Le osservazioni del lettore sono estremamente acute e desidero ringraziarlo per l’apporto di riflessione che ha inteso offrire, partendo da alcune delle indicazioni contenute nel mio articolo.

1)         Per quanto riguarda l’informazione sul primo pilastro, già in passato ebbi ad esprimere perplessità su modalità e contenuti della campagna pubblicitaria svolta dal Governo nel semestre del “silenzio assenso”. Occorre premettere che una certa quale “improvvisazione” fosse inevitabile, data l’estrema ristrettezza del tempo intercorrente tra la decisione di anticipare di un anno l’avvio della riforma e l’attuazione della stessa. Abbiamo però tutti scontato un grave ritardo, che definirei politico-culturale, sull’identificazione degli argomenti da presentare per richiamare l’attenzione degli italiani in ordine all’importanza della previdenza complementare e sulle forme più appropriate di comunicazione da utilizzare a tal fine. In particolare, sembra vi sia ancora una certa ritrosia a rendere espliciti agli occhi dei nostri concittadini gli effetti della introduzione del metodo contributivo sull’ammontare finale della pensione che essi potranno attendersi nei decenni a venire dal sistema obbligatorio. Sarebbe oltremodo auspicabile che si sviluppasse nel Paese una campagna di educazione di massa sulle attuali caratteristiche del sistema pensionistico (pubblico e privato) per dare a tutti modo di conoscere in largo anticipo di quale copertura previdenziale si potrà beneficiare in futuro. E’ un’esigenza che discende da un interesse nazionale (giacché in causa è il destino previdenziale di milioni di italiani) che dovrebbe essere riconosciuto come tale da tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
2)         La proposta da Lei avanzata sull’allocazione di parte delle somme dovute per il riscatto a fini previdenziali degli anni di università pare senz’altro meritevole di attenzione. E’ forse inutile precisare che essa riguarderebbe una (pur importante) minoranza del mondo del lavoro dipendente, che non risulta sia quella meno disponibile all’investimento nei fondi pensione.

3)         La questione dei rendimenti e quella dei costi. Non è esatto dire che i rendimenti dei fondi pensione siano stati negativi in assoluto a seguito della crisi del 2001. Guardando ai dati, si osserva che l’impatto della crisi del 2001 è stato abbastanza rapidamente assorbito dalla industria dei fondi pensione italiana. All’interno di essa, peraltro, si riscontravano rendimenti diversi, soprattutto a causa dell’impatto dei costi sui rendimenti netti (ovviamente, nell’ambito di portafogli confrontabili). Purtroppo, la corrente crisi dei mercati finanziari mondiali ha generato uno shock che sta colpendo pesantemente anche il patrimonio dei fondi pensione. La durata della crisi non è di facile previsione, né si intende utilizzare per tranquillizzare il pubblico unicamente l’argomento, che pure ha una ragionevolezza empirica, riguardante il carattere di lungo periodo dell’investimento previdenziale. Altre componenti giocano un ruolo nel calcolo di convenienza: il contributo addizionale del datore di lavoro, la deducibilità fiscale, il regime impositivo di favore previsto nella fase dell’erogazione delle rendite. L’introduzione di una parziale detraibilità della contribuzione ai fondi avrebbe certamente un notevole impatto nel calcolo di convenienza e determinerebbe una redistribuzione dei benefici a favore delle classi a basso reddito. Sono peraltro d’accordo con l’affermazione che l’offerta di servizi accessori (soprattutto, il Long Term Care e la copertura caso morte) rappresenti un positivo elemento di differenziazione del prodotto fondo pensione rispetto al TFR. Occorre però ricordare che tali servizi hanno un costo aggiuntivo che potrebbe essere ridotto qualora fossero offerti (come già avviene in qualche caso) anche nell’ambito dei fondi ad adesione collettiva. Ritengo che un codice di autodisciplina potrebbe essere la sede adeguata anche per standardizzare l’offerta di tali servizi – e i relativi costi – in modo da evitare l’introduzione di un ulteriore elemento di confusione nella confrontabilità dei prodotti, a tutto scapito della trasparenza e della accountability dei fondi.

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Riguardo a tale ultimo concetto, la proposta di favorire forme di aggregazione dei fondi negoziali è anche rivolta all’obiettivo di conseguire economie di scala che consentano ai fondi di minore dimensione (quelli più grandi potrebbero – e dovrebbero – farlo sin d’ora) un aumento delle spese volte a rafforzare l’organizzazione con figure professionali adeguate (a livello dei Consigli d’amministrazione e delle strutture amministrative), e a rendere più efficienti i servizi agli aderenti.

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