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ALLA RICERCA DEL COSTO STANDARD

Il costo standard è cruciale nella finanza federale per determinare i flussi perequativi. Attenzione a non impostare complessi e probabilmente inconcludenti sistemi di valutazione microanalitica degli standard fisici e monetari in gioco. Conviene realisticamente adottare, sull’esempio della sanità, un approccio macroeconomico, con un dato monetario nazionale, scelto in sede politica, e coefficienti correttivi territoriali di natura tecnica. L’auspicio è che si cominci a ragionare in questi termini anche per assistenza, istruzione e trasporto locale.

Il concetto di costo standard, contrapposto al costo storico, occupa giustamente un ruolo centrale neldisegno di legge delega sul federalismo fiscale approvato dal Consiglio dei ministri l’11 settembre 2008. Il costo standard contribuirà infatti a determinare, per ciascun ente, il fabbisogno “ufficiale”e quindi l’eventualetrasferimento perequativo cui avrà diritto in caso di insufficiente capacità fiscale. Come affrontare questo nodo cruciale della finanza federale?

L’APPROCCIO MICROANALITICO

C’è da essere preoccupati di certe tesi che cominciano a circolare e che invitano atradurre in cifrela sequenza logica del calcolo, e quindi a considerare esplicitamente tutti i dati monetari e fisici coinvolti, definendo di ciascuno il livello standard. Per ogni servizio occorrerebbe quindi considerare le prestazioni standardche lo compongonononché la qualità standard che si assume nella stima delle risorse di lavoroe capitale impiegate in tali prestazioni. E poi bisognerebbe applicare i prezzi delle risorse impiegate, naturalmente ignorando i prezzi eccezionalmente alti o bassi che possono riscontrarsi in concreto nella spesa degli enti come conseguenza di particolare abilità oppure di particolare incapacità o corruzione dei funzionari, e individuando anche qui dei valori standard. Si tratterebbe, in buona sostanza, di fare la somma di una serie estesa di prodotti tra prezzi e quantità di risorse, in cui ogni elemento in gioco sarebbe inserito con il valoreritenuto “appropriato”. Non occorre mettere in campo i problemi concettuali dell’economia pubblica – obiettivi e strumenti spesso non misurabili, organizzazioni complesse e poco coordinate in cui sono compresenti segmenti di attività efficienti e segmenti inefficienti, eccetera – per intuire che con questo approccio microanalitico, implicante molti fattori e quindi moltiaccordi tecnico-politici,non si va da nessuna parte. Anzi, ammesso e non concesso di riuscire a determinare una fotografia molto articolata del fabbisogno di un ente in un determinato momento, bisognerebbe comunque diffidare di questo approccio. Diventerebbe probabilmente un freno alle innovazioni di prodotto e di processo, dato che, fino al cambiamento ufficiale della formula microanalitica, le nuove prestazionie le nuove combinazioni produttive potrebbero mettere in pericolo i trasferimenti acquisiti. E per evitare simili timori paralizzanti, occorrerebbe impegnarsi in un defatigante e costoso processo di aggiornamento continuo.

MODELLO SANITÀ

Serve quindi un approccio basato su un numero limitato di elementi, facilmente misurabili e abbastanza resistenti nel tempo. La strada è indicata dalla sanità, che rappresenta la voce di gran lunga più importante della spesa regionale e al contempo quella su cui più pregnante è il vincolo di assicurare i livelli essenziali di assistenza in tutto il paese. Ignorando molti aspetti non determinanti, il “modello” del finanziamento regionale della sanità pubblica ci indica che gli elementi fondamentali in gioco sono solo due.
Il primo elemento è un dato monetario, il fondo complessivo che il Parlamento ha deciso di mettere a disposizione della sanità pubblica e che quindi rappresenta “per definizione” quantoserve e basta, nel giudizio politico, per assicurare i livelli essenziali ditutela sanitaria all’intera popolazione in quel determinato contesto dibisogni e conoscenze e disponibilità. Il secondo elemento è costituito da una formula che racchiude le determinanti reali del fabbisogno sanitario (struttura demografica e in minor misuracaratteristiche epidemiologiche e sociali): consente di determinare, attraverso la stima di quelle determinanti nelle varie aree, la quota pro capite di ciascuna regione rispetto alla quota pro capite nazionale. (1)
Le vicende della sanità italiana ci dicono che la conflittualità tra regioni rimane, a dispetto del semplice e convincente impianto analitico per la ripartizione delle risorse. In gran parte, tuttavia, essa è legata a problemi che nel nuovo contesto apparterrebbero non già alla vera e propria tematica del costo standard bensì alla tematica del periodo transitorio, ossia dei tempi e dei modi per passare dal dato storico a quello standard, una tematica in cui l’accordo politico prevale sulla bontà tecnica delle possibilisoluzioni. È vero che anche la stessa formula della quota capitaria è stata oggetto di forti critiche da parte della Svimez; ma critiche non convincenti, sia consentito diosservare incidentalmente, e che comunque non hanno impedito alla fine un accordo generale sulla ripartizione. Insomma, non esiste l’approccio perfetto e nemmeno quello facile. Ma quello qui indicato, che si potrebbe definire macroeconomico e che si caratterizza per undato monetario nazionale che nasce dalla politica, cui si applicano coefficienti correttivi territoriali scaturiti da una seria analisitecnica, appare capace di minimizzare i costi, i tempi e le probabilità di blocco del processo decisionale. L’auspicio è quindi che si cominci a ragionare in questi termini anche per assistenza, istruzione e trasporto locale.

(1)All’inizio della storia, è pressoché inevitabile che il dato monetario nazionale sia rappresentato dal dato storico. Poi si tratterà di individuare un opportuno riferimento nella dinamica del servizio sanitario, decidendoimplicitamente, nel confronto tra le pratiche delle varie regioni, il livello di efficienza che si vorrà assumere come standard generale. Il suggerimento personale é di prendere esempio dal trattato di Maastrict e di considerare la media di un sottoinsieme di regioni più efficienti (“Sanità e federalismo fiscale”, Politiche sanitarie, n. 1/2000, pp. 17-24).

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. antonio petrina

    Credo saggio definire con dati macro il costo standard che alla fine potremmo definire come costo medio a livello regionale ( su tutte le regioni) , cominciando ad es da quello dei servii sanitari.Se ad es. una TAC costa al nord 100 ed al Sud ( nelle regioni dalla campania in giù) 200 la media ponderata è 150 ( ipotizzando 2 gruppi) e quindi il fondo perequativo garantirà per ogni regioni 150 ,sia di quelle del nord e sia quelle del sud.

  2. RENZO PAGLIARI

    Una sola imposta sui redditi ed una sui consumi incluse le accise. Tasse soltanto a fronte di servizi resi. Unico percettore di imposte, per tutti i soggetti che producono redditi e consumano beni nel suo territorio, lo stato. Alle regioni ed agli enti locali quote di imposte sui redditi prodotti e sui beni consumati nei rispettivi territori, tasse relative ai servizi erogati ai propri residenti, a carico di questi. Il sistema fiscale in vigore si fonda sulla residenza del contribuente; sarà necessario introdurre un sistema di microcontabilità, a carico di questo e di macrocontabilità, a carico dello stato, che permetta di attribuire il gettito ai singoli luoghi in cui redditi e consumi sono generati. E’ una complicazione, ma assicura equità distributiva, semplificazione dell’imposizione, controllo degli aggregati macroeconomici.

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