Lavoce.info

QUALI REDDITI SONO RIMASTI AL PALO

I dati relativi al 2006 dell’indagine sui bilanci familiari della Banca d’Italia confermano quanto era prevedibile: gli indici di disuguaglianza e povertà per le famiglie italiane non hanno subito di recente modifiche di rilievo. Con un rischio di povertà molto superiore per i giovani rispetto agli anziani. Tuttavia, è in corso da tempo una ricomposizione interna ai redditi delle classi medie. Crescono i redditi degli indipendenti, mentre sono praticamente fermi quelli dei dipendenti, soprattutto nel settore privato. E l’euro non c’entra.

Ogni due anni l’indagine sui bilanci familiari condotta dalla Banca d’Italia fa il punto sulla distribuzione del reddito disponibile nel nostro paese. I dati relativi al 2006, resi noti ieri, confermano quanto era prevedibile, cioè che gli indici di disuguaglianza e povertà per le famiglie italiane non hanno subito recentemente modifiche di rilievo. L’indice di Gini, che misura il grado di disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile, è addirittura lievemente diminuito tra il 2004 e il 2006, passando da 0.331 a 0.323, una variazione che però non è statisticamente significativa. La quota di individui in povertà è stabile attorno al 13 per cento dall’inizio del decennio.

DATI CONFERMATI

Questi dati non giungono inattesi perché indicazioni molto simili sono emerse nei mesi scorsi sulla base delle altre due più importanti indagini che vengono svolte nel nostro paese su redditi e consumi delle famiglie: l’indagine Istat sui consumi, che costituisce la fonte storica per la rilevazione della povertà e, sempre a cura dell’Istat, una nuova rilevazione sui redditi, nota come Eu-Silc (survey on income and living conditions), svolta in modo coordinato con gli altri paesi europei. La prima tabella fornisce un utile riepilogo dei dati su disuguaglianza e povertà calcolati a partire da queste indagini.

Tab. 1 – Alcuni indici di disuguaglianza e povertà dal 2000

  2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Diseguaglianza: indice di Gini del reddito familiare equivalente              
Banca d’Italia 0.33   0.32   0.33   0.32
Istat – Eu Silc         0.30 0.30  
               
Povertà              

Banca d’Italia

(% individui poveri)

13.3%   13.2%   13.3%   13.2%
Istat – Consumi (%famiglie povere) 12.3% 12.0% 11.0% 10.8% 11.7% 11.1% 11.1%

Nota: tutti gli indici sono tratti da pubblicazioni di Istat e Banca d’Italia.

L’indagine Banca d’Italia conferma poi un’altra caratteristica ben nota sulla povertà nel nostro paese: la quota di individui poveri di reddito decresce sistematicamente rispetto all’età. In altre parole, il rischio di povertà è molto superiore per i giovani rispetto agli anziani: tra i minorenni, nel 2006 il 19,3 per cento è povero, mentre tra gli ultrasessantacinquenni questa la scende all’8,6 per cento. Ciò non significa ovviamente che anche tra gli anziani non vi siano situazioni di grande disagio, ma invita a guardare al fenomeno della povertà senza facili generalizzazioni. Trent’anni fa la situazione era rovesciata, perché il rischio di povertà era, per gli anziani, superiore a quello medio dell’intera popolazione, mentre era più basso della media per i bambini. La causa di queste dinamiche così divergenti va cercata negli squilibri strutturali del nostro welfare state, che concentra buona parte delle sue risorse a favore della spesa pensionistica e dedica risorse assai modeste al sostegno delle famiglie. L’alto livello di povertà minorile, che ha pochi eguali in Europa, può anche contribuire a spiegare il basso tasso di fertilità italiano: molte famiglie non fanno il secondo o il terzo figlio semplicemente perché non se lo possono permettere.

COME SI SPIEGA IL DISAGIO

La conferma che per l’Italia gli indicatori di diseguaglianza e di disagio economico non sono significativamente peggiorati nel corso degli ultimi anni si scontra con l’esperienza quotidiana delle persone. Questo disagio può essere spiegato da due fenomeni.
Quello principale è la sostanziale stagnazione dei redditi: la serie storica delle indagini Banca d’Italia ci dice che la crescita praticamente zero dei redditi reali delle famiglie non è un episodio recente, ma dura ormai da almeno dieci anni. La tabella 2 mostra infatti i valori medi del reddito disponibile (in euro correnti) per le famiglie classificate sulla base dell’età e della condizione lavorativa del capofamiglia. Nel complesso, risulta che in undici anni i redditi di tutte le famiglie italiane sono cresciuti di circa l’8 per cento in termini reali, meno dell’1 per cento all’anno.
Se quindi non è corretto sostenere che la povertà sta aumentando, di certo si può dire che tutti noi siamo diventati più poveri rispetto agli altri paesi europei, dove i redditi reali delle famiglie sono cresciuti a tassi superiori in questi ultimi anni.
Il secondo fenomeno che può spiegare il disagio diffuso è di tipo distributivo: anche se la disuguaglianza non sta aumentando, è in corso una ricomposizione interna ai redditi delle classi medie. Sono infatti aumentati i redditi degli indipendenti, mentre sono praticamente fermi quelli dei dipendenti, soprattutto quelli nel settore privato.
Nei commenti che i media hanno dedicato ai dati pubblicati dalla Banca d’Italia, la responsabilità della redistribuzione a favore degli indipendenti è stata attribuita all’euro. Eppure, se prendiamo sul serio i dati della Banca d’Italia, e consideriamo anche il periodo 1995-2000, è evidente che anche ben prima dell’euro le cose sono andate decisamente meglio  per le famiglie degli indipendenti. Certo, l’indagine Banca d’Italia può avere problemi a cogliere con precisione i redditi di alcune categorie, però la tendenza di fondo sembra evidente: la redistribuzione è in corso da tempo, e può essere solo in parte attribuita all’introduzione dell’euro.
Sono probabilmente all’opera altre dinamiche, come la forte moderazione salariale che ha avuto inizio nei primi anni Novanta, la globalizzazione, che comprime la dinamica dei salari in tutti i paesi ricchi, e infine la presenza di molti settori non esposti alla concorrenza internazionale, soprattutto quelli che forniscono servizi alle famiglie, dove è più facile aumentare i margini.
La tabella 2 ci dice anche che dall’inizio del millennio i redditi delle famiglie giovani sono diminuiti in termini reali. Sarebbe interessante verificare in che misura ciò dipende dall’immigrazione o da altri fenomeni, come il basso premio tradizionalmente riconosciuto all’istruzione nel nostro paese o l’espandersi del lavoro precario, che ha favorito un aumento dell’occupazione, ma non dei livelli retributivi dei giovani.

Tab. 2 – Redditi disponibili medi delle famiglie per età e condizione professionale del capofamiglia.

Nota: il capofamiglia è definito come la persona con il più elevato reddito individuale in famiglia; la variazione reale dei redditi è ottenuta deflazionando i redditi nominali con il deflatore dei consumi delle famiglie (pari al 14.7% tra il 1995 e il 2000, e al 16,4% tra il 2000 ed il 2006).

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Per la Commissione il rebus maggioranza
Leggi anche:  Elezioni europee: anatomia dell'affluenza

Precedente

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Successivo

IL DECLINO

  1. koufax

    Mi sembra che sia positiva la crescita dei redditi degli indipendenti. La propensione al rischio è al 1° posto della commissione Attali, ma gli italiani preferiscono piangere sulla precarietà. E il rischio povertà nei giovani va considerato alla realtà della ricchezza dei loro genitori, che, allungando temporalmente la famiglia, aiutano i giovani spesso e volentieri. Forse anche come creditori neanche tanto alla lontana del gigantesco debito pubblico.

  2. Massimo GIANNINI

    Forse vale la pena dire che non solo l’euro non c’entra ma le responsabilità di tale situazione é attribuibile al governo precedente di centrodestra che ha governato esattamente negli anni i cui dati sono stati oggetto d’indagine di Banca d’Italia.

  3. Giuseppe Caffo

    Piuttosto che lamentarsi per i redditi troppo bassi dei lavoratori dipendenti sarebbe molto più utile diffondere una cultura del lavoro autonomo e dell’impresa.Ovviamente per avviare un impresa ci vuole coraggio,ma il maggior guadagno consiste nel giusto premio al rischio.Certo la Pubblica Amministrazione potrebbe fare molto per incoraggiare e aiutare i giovani a realizzare i loro sogni e le proprie aspirazioni.Purtroppo accade il contrario.La burocrazia di cui tutti si lamentano scoraggia molti potenziali indipendenti.

  4. Francesco

    Dopo vari anni di impegno professionale pari a 50/55 ore presso un gruppo finanziario/assicurativo multinazionale mi trovo al vertice della classificazione impiegatizia con un reddito di Eur 1750 al mese per quattordici mensilità a Milano. Straordinari non pagati, in attesa di fare il grande salto a funzionario. Se volessi mettere su famiglia e comprare casa…lasciamo perdere. Convertiamo in lire la mia retribuzione: 3.400.000. Fino al 2001 un signor stipendio, l’euro non c’entra? Ne siamo sicuri?

  5. marcello battini

    Apprezzo coloro che lodano lo spirito d’iniziativa, sfortunatamente, nel nostro paese, questo è specializzato nello sfruttare la ricchezza pubblica (malaffare e quant’altro) e per difendersi dall’espulsione dal mondo del lavoro (popolo delle partite iva). Lo spirito imprenditoriale è un’altra cosa.

  6. Marco

    2 punti di riflessione. Secondo me il primo è che il sistema Italia non può assicurare salari competitivi perchè non produce abbastanza valore vendibile ad un premium price sul mercato (gli impiegati di un azienda mediocre avranno salari bassi). Il secondo è che tutto il cost saving viene fatto sui precari/giovani che devono supplire a salari e benefit blindati troppo alti pagati ai "Senior" (e quindi il sistema aggiustandosi su una minoranza amplifica l’effetto negativo su di questa). Potrebbe essere una soluzione estendere il precariato a tutti (giovani e vecchi)? Almeno l’onere della mediocrità verrebbe portato da più spalle.

  7. Patrizia

    Esiste tutta una popolazione impiegatizia, costituita maggiormente da donne, altamente produttiva ma dimenticata da tutti: le impiegate degli studi professionali, con stipendi ridotti sempre al minimo sindacale, che lavorano a ritmi pressanti, con contratti da 40 ore in 5 giorni generalmente con orario spezzato, spesso diplomate se non talvolta laureate, Questi erano quei lavori da fare "in attesa di meglio", ma ora si è tutte tagliate fuori dal settore pubblico perchè i concorsi non vengono fatti o vengono revocati per stabilizzare i precari e la contingenza economica non fa certo sperare in quel "qualcosa di meglio". In una società dei servizi come la nostra questa categoria meriterebbe sicuramente di più.

  8. pier

    D’accordo con Baldini e Giannini. L’euro, inteso come nuova valuta, c’entra poco con quello che è successo in Italia negli ultimi 6-8 anni. C’entra molto, invece, il lassez fair del governo Berlusconi: non fare nulla per controllare prezzi, tariffe e salari, significa lasciare che gli individui e le aziende facciano da sé, facciano quello che vogliono. Et voilà, ecco a voi l’Italia del 2008! Dipendenti alla soglia di povertà e autonomi aggiornati ai prezzi attuali. Insomma, chi vive e chi sopravvive.

  9. Franco Fed

    Sono rimasti al palo in particolar modo famiglie di pensionati del ceto medio e monoreddito, i quali non usufruiscono né dell’ANF né di nessun altro beneficio, così come non ne usufruiscono famiglie con entrambi i coniugi pensionati al trattamento minimo: da alcuni anni lo Stato ha pensato solo a loro, governi sia di sinistra che di destra, e ora questo tipo di famiglie sta uscendo dalla povertà, mentre le famiglie di pensionati monoreddito sono ogni giorno più povere.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén