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CHI PIANGE SULL’EURO FORTE*

La rivalutazione della moneta europea è un problema per gli esportatori che devono ridurre i margini. Ma è una buona notizia per i consumatori. O almeno per gli importatori dai paesi dell’area dollaro, che realizzano grandi guadagni. D’altra parte, ben più delle banche centrali sono i mercati finanziari a dettar legge sui tassi di cambio. Ed è bene che sia così. Perché nessuno sa quale sia il giusto livello del dollaro. Tanto meno quei governi che ascoltano troppo chi oggi piange e troppo poco chi ride.

C’era una volta un ministro dell’Informazione, che stabiliva quali dovessero essere le linee editoriali del servizio pubblico di radio e televisione, “la voce” della Francia. A quell’epoca il tasso di cambio, vale a dire il valore della moneta francese, era affidato alla responsabilità del ministro delle Finanze, il quale peraltro proibiva ai francesi di portarsi dietro denaro, quando andavano all’estero. Nessuno si permetteva di farsi gioco delle autorità e la nostra moneta, che si chiamava franco, era al riparo delle speculazioni. Ahimé, i tempi sono cambiati, non abbiamo più i franchi ed è divenuto piuttosto spiacevole sovrintendere ai destini del nostro bel paese.

GRIDA E SILENZI

La moneta subisce la stessa sorte delle opinioni: il governo non può decidere ciò che è vero e ciò che è falso. L’euro è forte, e allora? Certo, si tratta di una cattiva notizia per i nostri esportatori, che vedono restringersi i loro margini di guadagno. A proposito, ma dov’erano costoro, quando l’euro valeva la metà di ciò che vale oggi? Le loro voci allora tacevano, esattamente come oggigiorno, con i prezzi di latte e cereali alle stelle, tacciono quelle degli agricoltori. L’euro forte, tuttavia, è un’eccellente notizia per noi consumatori. La benzina è cara? Lo sarebbe ben di più se l’euro non si fosse così rivalutato rispetto al dollaro. I prezzi dei prodotti importati dalla zona-dollaro (America del Nord e del Sud, Asia) si sono considerevolmente abbassati, se non per noi, almeno per gli importatori che li pagano assai meno. Se i prezzi al dettaglio non sono calati, ciò è dovuto agli importatori e ai distributori che realizzano grossi guadagni, agevolati da una concorrenza “imbavagliata” da leggi scellerate, che governano il commercio.
Oggi l’euro è forte, era debole nel 2000 e prima o poi lo sarà nuovamente. Quando i tassi fluttuano c’è sempre chi guadagna e chi perde. Stranamente, però, si sentono sempre le lamentazioni di chi perde e mai le grida di giubilo di chi guadagna. Fa parte della natura umana. E fa anche parte della natura umana preoccuparsi per coloro che stanno male. Non dobbiamo però essere ingenui e lasciarci influenzare da chi preme per ottenere aiuti quando va male, ma sparisce dal paesaggio mediatico quando va molto bene.
Tutto ciò ovviamente non succederebbe se i tassi di cambio fossero stabili, controllati dai governi e dalle loro banche centrali. Il che potrebbe avvenire solo se le politiche economiche dei vari governi fossero coordinate tra loro. Ai tempi di Bretton Woods la valuta di riferimento era il dollaro e il valore delle altre monete era fissato in rapporto alla moneta americana, motivo per cui le banche centrali si adeguavano sempre a ciò che faceva la più importante di loro, vale a dire la Federal Reserve. Non appena si derogava a tale disciplina, la moneta nazionale veniva attaccata, al ribasso da noi, al rialzo in Germania e in Svizzera. Per evitare tali attacchi si instaurarono controlli di cambio, con scarso successo. Coloro che si lamentano della volatilità dei tassi di cambio aspirano forse a questo? Sperano forse che l’euro diventi moneta di riferimento nell’universo finanziario? Se è così, temo che ciò non avverrà in tempi brevi. Gli Stati Uniti da quest’orecchio non ci sentono. E neanche gli inglesi o i giapponesi e, del resto, neanche i tedeschi. Dover combattere contro tutti è cosa improba.

MERCATI SOVRANI

Non si potrebbe almeno limitare le fluttuazioni dei tassi di cambio? Un piccolo intervento di tanto in tanto non farebbe male, è vero. Ma neanche bene. Nel nostro bel mondo globalizzato, il potere delle banche centrali si limita a fissare il tasso d’interesse interno e, per giunta, solo quello a breve termine. Per il resto, sono i mercati finanziari, ben più potenti delle banche centrali, a dettar legge. Coi tempi che corrono, è difficile difendere il ruolo dei mercati finanziari. Forse che, ancora una volta, non  dimostrano la loro pericolosità? Mah, non è poi così sicuro.
Solo un anno fa, la grande angoscia globale su cui dissertavano senza fine gli osservatori riguardava “i grandi squilibri mondiali”. Da una parte il deficit esterno degli Stati Uniti, dall’altra il surplus della Cina. Non poteva durare e ci si chiedeva affannosamente come sarebbe finita. Tutti sapevano ciò che avrebbe dovuto accadere. Era necessario che i cinesi consumassero e importassero di più. Cosa che hanno regolarmente fatto, mostrando un vorace appetito per latte, grano, petrolio, acciaio, carbone e tante altre belle cose. Di colpo i prezzi di tutto ciò che un miliardo e trecento milioni di cinesi ha voluto comprare è aumentato moltissimo. È un passo nella giusta direzione: il surplus della Cina ha cominciato a svanire e i fornitori si stropicciano le mani. Bisognerà abituarsi: non siamo gli unici consumatori voraci.
Doveva svanire anche il deficit esterno degli Stati Uniti. Ed erano necessarie due condizioni. La prima era che gli americani stringessero la cinghia, consumassero meno e risparmiassero di più. Avevano smesso di risparmiare quando il volo della borsa e dei prezzi degli immobili li aveva illusi di essere tutti molto ricchi. Per indurli a risparmiare di nuovo era necessario che i titoli crollassero ed è regolarmente avvenuto. Il calo dei loro consumi avrebbe provocato, negli Usa, una recessione con conseguente ribasso del dollaro, in grado di rendere più competitiva l’economia americana e di attenuare la recessione. Il che sta regolarmente avvenendo.
Tutto ciò era prevedibile e previsto. Si trattava solo di sapere se sarebbe avvenuto di colpo o per gradi: si parlava di atterraggio dolce o catastrofico. Per il momento, sembrerebbe una via di mezzo, anche se la catastrofe è sempre possibile. I mercati finanziari fanno il loro mestiere. Con un po’ troppo zelo, però: prima troppa esuberanza, poi troppo panico. Ma da quando esistono – e son secoli – hanno sempre avuto questa caratteristica. Ultimamente, però, abbiamo fatto enormi progressi nello stabilizzarli e nel limitare gli effetti di questi accessi febbrili. Bisogna farne ancora molti, ma tra questi non rientra quello di impedire al dollaro di svolgere il suo ruolo. Anche perché, in fondo, nessuno sa quale sarebbe il suo “giusto” livello. Non lo sanno, soprattutto, quei governi che, attualmente, ascoltano troppo coloro che piangono e troppo poco quelli che ridono.

(traduzione di Daniela Crocco)

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EREDITA’ TROPPO VINCOLATE

  1. Simone Borgogni

    Credo che il recente rapporto di cambio tra euro e dollaro abbia poi prodotto un effetto secondario: blocco delle esportazioni ma soprattutto mi preoccupa la rottura del tessuto porduttivo italiano. Non conviene più acquistare in italia, meglio in Turchia, Cina, Corea ecc.. A breve l’ossigeno che fa resistere il tessuto porduttivo italiano sarà finito e con questo anche tutte le economie di scopo e di scala che ci caratterizzavano. E così finirà anche il boom della moda, degli accessori e del lusso. Dove andranno quei lavoratori? Come si crea nuovo reddito, nuovi investimenti e/o nuovi risparmi? Forse con un bel posto pubblico ben pagato e un secondo lavoro? La figura dell’imprenditore industriale o artigiano sta scomparendo del tutto nel nostro paese e il cambio euro dollaro sembra dare l’ultimo giro di vite. Chi aiuta l’italia? Economisti, politici, studiosi e professori invece di spiegarci gli eventi(che conosciamo gia molto bene) perchè non formulate soluzioni realistiche a problemi di così grande importanza e di impatto socio-economico?

  2. Giorgio Andretta

    Sono un imprenditore agricolo e ritengo che quanto sostenuto in quest’articolo, inerente all’agricoltura, sia quanto meno demenziale se non atassico, roba da far allegare i denti. Parlo con cognizione di causa a differenza dell’autore. E’ sacrosanto dovere di ognuno cimentarsi esclusivamente sulle cose che conosce intimamente, invece di spacciarsi da tuttologo. Prova di questo è confrontare la pratica con tutte le leggi ed i regolamenti emanati dalla Comunità Europea in proposito, la discrepanza è totale.

  3. Andrea De Cesco

    Condivido pienamente, se non ci fosse un euro così forte a salvarci da un dollaro così debole, avremmo seri problemi d’inflazione visto l’aumento delle materie prime, che continuano ad essere trattate in dollari.

  4. paolo casati

    E’ vero.. che i mezzi di comunicazione diffondono questa idea e cioè dell’euro forte come negativo per l’economia, accostando ad esso un semplice ragionamento che si risolve nel sostenere che una moneta continuamente svalutata porti ad un aumento dell’export (quello che avveniva prima dell’avvento dell’euro, concausa del nostro debito pubblico). Mi chiedo però, oltre che per un euro "teoricamente" vantaggioso nei confronti dei consumatori, non è che la politica monetaria della BCE si possa considerare indirizzata alla ristrutturazione delle economie degli stati membri e soprattutto quella italiana? Ricordiamoci che un’Italia forte economicamente farebbe comodo all’Europa sia da un punto di vista politico-internazionale e sia dal punto di vista delle risorse disponibili per l’Ue (ricordiamo che l’Italia conciata com’è vale un pil di1500 miliardi). Non potrebbe darsi, invece, che la BCE abbia pensato di mantenere alti i tassi in modo da determinare un apprezzamento dell’euro così da incentivare le imprese a rinnovarsi "aquistando" know how (soprattutto l’assunzione di tecnici di alto livello) e tecnologia avanzata (anche macchinari+efficienti) dai paesi che oggi soffrono il cambio con l’euro?

  5. Rino Impronta

    Con riferimento alla politica dei prezzi vorrei ricordare che un ruolo determinante l’ha svolto certamente l’euro. Infatti al momento del passaggio dalla lira all’euro, c.d. change over, sono mancati i controlli da parte dei Comitati di controllo sui prezzi – istituiti presso ogni Prefettura -e doppi prezzi da esporre. Da tempo l’On. Tremonti sostiene che per risolvere il problema basterebbe emettere banconote da 1 e/o 2 euro. . Ebbene, segnalo all’On. Tremonti che il Consiglio Direttivo della BCE, sin dal novembre del 2004, ha deliberato la non economicità e l’eccessiva onerosità per la loro gestione, dell’emissione delle predette banconote. Per cui non aspettiamoci una soluzione in questo senso. Se posso un’ultima osservazione sulla concorrenza e libero mercato: le liberalizzazioni dovrebbero portare all’abbassamento dei prezzi. Purtroppo ciò non si è realizzato. Anzi assistiamo solo ad un fenomeno inverso.

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