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RICETTE DI BUON FEDERALISMO

Al di là dei problemi di metodo e di merito della proposta di federalismo fiscale della Lombardia, alcune questioni sono imprescindibili. La spesa statale da devolvere alle regioni è localizzata soprattutto nel Sud, mentre le risorse sono prevalentemente al Centro-Nord. Qualunque ricetta di federalismo dovrebbe perciò riavvicinare nel medio periodo i livelli di spesa a quelli delle entrate regionali; garantire a tutte le regioni le risorse necessarie per i servizi fondamentali; introdurre sistemi di controllo per premiare le capacità gestionali territoriali.

Si ricomincia. Per l’autunno, il governo ha annunciato l’introduzione del cosiddetto “federalismo fiscale”, in pratica la traduzione in norme operative di quegli articoli della Costituzione italiana, riformati nel 2001 ma mai attuati, che descrivono il nuovo sistema di competenze, finanziamento e perequazione per regioni e altri enti locali. Non è naturalmente la prima volta che se ne parla. La precedente legislatura di centrodestra, tra il 2001 e il 2006, aveva collezionato vari tentativi, compresa una fallita ulteriore riforma costituzionale, e lo stesso governo Prodi nella sua breve vita era riuscito ad approvare più di un disegno di legge delega sulla questione. Tutti tentativi abortiti, per la presenza di forti conflitti trasversali tra le varie maggioranze di governo, soprattutto sul tema politicamente delicatissimo dei trasferimenti tra aree del Paese. Ma può darsi che questa volta si faccia più sul serio. La drastica semplificazione del quadro politico, la determinazione della Lega Nord nel portare a casa qualche risultato concreto e il suo ruolo fondamentale nell’attuale maggioranza di governo, rendono l’approdo “federale” più probabile che in passato. La stessa opposizione di centrosinistra, scottata dai risultati elettorali, vede nella partita sul federalismo fiscale un modo per riacquistare un importante spazio di manovra.

LA PROPOSTA LOMBARDA

Ma quale federalismo? Come si intende coniugare autonomia fiscale, principi di cittadinanza, vincoli di bilancio statale, perequazione interregionale delle risorse e rapporti istituzionali e politici tra diversi livelli di governo? E quali sono le posizioni di partenza con cui le varie forze politiche e istituzionali intendono presentarsi al tavolo delle trattative? Se si guarda ai programmi elettorali, la risposta a quest’ultima domanda sembrerebbe ovvia, almeno per quanto riguarda l’attuale maggioranza. Il punto 7 del programma del Pdl recita infatti testualmente “attueremo la proposta approvata dal Consiglio regionale della Lombardia nel giugno del 2007, “Nuove norme per l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”. In realtà, la risposta non è così scontata, perché alcuni aspetti radicali della proposta sembrano aver indotto a più miti consigli anche i proponenti più accesi. (1) Ma ballon d’essai o proposta seria, è opportuno conoscerla, soprattutto nei suoi risvolti finanziari, prima di discuterne. (2)
Le conclusioni di una nostra ricerca per conto della Regione Umbria possono servire alla discussione.

IL DISEQUILIBRIO VERTICALE

La prima questione riguarda l’ammontare di risorse che verrebbero trasferite dal centro alla periferia, ovvero alle regioni a statuto ordinario (tralasciando quelle a statuto speciale). Su questo punto, la proposta lombarda è molto chiara e definisce i tributi propri regionali come somma dei tributi regionali già previsti dall’ordinamento vigente, dell’imposta regionale sul reddito delle persone fisiche, da applicarsi con aliquota, inizialmente uniforme, del 15 per cento (con contestuale riduzione delle aliquote erariali per garantire invarianza della pressione fiscale) e di eventuali altri tributi su materie non assoggettate a imposizione da parte dello Stato; a queste entrate si aggiungerebbero una compartecipazione regionale al gettito dell’Iva pari all’80 per cento (con contestuale abrogazione del decreto legislativo 56/2000) e l’intero gettito delle accise, dell’imposta sui tabacchi e di quella sui giochi.
L’insieme di queste entrate vale circa 206 miliardi di euro, da confrontare con gli 87 miliardi di euro che le regioni a statuto ordinario hanno ottenuto effettivamente, come entrate tributarie, da compartecipazioni e trasferimenti dal bilancio dello Stato. (3) Ne segue un eccesso di entrate a favore del sistema delle regioni pari a circa 119 miliardi di euro. Ma quali maggiori spese dovrebbero finanziare le maggiori risorse? Su questo punto la proposta lombarda è silente, salvo qualche implicito riferimento alla finanza locale – i trasferimenti erariali a province e comuni – che dovrebbe passare dallo Stato alle regioni.
Qualche riflessione può comunque essere fatta, per esempio sulla più importante delle funzioni devolvibili secondo l’articolo 117 della Costituzione, ovvero l’istruzione. (4) Nel 2005, la spesa statale complessiva per l’istruzione scolastica e la finanza locale è stata di circa 47 miliardi di euro, una cifra di gran lunga inferiore ai 119 miliardi di maggiori risorse della proposta lombarda. A che cosa dovrebbero dunque servire i restanti 72 miliardi di euro? Esiste quindi un rilevante disequilibrio verticale, che implicherebbe risorse insufficienti per lo Stato per finanziare le spese residue (principalmente, previdenza, interessi e grandi beni pubblici nazionali). Da questo punto di vista, la proposta del Consiglio regionale della Lombardia presenta una sorta di incoerenza interna: definisce le risorse da attribuire al sistema delle regioni a statuto ordinario, senza definire prima le spese che queste risorse devolute dovrebbero finanziare. E ciò non può che produrre disequilibri.

IL DISEQUILIBRIO ORIZZONTALE

La seconda questione concerne la posizione relativa delle diverse regioni, rispetto alla legislazione vigente. Chi guadagna e chi perde? Anche in questo caso, l’esercizio di simulazione condotto sul 2005 consente di trarre qualche spunto interessante. Nell’ipotesi di attribuzione alle regioni a statuto ordinario delle spese per l’istruzione scolastica e per la finanza locale, ci sarebbe un aumento della spesa pro-capite media di 954 euro, da confrontare con l’aumento medio di entrate pro-capite pari a 2.414 euro. Ma se si guarda alla situazione delle singole regioni, si osserva che le maggiori entrate pro-capite variano dai 3.230 euro della Lombardia ai 930 della Calabria, mentre le maggiori spese pro-capite variano dai 780 euro della Lombardia ai 1.425 della Calabria. Dunque, nonostante l’enorme devoluzione delle risorse alle regioni, per la diversa distribuzione territoriale delle entrate e delle spese da decentrare, alcune regioni, prevalentemente del Mezzogiorno, non riceverebbero risorse sufficienti per finanziare la spesa devoluta. Ma la proposta lombarda prevede anche un meccanismo di perequazione territoriale di tipo orizzontale (cioè con trasferimenti diretti dalle regioni ricche a quelle povere), che ridurrebbe del 50 per cento la differenza nelle risorse pro-capite di ciascuna regione rispetto alla media. Sarebbe questo sufficiente a garantire il finanziamento delle spese in tutte le regioni?
La risposta è sì, se si mantiene il disequilibrio verticale. La risposta è chiaramente no se lo si eliminasse, ovvero se, come sembra ragionevole, si attribuissero alle regioni risorse esattamente pari alle maggiori spese da finanziare. In questo caso, quale che sia la fonte di finanziamento prescelta per riportare in equilibrio spese e entrate devolute (ad esempio, solo la compartecipazione all’Iva o solo l’imposta regionale sul reddito delle persone fisiche) nessuna regione del Sud riuscirebbe a finanziare le maggiori spese con una perequazione al 50 per cento. Non solo, molte non sarebbero in grado di farlo neanche con una perequazione del 100 per cento, cioè con un totale annullamento delle differenze esistenti tra regioni.

IL PROBLEMA

La proposta del Consiglio regionale della Lombardia presenta dunque diversi problemi di metodo e di merito, soprattutto il fatto di partire da ipotesi di devoluzione delle risorse senza discutere prima delle spesa che si vuole finanziare, e di introdurre vincoli alla perequazione senza chiedersi quali servizi si vogliono perequare. Ma gli aspetti critici che emergono dalle simulazioni non riguardano solo la proposta lombarda e devono essere tenuti ben presenti da chiunque intenda intervenire sul dibattito sul federalismo fiscale e in particolare dal governo.
La spesa statale da devolvere alle regioni e agli altri enti locali sulla base dell’articolo 117 tende a essere localizzata soprattutto nel Sud del Paese, mentre le risorse per finanziarla stanno prevalentemente al Centro-Nord. E se appare evidente la necessità di qualche aggiustamento nella distribuzione della spesa (perché così più alta al Sud, per una funzione nazionale come l’istruzione?), non si può non tenere conto dell’esistente nello studiare soluzioni appropriate. Queste possono essere diverse, ma non possono prescindere da alcuni punti che sono a nostro avviso fondamentali: primo, riavvicinare, nel medio periodo, i livelli di spesa regionale ai livelli di entrate regionali; secondo, garantire comunque a tutte le regioni le risorse necessarie per finanziare al livello efficiente i servizi fondamentali protetti dalla lettera m dell’articolo 117; terzo, introdurre, a livello centrale, sistemi di controllo e di incentivazione adeguati, che tengano conto, ai fini dell’attribuzione di risorse e competenze, delle capacità gestionali delle diverse realtà territoriali.

 

(1) È di pochi giorni fa la notizia che l’on. Roberto Calderoni avrebbe presentato un’altra proposta di attuazione dell’articolo 119 che appare più simile a quella approvata dal governo Prodi piuttosto che a quella lombarda.
(2) Si dovrebbe anche aggiungere che esiste una versione “ufficiale” di stima relativa alla proposta lombarda, quella contenuta nella relazione tecnica di accompagnamento alla proposta di legge. Solo che questa “stima”, come chiunque può facilmente verificare confrontandola con il testo del disegno di legge, nulla ha a che vedere con la proposta stessa. Sull’assurdità dei numeri che vengono utilizzati nel dibattito politico su un tema così importante come il federalismo fiscale bisognerebbe riflettere di più.

(3) Dati riferiti al 2005.

(4) Nelle stime riportate nel lavoro teniamo conto anche della possibile devoluzione alle regioni delle spese statali per gli Affari economici, che di nuovo, secondo l’articolo 117 potrebbero passare, in tutto o in parte, alle regioni.

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CONFRONTO CON I LETTORI

15 commenti

  1. Bruno Stucchi

    Dimentichiamo tutti che la piu’ antica confederazione, la Svizzera, e’ a due passi da casa nostra. Li’ il federalismo fiscale funziona bene. Perchè non ispirarsi a quel modello?

  2. Giuseppe

    Al di là delle ideologiche posizioni leghiste, è interessante ogni tanto leggere degli articoli che approfondiscono gli aspetti macro-economici del federalismo. In questa sede mi interessava proporre un altro punto di vista, quasi sempre sottaciuto nelle ricerche. Penso sia assolutamente indiscutibile che in Lombardia il gettito irpef ed irpeg sia il più alto, è infatti in quella regione che hanno sede tutte le multinazionali e le imprese medio-grandi. Ma queste imprese hanno un fatturato consistente perchè il mercato di riferimento è l’Italia intera non la sola Lombardia: buona parte del fatturato della Barilla viene fatto nel mezzogiorno, visti gli alti indici di consumo di pasta, ma le tasse le paga al nord. Per queste ragioni Tremonti, il vero ideologo del federalismo fiscale leghista, da una parte pretende che le tasse restino dove si produce, dall’altra però vuole chiudere i confini (italiani, non lombardi) alle imprese estere. Coerentemente Bossi non vuole i docenti dal Sud, ma degli studenti meridionali che riempiono le università del nord non parla. Mai sentito parlare di “sistema-paese”?

  3. tindaro

    Considerato che in Italia il pagamento degli interessi sul debito pubblico assorbe da solo il 30% del totale delle entrate tributarie dello Stato, a cui aggiungere il debito pensionistico, che pure rimarrebbe completamente sulle spalle dello Stato, le grandi infrastrutture, la difesa e la solidarietà internazionale… quale dovrebbe essere la percentuale massima di decentramento possibile considerando anche la quota percentuale di perequazione per le regioni in difficoltà?

  4. Sergio Guerzoni

    E’ chiaro che il federalismo si deve fare senza se e senza ma, risorse ormai scarse devono essere riallocate (almeno di quasto ci hanno convinto e si sono convinti quasi tutti i partiti politici, tanto che dirsi statalista oggi è quanto meno reazionario). Non sono però così sicuro che il federalismo possa effettivamente sanare un’Italia che non nasce federale, a mia conoscenza non esistono stati che hanno retto a tale trasformazione.

  5. Rocco Passerotto

    L’IReS sembra non rientrare per ovvi motivi all’interno della questione federale cioè non risulta tra quei tributi che dovrebbero essere devoluti, quindi qualunque sia la sede italiana della Barilla le imposte sul reddito andrebbero nelle casse del governo centrale; il problema semmai riguraderebbe un’eventuale rifroma dell’IRAP. Ad oggi se un’ impresa ha sede legale a Milano e ha uno stabilimento in Puglia paga l’IRAP anche in Puglia, in futuro vedremo.

  6. franco

    Esiste un’ Italia di mezzo, quella che Giuseppe De Rita quantifica trasvelsalmente in un 25% e che giudica la parte trainante del Paese. Un’ Italia che ha nel DNA il "sistema Paese". Che non è opportunista , che non sputa sul piatto dove mangia, che è colta e onesta professionalmente, che giudica l’euro una opportunità, che non è abituata a chiamare le persone "extracomunitario". Viva quella "Italia di mezzo" che silenziosamente sostiene ancora questa Nazione.

  7. giuseppe

    Anche se l’IRES non viene inserita nella riforma federale, e in questo ci possono rispondere i ricercatori, resta il fatto che i Signori Barilla pagano l’IRE nella città in cui risiedono, per non parlare delle società di persone e ditte individuali. Ho solo voluto precisare che quando si parla di federalismo fiscale non si guardi solo in un unico senso, e cioè alla redistribuzione del reddito.

  8. renato foresto

    Ma non abbiamo votato con un SI’ a larga maggioranza il Referendum sul nuovo testo della Costituzione che dispone con l’ art. 119 l’ autonomia delle Entrate e delle Spese di Regioni Province e Comuni? Autonomia delle Entrate significa azzerare, salvo la quota da attribuire alla solidarietà nazionale, i Trasferimenti ordinari dello Stato, delle Regioni e delle Province agli Enti minori. Il Federalismo fiscale é formula ambigua che ammette soluzioni diverse, dalla proposta lombarda basata sulla compartecipazione delle Entrate su base regionale alla proposta piemontese della Bresso che mira a un’ addizionale sulle imposte corrispondente alle nuove competenze da assumere su Trasporti, Università, Cultura, Ambiente, Sanità e Previdenza.

  9. mirco

    Oggi l’Italia è organizzata in regioni province comuni.Questi ultimi sono più di 8mila. Esistono comuni che faticano per la loro micrograndezza a gestire una scuola materna. Occorre partire dall’inglobabento di questi comuni ai comuni più grandi limitrofi. Creare insomma comuni di circa 100.000 abitanti fino ad un massimo di 150.000 con un territorio suffcientemente grande. Per intenderci una provincia attuale di media superficie poniamo di 2000km quadrati possa suddividersi in 4 comuni che potrebbero trasformarsi in cantoni. Questi cantoni dovrebbero organizzarsi sviluppando l’organizzazione comunale del comune originario piu grande e inglobare le funzioni delle province. L’Emilia Romagna ad esempio potrebbe passare da 341 comuni e 10 province a soli 25 Cantoni compresa l’area metropolitana di Bologna. In questo modo si abolirebbero molte cariche di sindaco e molti consigli comunali e provinciali comunita montane ecc. I cantoni diventerebbero con un borgomastro e un senato cantonale gli organi decentrati che assumono le funzioni attuali dei comuni e delle province (asl, aziende municipalizzate,polizia locale dovrebebro uniformarsi territorialmente). Un bel risparmio!

  10. Nicole Kelly

    Formigoni gesuiticamente ha fatto una proposta tutta pro domo sua, infatti, non dice qual’è l’IVA sulla quale vuole mettere mano: quella pagata dal consumatore sul proprio territorio o quella pagata da che la riscuote e poi la versa alla mano pubblica? Nel primo caso l’IVA pagata a Matera andrebbe alla regione Basilicata, nel secondo caso, se il consumatore di Matera ha comprato in un supermercato di una catena con sede a Milano, l’IVA andrebbe a Formigoni. Inoltre, nel primo caso ci sarebbe anche un problema per le vendite a distanza: il consumatore di Trento che acquista tramite internet o al telefono un prodotto/servizio a chi pagherebbe l’IVA? E come si fa ad accertarla? In America il problema delle tasse sulle vendite fatte tramite e-commerce è ancora irrisolto. E là il localismo fiscale esiste da 200 anni.

  11. Mauro Molinaris

    Non sono contrario a priori al federalismo fiscale, ma preferirei di gran lunga una semplificazione della burocrazia che preveda subito l’abolizione delle province (tutte!) e la soppressione dei piccoli comuni. In un momento come questo, l’istituzione di nuovi centri di spesa presso le regiorni non farebbe altro che aumentare a dismisura sprechi e tangenti. In sistema Italia ha bisogno di semplificazione; cioé meno leggi, meno burocrazia, meno tasse e più giustizia. Il federalismo fiscale può essere attuato dopo questi passaggi, altrimenti si finirà per peggiorare la situazione (e la sopportazione) di cittadini ed aziende che è già arrivata ad un punto critico.

  12. Luka

    Discutere di federalismo si o no oggi è come discutere di raccolta differenzaita si o no, è una questione superata insomma. In un mondo globalizzato e sempre più competitivo il nostro paese non si può più permettere certe inefficienze, presenti ovunque ma con punte incredibili nel meridione. Numerose e varie statistiche nazionali (dati e fatti quindi) dimostrano come certe regioni a parità o addirittura superiorità di spesa offrano un livello di servizio nettamente inferiore. L’unico modo di colpire questa situazione è la concorrenza fra enti e soprattutto la responsabilizzazione degli amministratori pubblici; la loro inadeguatezza (per non parlare di corruzione) deve ricadere su chi li ha scelti: se per esempio il servizio di raccolta rifiuti napoletano è inefficiente, la colpa è degli amministratori locali ma anche di chi li ha votati. Si finirà con il sistema clientelare visto che verranno meno i vantaggi (soldi a pioggia, contributi etc) e si vedranno gli svantaggi (tasse locali alte e bassi servizi).

  13. Emilio Longo

    Negli auspici dei proponenti, il federalismo dovrebbe favorire più efficienza nella spesa pubblica, responsabilizzando la classe dirigente delle Regioni, più vicina al controllo dell’elettorato. In realtà, si può dubitare che la dirigenza meridionale, proprio per la sua vicinanza a gruppi di interesse locali che vivono di spesa pubblica, spesso contigui alle associazioni a delinquere, sia in grado di assumere decisioni impopolari per contenere e riqualificare la spesa. E’ più probabile che a fronte degli stringenti vincoli di bilancio imposti dal federalismo, Regioni e Comuni del Sud finiscano per indebitarsi e ballare sull’orlo della bancarotta, consapevoli che uno Stato (ancora) unitario non potrà accettare la rivolta sociale conseguente il degrado dei pubblici servizi (vedi caso rifiuti Napoli). Analogamente si può pure dubitare che le Regioni del C-Nord, avendo a disposizione più risorse, mantengano la stessa determinazione nel combattere sprechi e privilegi. Paradossalmente, il federalismo rischia oggi di allontanarci dall’obiettivo: inseguendo i facili umori del proprio elettorato, la politica del Nord fugge forse dalle proprie responsabilità di guidare la riforma del Paese.

  14. Alfo

    Ma che federalismo è mai questo dove l’IVA la incassa la regione che produce e non quella che la paga. Mi dovrebbero spiegare perchè nel federalismo non rientrano mai banche, assicurazioni, petrolio, per fare un esempio. Dove sbagliano è quando sostengono che al Sud non spettano le risorse, per il solo fatto che non le ha. L’attuale condizione di sviluppo e di pieno impiego nel Centronord non si sarebbe mai potuta determinare senza l’apporto dell’altra parte del Paese. E’ chiaro che questo federalismo, che federalizza soltanto la spesa pubblica, non potrà mai alterare la condizione di dipendenza economica, i rapporti Sud/Nord, che sono già iscritti nei meccanismi di mercato, nelle merci che tolgono lavoro, nella gestione nordista del credito, come non potrà mai porre freno al rastrellamento dei surplus. Il Sud non avrà più soldi da spendere, ma anche il Nord avrà ben poco da incassare, perché funziona da imbuto: rilascia ciò che incassa, Se il Sud avesse le mani libere in materia di credito, di commercio internazionale, di politica estera, di politica agricola e industriale, allora, solo allora, il federalismo avrebbe un senso.

  15. hauner.davide

    In Canada ogni cittadino, quando acquista anche un pacchetto di caramelle paga due tasset: la Gst (sui servizi e sui beni) e tasse "provinciali" per circa un 2,5 percento in tutto, tranne che in Alberta. Li, per via della presenza di ingenti introiti petroliferi il governo provinciale ha deciso di glissare sulla tassa locale e di mantenere solo quella federale e l’albertta non è la provincia piu ricca. Si dice che il sud non abbia risorse, io sinceramente non ci credo. terreni incolti, un poco di petrolio in Basilicata, bellezze naturali potrebbero essere sfruttate meglio, e nuove "silicon valley" maccheroniche potrebbero essere create, magari in quest’ultimo caso rilanciando il distretto catanese. il federalismo ha come ovvia conseguenza la responsabilizzazione degli enti locali e il passaggio dalla spesa storica a quella standardizzata è un’ulteriore fattore di chiarezza nei conti di certi enti.

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