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Autore: Maria Flavia Ambrosanio Pagina 1 di 2

ambrosanio Professore associato di Scienza delle finanze, insegna Scienza delle finanze e Sistemi fiscali comparati presso l’Università Cattolica, dove è coordinatrice del Master in Economia Pubblica, all’interno del quale tiene il corso di Economia Pubblica. Ha collaborato e collabora con istituzioni e centri di ricerca nazionali ed internazionali. Collabora da anni alla redazione di Osservatorio Monetario, iniziativa dell’Associazione per lo Sviluppo e gli Studi di Banca e Borsa. I più recenti ambiti di ricerca riguardano la concorrenza fiscale, la finanza regionale e locale, i problemi dello sviluppo sostenibile e della private-public partnership.

Nella legge di bilancio poco spazio agli enti locali

La manovra rende più facili gli investimenti delle amministrazioni locali, ma non dà incentivi monetari alla loro realizzazione. E continua a impedire ai comuni di utilizzare la leva fiscale per aumentare le risorse a propria disposizione.

Delega fiscale tra rinvii e intrecci pericolosi

A che punto è l’attuazione della delega fiscale approvata un anno fa? Qualcosa è stato fatto per semplificare il sistema, ma i temi più importanti non sono ancora stati affrontati. E l’intreccio tra delega e legge di stabilità ripropone il vizio italiano di procedere in modo poco organico.

Conti pubblici, fisco e federalismo

L’obiettivo prioritario è stato il riequilibrio dei conti pubblici. Ottenuto soprattutto attraverso l’aumento della pressione tributaria. Alcune misure risentono dell’urgenza con cui sono state disegnate e andranno riviste. Molto resta da fare: dalla riforma fiscale al riordino dell’intero sistema di finanza locale. 

Un inizio di revisione della spesa

Anche se un vero e proprio processo completo di ridefinizione delle aree e dei settori di intervento pubblico avrebbe richiesto tempi molto più lunghi, nella spending review del governo Monti c’è più revisione della spesa di quanto possa sembrare a prima vista. Alcuni spunti sono interessanti, come il superamento dei tagli lineari in diversi ambiti. Suscitano invece qualche perplessità le disposizioni che riguardano la spesa degli enti territoriali. Soprattutto perché non appaiono chiari i criteri per la ripartizione delle riduzioni dei trasferimenti.

UN PATTO COL DIAVOLO

Il conflitto tra governo ed enti locali è ancora più aspro dopo le manovre estive. I provvedimenti equivalgono a circa il 12 per cento della loro spesa, sanità esclusa. Effetti probabili? Un aumento della pressione fiscale locale e un’ulteriore riduzione degli investimenti. Con il rischio che le manovre, oltre ad avere un impatto recessivo immediato, riducano anche il tasso di crescita potenziale dell’economia, il fattore fondamentale a cui si lega la sostenibilità del nostro debito pubblico. Le incertezze sui premi ai virtuosi. Novità positiva la regionalizzazione del Patto.

UN ANNO DI GOVERNO: FEDERALISMO

I PROVVEDIMENTI

Che è successo nel primo anno del IV governo Berlusconi ai rapporti finanziari tra governi, o per dirla più semplicemente al federalismo fiscale? Nulla di nuovo rispetto al Berlusconi II e III. Allora come ora, dichiarazioni eclatanti a favore del decentramento e del federalismo, fatte apposta per far contenti pezzi della maggioranza, si sono accompagnate a comportamenti concreti che vanno esattamente nella direzione opposta.

Dal lato delle entrate:

Si è abolita l’Ici sull’abitazione principale, il più importante tributo comunale (costo stimato: 1,7 miliardi di euro). La cancellazione dell’imposta contrasta con il principio dell’autonomia tributaria sancito dalla Costituzione. E se anche fosse vero che le perdite di gettito saranno interamente coperte da trasferimenti, del che c’è da dubitare, almeno a sentire i sindaci che ancora aspettano di vedere i soldi, il risultato non è ovviamente lo stesso in termini degli incentivi.
Sempre in contrasto con l’obiettivo dell’autonomia tributaria, il Dl 93/2008, come l’analogo intervento deciso nel 2002, ha bloccato la possibilità di introdurre variazioni nell’addizionale comunale all’Irpef, così come dell’addizionale regionale sull’Irpef e sull’Irap. (1)
Ironicamente, la Ruef (aprile 2009) attribuisce il blocco dei tributi locali al desiderio di “sostenere i redditi e di ridurre la pressione fiscale”. Peccato che il blocco e la riduzione dell’Ici siano stati introdotti a pressione fiscale invariata, cioè con l’aspettativa che i due interventi saranno finanziati interamente da incrementi nei tributi erariali.

Dal lato delle spese:
Nell’ambito della manovra sulle spese per il 2009-2011, il contributo più rilevante al risanamento è stato richiesto agli enti locali, attraverso il patto di stabilità interno, con risparmi di spese correnti stimati in 3,4 miliardi di euro nel 2009, 5,5 nel 2010 e 9,5 nel 2011, somme che rappresentano circa il 40 per cento dei risparmi complessivi in ciascun anno. Per avere un punto di riferimento, i risparmi delle spese statali (per la parte corrente) sono stimati in 3, 3,5 e 6,3 miliardi di euro rispettivamente. Naturalmente, è tutto da vedere se questi risparmi di spesa siano conseguibili, soprattutto alla luce della presente crisi economica.
È stata fortunatamente messa da parte la proposta del Consiglio regionale della Lombardia sull’attuazione dell’articolo 119 del Titolo V della Costituzione (cosiddetta bozza Formigoni), nonostante che questa fosse enfaticamente prevista nel programma elettorale del Partito delle libertà. Al suo posto, è stata invece approvata definitivamente dal Parlamento la legge delega “Calderoli”, che riprende in molte parti l’analogo provvedimento presentato dal governo Prodi. La legge delega è piena di buoni principi, molto vaga e contraddittoria in alcune parti. Comunque, richiederà diversi anni per essere pienamente applicata. E nel frattempo?

(1) Se sarà davvero così. Il blocco della addizionale Irpef ha infatti scatenato un contenzioso tra Stato e comuni, che reclamano il diritto di portare avanti gli incrementi decisi nel 2008 per gli anni successivi e già iscritti nei bilanci di previsione. Per il momento, la Corte dei conti ha dato loro ragione. Si aspetta di vedere se il governo farò ricorso.

SENZA NUMERI NON C’E’ FEDERALISMO

Le norme sul federalismo fiscale sono assai complesse e non sarà facile attuarle. Ma se si vuole davvero mettere su un binario corretto il dibattito, la prima cosa da fare è predisporre un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili. Bisogna costruire al più presto un sistema informativo appropriato sui dati territoriali, che consenta di raccordare le informazioni che arrivano dalle diverse fonti, spesso contraddittorie tra di loro. Un’operazione di questo tipo accelererebbe l’avvio del federalismo molto più di qualunque legge delega.

RICETTE DI BUON FEDERALISMO

Al di là dei problemi di metodo e di merito della proposta di federalismo fiscale della Lombardia, alcune questioni sono imprescindibili. La spesa statale da devolvere alle regioni è localizzata soprattutto nel Sud, mentre le risorse sono prevalentemente al Centro-Nord. Qualunque ricetta di federalismo dovrebbe perciò riavvicinare nel medio periodo i livelli di spesa a quelli delle entrate regionali; garantire a tutte le regioni le risorse necessarie per i servizi fondamentali; introdurre sistemi di controllo per premiare le capacità gestionali territoriali.

Il Patto in Comune (scheda d’approfondimento)

La distribuzione dei sacrifici tra comuni

Ma come viene distribuito l’onere tra comuni? Per discuterne, è necessario entrare nei dettagli. Concentriamoci per semplicità sul solo 2007 (1). Il riequilibrio per ciascun comune è la somma algebrica di due elementi. In primo luogo, si chiede ai comuni di ridurre del 50% nel 2007 il disavanzo di cassa medio registrato nel triennio 2003-2005 (2). Ciò significa che ciascun comune deve ridurre le spese o aumentare le entrate in modo tale da garantire un miglioramento nel saldo di bilancio (sia per la cassa che per la competenza) pari al 50% del disavanzo annuale medio nel periodo 2003-05. Per definizione, questa correzione non riguarda i comuni in avanzo nel periodo considerato. Il secondo elemento è invece universale, e richiede a tutti i comuni di migliorare il saldo di bilancio in misura pari al 3,4% dei pagamenti correnti effettuati in media nel periodo 2003-05. A sua volta, questa percentuale viene determinata in modo da garantire per il complesso dei comuni una riduzione pari alla metà del disavanzo di cassa registrato in media dai comuni nel 2003-05. In altri termini, la manovra si propone di eliminare del tutto il disavanzo di cassa registrato dal complesso dei comuni già nel 2007; metà di quest’aggiustamento è attribuito agli stessi comuni in disavanzo; l’altra metà a tutti i comuni (compresi dunque sia quelli in avanzo che in disavanzo), in una misura direttamente proporzionale alla propria spesa corrente.

Le ragioni del Patto

La ragione di questo complicato meccanismo è probabilmente duplice. Da un lato si vuole evitare di pesare eccessivamente sui soli comuni in disavanzo, ma garantendo al contempo l’obiettivo di un’eliminazione completa dei disavanzi già nel 2007. Dall’altro, si vuole coinvolgere tutti i comuni, compresi quelli "virtuosi", nel processo di aggiustamento. E’ chiaro inoltre che l’uso alla spesa corrente come indicatore per la distribuzione (di metà) dell’aggiustamento è una scelta puramente discrezionale del legislatore. Deciso l’onere dell’aggiustamento da attribuire alla totalità dei comuni, questo avrebbe potuto essere diviso in qualunque modo tra quest’ultimi, per esempio, in base al pro capite o al reddito pro capite di ciascun comune (per fasce dimensionali) o a una qualunque combinazione di questi due. La scelta della spesa corrente riflette probabilmente un intento paternalistico da parte del governo; la spesa in conto capitale è meritoria e va incentivata (o per lo meno non disincentivata), quella corrente va penalizzata. Così, per esempio, due comuni con lo stesso saldo di bilancio, ma con una diversa composizione del bilancio, devono contribuire all’aggiustamento in modo diverso, proporzionalmente maggiore per i comuni con una spesa corrente maggiore.

Le difficoltà del Patto

Le ragioni del governo nella costruzione del Patto di Stabilità interna sono dunque comprensibili, ma non per questo prive di controindicazioni. Non è del tutto ovvio per esempio perché si debba necessariamente privilegiare la spesa in conto capitale a fronte di quella corrente. Con la spesa corrente si finanziano molti servizi ai cittadini, mentre viceversa si possono sprecare i soldi anche investendo in opere inutili. Si sarebbe potuto individuare un indicatore più oggettivo per il riparto dell’onere tra i comuni. Una giustificazione della scelta del governo può essere il voler evitare che i comuni, messi alle strette, riducano la spesa in conto capitale più che quella corrente, in genere più difficile da controllare sul piano politico.
In secondo luogo, mentre la spesa corrente è sicuramente più stabile di quella in conto capitale, anche questa varia considerevolmente per periodi, per dimensione territoriale dei comuni e per singoli comuni. La tabella 1, costruita a partire dai dati di bilancio dei comuni capoluogo per il periodo 1998-2001 illustra, per esempio, che i comuni più grandi spendono molto di più di quelli più piccoli, e che vi sono variazioni consistenti per periodi anche lunghi tra comuni. Ciò significa che il 3,4% di riduzione della spesa corrente uniforme tra comuni può generare variazioni molto consistenti in termini di onere di aggiustamento, pari a quasi il 100% nel nostro campione in termini procapite.
In terzo luogo, l’indicatore suscita qualche perplessità, anche supponendo che l’obiettivo sia quello di incentivare la spesa in conto capitale. Per esempio, è ben possibile che un comune, pur presentando lo stesso saldo di un altro, spenda più di quest’ultimo sia per la spesa in conto corrente che per quella in conto capitale. In questo caso, il primo comune è sottoposto ad un aggiustamento maggiore del secondo, senza che ne sia del tutto chiara la giustificazione teorica.

Tabella 1

Spese correnti per classi di popolazione, pagamenti

(comuni capoluogo; euro pro capite)

Classi di popolazione 1998 2001 Variaz. %
meno di 50.000 651 759 +16,6
da 50.000 a 70.000 590 663 +12,4
da 70.000 a 100.000 699 773 +10,6
da 100.000 a 200.000 696 795 +14,2
da 200.000 a 500.000 802 966 +20,4
oltre 500000 819 1051 +28,3
  687 793 +15,4

La sostenibilità individuale dei sacrifici

La tabella 2 suggerisce invece qualcosa sull’ordine di grandezza dell’aggiustamento imposto in media a ciascun comune. Poiché la spesa corrente è circa il 75% della spesa complessiva di un comune, e poiché è presumibile che la spesa complessiva dei comuni tra il 2004 e il 2006 sia cresciuta almeno in misura pari al tasso di inflazione cumulato nel biennio, ciò significa che l’aggiustamento richiesto nel 2007 rispetto al 2006 sia in media per i comuni attorno al 2,4% della propria spesa complessiva (i.e. 0.034 per 0.70). Cioè in media, solo per la componente relativa alla spesa corrente, ciascun comune deve ridurre la propria spesa o aumentare i propri tributi nel 2007 per una percentuale pari a circa il 2,4% della spesa complessiva del 2006. Si osservi che, per costruzione, per i comuni in disavanzo, questo aggiustamento in media deve essere almeno pari al doppio di questa cifra (sarebbe esattamente uguale al doppio se tutti i comuni fossero in disavanzo, mentre in realtà molti sono in avanzo).

Tabella 2

Risparmi di spesa per classi di popolazione

(comuni capoluogo; euro pro capite; simulazione 1999-2001)

  Tutti i comuni Popolazione <50.000 Popolazione tra 50.000 e 100.000 Popolazione tra 100.000 e 300.000

Popolazione

>300000

n. osservazioni 101 20 42 29 10
Media 25,3 24 23 26,1 33
Mediana 24,4 24 23 25,8 34
Massimo 46 33 30 46 38
Minimo 11 16 11 18 21
Standard deviation 5,4 4 4 5,5 5,3

1) Il patto di stabilità interna in realtà opera per il triennio 2007-9, ma 1) l’onere principale dell’aggiustamento è concentrato sul 2007 e 2)l’esperienza insegna che i patti tendono a essere modificati anno su anno, per cui appare ragionevole evitare complicazioni, discutendo solo il 2007.
2) Il 2005 è l’ultimo anno per cui dati certi sono disponibili per la cassa; e l’uso della media triennale, invece del solo 2005, intende ridurre le oscillazioni annuali, dovute in particolare all’evoluzione delle spese in conto capitale.

Il Patto in Comune

La Finanziaria chiede molto agli enti locali in termini di miglioramento dei saldi. Ma non è vero che le risorse addizionali offerte non sono sufficienti a garantire i servizi, almeno per l’aggregato. E’ vero però che per i comuni in disavanzo la correzione richiesta è robusta, superiore in media al doppio di quella complessiva per il settore pubblico. Questi problemi sono esacerbati dalla scelta della spesa corrente come criterio per la distribuzione dei sacrifici. E le sanzioni vanno modificate; così rischiano di essere controproducenti. In seconda pagina, una scheda di approfondimento.

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