanza pubblica necessario a raggiungere il pareggio di bilancio interamente al 2009 e al 2010. Una scomoda eredità per chiunque governerà fra tre anni. Terzo, invece di sfruttare il ciclo economico positivo, si decide di prendere tempo. Quarto, offre un pessimo segnale per la trattativa sulle pensioni sulla quale il governo si trova ora ad avere le armi spuntate. Mentre la vera lezione da trarre è che le riforme rinviate nel tempo, anche quando scolpite su una legge già approvata, poi non vengono attuate.

Un business plan. Per i posteri

Poche settimane fa, durante il tormentone primaverile sulla destinazione “tesoretto”, avevamo suggerito al ministero dell’Economia una semplice strategia di politica economica: per ogni euro speso oltre i 2,5 miliardi annunciati, il Dpef avrebbe dovuto aumentare di un euro l’intervento correttivo nel 2008. Il ministro ha fatto esattamente l’opposto. Ha deciso di spendere 6,5 miliardi di euro invece dei 2,5 miliardi più volte annunciati e ha simultaneamente deciso di eliminare completamente ogni aggiustamento per il 2008. Questo significa che l’aggiustamento previsto per la Finanziaria 2008 sarà pari a zero, mentre il deficit per il 2008 sarà rivisto al rialzo al 2,2 per cento. Per la prima volta dopo tanti anni, gli obiettivi sono peggiori del tendenziale (del quadro a legislazione vigente). La strada verso il raggiungimento del pareggio di bilancio è comodamente rimandata al 2009 e agli anni successivi.
L’idea del Dpef dovrebbe essere quella di presentare un business plan pluriennale. In quest’ottica, l’obiettivo fondamentale di lungo periodo del paese, più volte annunciato dal governo con grande enfasi, è il pareggio di bilancio nel 2011. Il messaggio che si evince dal Dpef è chiaro. Il pareggio di bilancio potrà essere raggiunto con un aggiustamento fatto interamente da chi governerà nel 2009 e nel 2010. Non sorprendono perciò le “forti preoccupazioni” espresse dal commissario UE Almunia, che giudica il piano “non in linea con gli orientamenti dell’Eurogruppo” pur senza avere ancora letto in dettaglio il documento. Quando lo farà, si accorgerà che l’aggiustamento al netto del ciclo e delle una tantum è pari solo allo 0.2 invece dello 0.5 previsto dal Patto di Stabilità (tabella III.12).
Dopo tre giorni di trattative estenuanti a Palazzo Chigi, il governo ha approvato un decreto di spese pari a 6,5 miliardi di euro. E a questi andranno aggiunti i costi relativi all’annunciato e non ancora approvato “ammorbidimento” dello scalone. Il Dpef assume, infatti, che la riforma Maroni non sia cancellata e che eventuali passaggi da “scaloni” a “scalini” siano interamente finanziati. Con nuove tasse? Il quesito è legittimo perché sin qui di tagli alla spesa non c’è traccia alcuna.

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Cosa c’è nel decreto

Ma vediamo come sono stati spesi questi 6,5 miliardi. Il governo ha indicato tre destinazioni: 2,3 miliardi per interventi “sociali”, 2,3 per infrastrutture e sgravi fiscali legati al lavoro e il resto nei più disparati interventi di spesa, tra cui spiccano 700 milioni per le spese dei ministeri.
Sia chiaro, alcuni di questi interventi sono opportuni, anche se quasi sempre estemporanei e non inseriti in un chiaro disegno riformatore. È il caso dei finanziamenti ai sussidi ordinari di disoccupazione. Il nostro paese ha bisogno di una maggiore copertura contro il rischio di disoccupazione per i lavoratori delle piccole imprese e che hanno brevi carriere lavorative, ma questo obiettivo si può ottenere a costo quasi zero attraverso un riordino della “selva” degli ammortizzatori, oggi troppo sbilanciati verso i lavoratori agricoli e gli occupati della grande industria. Il governo, invece, ha destinato 600 milioni agli ammortizzatori senza riformare alcuno degli istituti esistenti.
Siamo contrari agli interventi all’introduzione di nuovi oneri figurativi per i lavoratori precari. La riforma del mercato del lavoro, e il futuro previdenziale e lavorativo dei lavoratori “duali”, sono tra le questioni che più ci stanno a cuore, e abbiamo in passato proposto di introdurre un contratto unico verso la stabilità a costo zero per lo Stato convinti come siamo che il dualismo sia un problema del mercato del lavoro, non del nostro sistema pensionistico. Nell’interesse del paese, il sistema previdenziale deve mantenere una stretta logica contributiva, in cui il valore delle prestazione future è strettamente proporzionale ai contributi effettivamente versati. Questa logica viene meno nel decreto del Governo.
Desta molti dubbi anche l’idea di incentivare, con riduzioni dei contributi sociali, il lavoro straordinario. Non è un intervento prioritario in un paese il cui problema centrale è quello di avere poche persone che lavorano, piuttosto che persone che lavorano troppo poco in termini di orario. Gli incentivi alla contrattazione di secondo livello sono di difficile attuazione, si prestano ad abusi e rendono ancora meno trasparente la busta paga.

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Un pessimo segnale

Preoccupa soprattutto il segnale dato dal banchetto di questi giorni.
Il ministro ci aveva promesso “riforme vere” e non selvaggi “tagli” di spesa. Tra Dpef e decreto fiscale non si vedono né le riforme, né i tagli, ma solo la vecchia logica della spesa pubblica “sospinta dalle tasse” (tax push): quando le entrate aumentano, la spesa pubblica finisce sempre per aumentare. Per le riforme c’è sempre tempo. Dopo, quindi mai. Perché la semplice lezione che viene dal mancato aggiornamento dei coefficienti di trasformazione (previsto da una legge del 1996) e dallo smantellamento dello scalone (previsto da una legge del 2004) è che anche quando le riforme sono scolpite su di una legge già approvata, poi non vengono fatte. Questione di incoerenza temporale. Se così stanno le cose, meglio smettere di inserire nelle leggi provvedimenti con attuazione differita. Sono pura ipocrisia. E un Dpef che rinvia l’aggiustamento ai posteri, potrebbe davvero essere di poche pagine. Molte meno di 172.

* Testo in inglese disponibile su www.voxeu.org.

La risposta audio di Tito Boeri ai commenti dei lettori

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10 commenti

  1. Sandro

    Ieri il goverso Berlusconi, quando i sondaggi lo davano battuto nelle successive elezioni, rinviò tutti i problemi ai successori (scalone pensioni, risanamento finanza pubblica, ecc.).
    Oggi il governo Prodi, temendo che scaduti i 2 anni 6 mesi ed 1 giorno dalla elezioni inevitabilmente cadrà e perderà le prossime elezioni, rinvia i problemi ai successori.
    La classe politica italiana si rende conto di essere lontana dalla popolazione che dovrebbe rappresentare, probabilmente si rende anche conto che sta montando un rancore profondo contro la politica in generale ma evidentemente ritiene che tanto vale arraffare tutto il possibile (per se e per i propri amici, parenti) e poi “chi vivrà vedrà” .

  2. Enrico Motta

    E così la previsione del rapporto deficit/PIL per il 2007 è stata rivista in peggio nel DPEF. Ma come è possibile che sia avvenuto ciò, se i conti stavano andando meglio del previsto ed era stato trovato il mitico tesoretto? Secondo me c’è una sola spiegazione: non è mai esistito nessun tesoretto, ma solo un po’ di euforia, cui è seguita una campagna propagandistica alla quale si sono prestati i mass media in modo indecente. La conseguenza è stato l’aumentodelle richieste in sede politico-sindacale. Non è il caso di fare chiarezza su questa incredibile vicenda?

  3. Fausto Massari

    Io non riesco a capire come mai i prof. Boeri e Garibaldi, come del resto altre decine di esperti di finanza ed economia, insistano nel criticare la politica del Governo con argomenti poco appropiati.
    Come, cioè, se il problema di Prodi e di Padoa Schioppa, che pure sono abbastanza alfabetizzati nella materia, fosse capire “cosa fare” per migliorare il Paese, e non “come riuscire a farlo” nel mondo reale.
    Non sarebbe più utile se qualche saggio spiegasse loro come fare, ad esempio, per alzare l’età pensionabile ignorando le reazioni di Epifani, Giordano e Diliberto, a dispetto di una maggioranza al Senato tenuta insieme con lo scotch?
    Se poi l’invito è a dimettersi la cosa può aver senso, ma a patto di essere convinti che dietro l’angolo ci sia qualcosa di meglio.

  4. Marco Di Marco

    E’ quasi ovvio che un Governo appeso ad un filo esile in Senato e sotto velata ma continua minaccia di sfratto faccia un DPEF pre-elettorale. In queste condizioni, infatti, tutti hanno potere di veto e la spesa pubblica è comunque una coperta troppo corta.
    Siamo, forse, alla conclusione di un ciclo storico, quello del risanamento puramente ‘contabile’, fatto cioè di correzioni aritmetiche ai saldi di finanza pubblica anno per anno (seguite da trattative sui singoli capitoli di spesa e/o di entrata).
    Il pubblico, o meglio gli addetti ai lavori, gli specialisti della rappresentanza e della trattativa, hanno ormai trovato strategie elusive efficienti e trattano di fatto sul saldo, come dimostrano vari episodi (da ultimo, il niet di Epifani sull’età pensionabile).
    Il famoso ‘tesoretto’ ha allungato oggettivamente la coperta della spesa pubblica, ma non basta comunque. E’ revedibile infatti che anche questo DPEF pre-elettorale, con 6,5 miliardi in più di spesa scontenterà tutti.
    Se ne esce solo con un progetto a lungo termine, che entri nel merito delle spese e stabilisca priorità, organizzi nuovi strumenti di intervento…
    Senza tabù e veti.
    Non saprei dire quando ci saranno le condizioni politiche per fare un’operazione del genere.
    Sono comunque contento del fatto che, per la prima volta, si prevede l’erogazione di assegni per gli incapienti. Può essere il primo nucleo di una futura imposta negativa sui redditi.

  5. Marco Solferini

    Le sottolineature sono dotte e ragguardevoli, anche preoccupanti però. Dovessero trovare riscontro nei fatti si assisterebbe ad una programmaticità politico/elettorale che ricorda i pregiudizi dell’epoca dei Governi della prima Repubblica, di breve durata per intenderci. Esiste una situazione politica che confligge con la crescita economica in quanto viviamo una fase di stallo partitico. L’Italia del nuovo millennio è troppo vecchia nel suo sistema elettorale, fossilizzata su un partitismo sempre più prolifico, cui si sono aggiunti anche i movimenti e le liste cittadine. Occorre razionalizzare alla radice se si vuole ottenere, alla fonte, una pianificazione più strutturale. Indubbiamente non è semplice, o meglio lo sarebbe, ma la natura dell’Uomo in questi casi ha la meglio e con ciò anche le distorsioni tipiche del compromesso d’interesse.

  6. francesco piccione

    Mi sembra che la valutazione del dpef sia eccessivamente severa. un governo, in un paese serio, deve agire ed operare con una previsione di legislatura. non è giusto pretendere che l’opera di risanemento che – attesa la rigidità della spesa pubblica – determina perdita di consenso, si risolva nella prima fase di vita dell’esecutivo. delle due l’una: o il governo dura ed allora l’azione di risanamento si sviluppa nel tempo oppure cade ed allora è meglio farlo senza che si sia eroso il consenso sociale. mi sembra che impostare l’analisi solo dal lato del risanamento dei conti faccia vedere solo un aspetto del problema. un governo vive anche, se non soprattutto, di consenso. bisogna anche affrancarsi dall’idea che l’unico interlocutore del ministro dell’economia siano i banchieri internazionali. questi non votano. bisogna, quindi, guardare in prospettiva l’opera di risanamento posta in essere dal governo, lasciando che si sviluppi nel tempo.

  7. Emilio De Luigi

    2007/07/03

    My two cents:

    1) We constantly tend to forget what Italy really is: A spoiled, pampered, backward country, where for decades our money has been wasted in welfare type administrations, where merit and professionalism have been banned to make room for egalitarianism, where investments in fundamental public works such as roads, aqueducts, railways has been postponed indefinitely, where no one really wants to take responsibilities, and where any change is always looked at with worries if not fear by those who exploit the system at the limits of the legality if not completely out of it. There are so many, almost countless systemic wastes and abuses of the public money that any change will jeopardize the exploiters. The system is stuck.
    2) If Padoa Schioppa is really a serious economist, he should refuse to be used, resign now and let politicians alone to make the usual dirty work of fooling the citizens.

  8. Marco

    Non capisco perché si continua a criticare questo DPEF sulla base del mancato aggiustamento id 0.5% del PIL in termini strutturali quando il precedente governo non lo ha mai realizzato – anzi – in piena procedura di deficit eccessivo sperperava l’avanzo primario. L’approccio di questo DPEF è chiaro. Centrati gli obiettivi, si redistribuisce (finalmente!)

  9. Alessandro Sciamarelli

    Concordo nel rilevare un certo eccesso di severità, già evidenziato da alcuni precedenti commenti; tuttavia, capisco ed apprezzo fortemente la funzione di “pungolo” nei confronti di TPS da parte dei principali “editorialisti” del sito. Se da un lato, però, le critiche a TPS sono fondate (per non aver “perseverato” sulla strada della correzione strutturale del deficit/GDP ratio dello 0,5% annuale ecc.) dall’altro mi sento di comprendere la delicatissima situazione del ministro in termini di political feasibility; TPS sa benissimo di dover continuare il risanamento come chiede la Comm.europea, ma ha margini di manovra assai ristretti per l’eterogeneità della sua coalizione. In teoria, sul fatto che debba dimettersi per coerenza si può concordare; il problema è che non oso pensare a cosa succederebbe dopo di lui. Credo che tutto sommato sia ancora l’unico garante di una sostanziale tenuta dei conti pubblici; in fondo, nel 2007 saremo ampiamente sotto il 3% e non mi pare un cattivo risultato (rispetto al consuntivo opera di coloro che lo criticano: una procedura d’infrazione con la Ue per disavanzo eccessivo e il debito pubblico in risalita). Certo, esiste un rischio legato al denominatore (il Pil potrebbe in realtà nel 2007 crescere meno delle attese), ma in queste condizioni mi pareva difficile attendersi un Dpef diverso.

  10. luigi zoppoli

    le argomentazioni presentate dal Prof. Boeri sono di una palmare evidenza, a prova di stupido. E rispondono ad una logica rigorosa ed ineccepibile.
    Lo spettacolo odierno, peraltro, non è nuovo e neppure i risultati prevedibili.
    Non a caso infatti abbiamo la finanza pubblica scassata alla pari di molto altro.
    Non vorrei apparire generico, ma dato atto a Prodi ed a Padoa Schioppa di grande competenza e riconosciute le difficoltà della coalizione, non sono disposto a fare sconti proprio a loro. Se gli interessi del Paese, gli obblighi e gli impegni internazionali lo richiedono, non è corretto correre dietro alle fole di chi vive ancor oggi dietro il muro di Berlino. La posizione che avrei trovato giusta da parte del Premier è: ok cari, lo scalone almeno per ora non possiamo toccarlo. Di fronte alle proteste la risposta avrebbe dovuto essere: bene. Elezioni anticipate che perderemo grazie a voi e poi fatevelo togliere da Tremonti lo scalone.
    Risvegliato dal sogno rimane la necessità che qualcuno di coraggiosissimo si assuma la responsabilità di prendere non l’accetta ma la sega elettrica e cominci a disboscare la putrida giungla di spese, inefficienze, corruttele, complicità sotterranee e non, privilegi, impunità che sta soffocando questo paese.
    Mah! E’ il sogno numero due.

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