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PERCHE’ E’ AUMENTATA LA DISUGUAGLIANZA DEI REDDITI

La disuguaglianza dei redditi è cresciuta molto più velocemente della disuguaglianza dei consumi. Le famiglie reagiscono in modo diverso a variazioni permanenti o temporanee dei redditi. Perché cercano di mantenere un livello di consumo stabile nel corso del tempo, mentre risparmio e indebitamento attutiscono le variazioni del reddito da un mese all’altro o da un anno all’altro. La diversa dinamica della disuguaglianza dipende dalla maggiore flessibilità del mercato del lavoro piuttosto che dallo sviluppo dei mercati finanziari.

La disuguaglianza dei redditi in Italia è fortemente aumentata nel corso degli ultimi venticinque anni, tanto da porre il nostro paese tra i più disuguali tra quelli appartenenti all’area dell’Ocse.
La figura 1 riporta questa speciale classifica per una delle tante misure di disuguaglianza dei redditi. Il valore per l’Italia è posto uguale a 100. La figura mostra che nell’anno 2000 solo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano indici di disuguaglianza superiori all’Italia.

Figura 1: La disuguaglianza dei redditi tra i paesi Ocse
(Indice di Gini per l’Italia posto uguale a 100. Fonte: Atkinson e Brandolini, 2000).

La figura 2 mostra invece l’evoluzione di quattro indici di disuguaglianza dei redditi e del tenore di vita delle famiglie, misurata dalla distribuzione dei consumi. Ciascuno dei quattro indicatori indica che tra il 1980 e il 2006 la disuguaglianza dei redditi è cresciuta molto più velocemente della disuguaglianza dei consumi. (1)
Cosa spiega la diversa dinamica, e in particolare il fatto che l’aumento della disuguaglianza dei redditi non si è tradotta in un aumento della disuguaglianza dei consumi di pari ammontare?

Figura 2: La disuguaglianza dei redditi e dei consumi, 1980-2006

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Per capire l’andamento della disuguaglianza dei redditi e dei consumi occorre considerare che le famiglie reagiscono in modo diverso a variazioni permanenti o temporanee dei redditi. Una variazione permanente del reddito, destinata quindi a durare nel tempo, viene in larga misura destinata al consumo, mentre una variazione temporanea, destinata a durare poco o a essere compensata da variazioni in senso contrario, viene per la maggior parte risparmiata. Accade perché le famiglie cercano di mantenere un livello di consumo stabile nel corso del tempo, mentre il risparmio e l’indebitamento attutiscono le variazioni del reddito da un mese all’altro o da un anno all’altro. Una riduzione permanente del reddito viene assorbita da una diminuzione del consumo in tutti i mesi dell’anno. Invece, una riduzione temporanea del reddito viene distribuita più o meno ugualmente in tutti i mesi dell’anno. Il che significa che si spende un poco meno ogni mese e che si risparmia la maggior parte del reddito nel mese in cui viene percepito. Con queste premesse, vi sono due possibili spiegazioni per gli andamenti della disuguaglianza. Una è legata a un aumento della sofisticazione dei mercati finanziari. L’altra a un aumento dell’instabilità dei redditi.

SVILUPPO FINANZIARIO E RIFORME DEL MERCATO DEL LAVORO

Una prima possibilità è che nel corso degli anni Novanta le famiglie italiane siano riuscite ad attutire meglio le fluttuazioni dei redditi per effetto dello sviluppo dei mercati finanziari e di condizioni più favorevoli di accesso al credito. E in effetti tra la metà degli anni Novanta e il 2006 la liberalizzazione dei mercati finanziari, la maggiore concorrenza tra banche e il processo di integrazione finanziaria sono stati seguiti da uno sviluppo notevole del mercato del credito al consumo e dei mutui ipotecari, con maggiore facilità di accesso al credito e costi più contenuti in termini di tassi di interesse rispetto ai periodi precedenti. Secondo questa interpretazione, la disuguaglianza del consumo è cresciuta meno di quella del reddito perché le famiglie sono state in grado di assorbire meglio le fluttuazioni del reddito, siano esse state di natura permanente o transitoria.

VARIAZIONI TRANSITORIE E PERMANENTI DEL REDDITO

L’aumento della disuguaglianza dei redditi può essere causato da un aumento di differenze nei redditi che persistono nel tempo, oppure da una maggiore instabilità dei redditi da un anno all’altro. Un esempio di variazioni persistenti è quello per cui la differenza tra le retribuzioni di un laureato e un diplomato si amplia per tutta la carriera lavorativa. Un esempio di variazioni transitorie è quello in cui il reddito di ciascun individuo è meno stabile, ad esempio perché alterna periodi di lavoro e periodi di disoccupazione, oppure periodi di lavoro part-time e periodi di lavoro a tempo pieno.
Una seconda interpretazione del perché la disuguaglianza dei consumi è cresciuta meno di quella dei redditi è dunque che l’aumento della disuguaglianza dei redditi è principalmente di natura transitoria, e che le variazioni temporanee del reddito non si riflettono interamente in variazioni dei consumi.

PERCHÉ LA DISUGUAGLIANZA DEL CONSUMO È AUMENTATA MENO DI QUELLA DEL REDDITO?

La nostra analisi indica che gran parte dell’aumento della variabilità dei redditi, e quindi della disuguaglianza, è dovuta a una maggiore instabilità dei redditi, piuttosto che a un cambiamento permanente della distribuzione dei salari. (2)
La prima componente è aumentata di circa tre volte nel corso degli anni Novanta, mentre la componente permanente aumenta solo durante la recessione del 1992-93, e successivamente è stabile. L’aumento della componente transitoria è in larga misura dovuto alle riforme del mercato del lavoro che hanno aumentato la flessibilità salariale e la mobilità dei lavoratori nel corso degli anni Novanta. Tra queste, vanno ricordate l’eliminazione della scala mobile e il ricorso molto più frequente a contratti di lavoro precari: a tempo determinato, lavoro part-time, collaborazioni a progetto, eccetera. La disuguaglianza dei consumi dunque cresce, ma non di quanto sarebbe aumentata se l’aumento della disuguaglianza dei redditi fosse stato di natura più persistente. Invece, si trova scarsa evidenza di un effetto del processo di liberalizzazione finanziaria sulle scelte di consumo delle famiglie.

(1) Si tratta della varianza dei logaritmi, del coefficiente di Gini, della differenza tra il 90-esimo e il 50-esimo percentile, e della differenza tra il 50-esimo e il decimo percentile.
(2) Tullio Jappelli e Luigi Pistaferri (2008), “Financial Integration and Consumption Smoothing,” CSEF Working Paper No. 200.

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17 commenti

  1. Alberto Rotondi

    Un commento da parte di un non esperto. In tempi di recessione mi sembra che ci sia un solo modo per diminuire le disuguaglianze: aumentare le tasse sulle rendite e diminuire quelle sul reddito, incrementando i servizi pubblici. Qualche esperto di economia mi dice perché questa opzione viene sempre bollata come velleitaria, da sinistra radicale e non viene mai discussa?

  2. Carlo

    Ma "sfruttamento" e’ forse una parola tabu’ per un economista? Eppure come altro spiegare che laureati preparati vengano pagati 1000 euro al mese, che studi legali prestigiosi non assumano ma costringano ad aprire la partita IVA ecc? Con qualche modello econometrico pieno zeppo di formule complicate che non funzionano?

  3. Tarcisio Bonotto

    E’ molto interessante l’analisi sulle cause della disuguaglianza dei redditi e dei consumi. L’articolo ci dà anche un’indicazione importante: perché cercano di mantenere un livello di consumo stabile nel corso del tempo. Problema: sarebbe necessario sapere anche come poter ottenere una stabilità dei consumi, senza dover saltare la terza o quarta settimana. Una proposta agli economisti: perché non si calcola il reddito minimo necessario ad acquistare le minime necessità vitali che comprendono alimenti, vestiario, abitazione, e trasporti/comunicazioni (per single, famiglie, pensionati etc) e lo si rende parte integrante della teoria economica? Queste necessità sono comuni a tutti, e fondamentali "per una vita sana e onorevole per sè e la propria famiglia", secondo la Costituzione italiana, ma per molti vengono precluse da un sistema capitalistico che auspica le disuguaglianze.

  4. Marco Di Marco

    Nel periodo da voi considerato, è diminuita velocemente la propensione al risparmio delle famiglie italiane. Questo, secondo me, suggerisce possibili approfondimenti futuri del vostro lavoro. E’ interessante capire come si sono sovrapposte fra loro la maggiore variabilità e la dinamica nettamente discendente dei risparmi e, inoltre, in che modo si sono riflesse in differenze distributive dei consumi e dei redditi. Non mi è troppo facile, con un trend in caduta dei risparmi (per numerose famiglie, è facile supporre, anche in valore assoluto e non solo in rapporto al reddito), fare inferenze dalla variabilità dei redditi e dei consumi alla loro distribuzione. Temo di non aver capito bene alcune delle vostre deduzioni (ma leggerò con più attenzione il paper), non mi sono chiare le assunzioni implicite di alcuni vostri passaggi dalla variabilità temporale alla distribuzione ‘sezionale’. Potrei fare lo stesso discorso che ho fatto sui risparmi a proposito dell’occupazione, che è cresciuta in molti anni del periodo. Come mai non si è riflessa in una riduzione significativa della distribuzione dei redditi?

  5. Lorenzo Matteoli

    Una cosa mi riesce difficile da capire: come mai sia obbligatoria la continua crescita del prodotto lordo per qualificare come "sana" l’economia di un paese. D’altra parte la maggior parte dei problemi di grande griglia (ambiente, energia, inquinamento, demografia, povertà) oggi derivano proprio dai fenomeni di "crescita". Non è concepibile una dinamica economica basata sull’equilibrio relativamente stabile dei sistemi sociali, industriali, economici? Una economia "steady state" senza sconfinare nella "decroissance"?

  6. Massimo GIANNINI

    La vera origine della crisi finanziaria è proprio nella disuguaglianza dei redditi e nel suo aumento in questi anni. La crisi finanziaria trova le sue origini proprio nella maggiore concorrenza tra banche e nel processo di integrazione finanziaria seguiti da uno sviluppo notevole del mercato del credito al consumo e dei mutui ipotecari, con maggiore facilità di accesso al credito. Ecco che proprio negli Stai Uniti, dove la diseguaglianza dei redditi è più alta, la facilità d’accesso al credito e un alto livello dei consumi sostenuto da debito e bassi tassi di risparmio hanno creato la bolla dei subprimes e le altre a venire (carte di credito). Si è cercato di nascondere una crescente disuguaglianza dei redditi ampliando l’accesso al credito a coloro che in verità meritori di credito, in termini finanziari, non sarebbero. Se la disuguaglianza del consumo è cresciuta meno di quella del reddito significa che le fluttuazioni del reddito sono coperte da indebitamento crescente delle famiglie e riduzione del tasso di risparmio. Su queste disuguaglianze e squilibri ha fatto poi "leva" il processo di liberalizzazione finanziaria cioé si é inserito il "leverage" del sistema bancario.

  7. Maurizio - Lucca

    La causa prima in Italia è sicuramente l’alto livello dell’evasione fiscale, che non permette una maggiore distribuzione delle risorse da parte dello Stato. Ma quale Governo (se non almeno in parte l’ultimo di Prodi) dell’Italia ha mai preso seri provvedimenti contro gli ‘evasori fiscali’? Si può agevolmente calcolare che, in ultima analisi, l’intero debito pubblico italiano sia derivato dall’entità delle evasioni fiscali. Ma chi parla mai di queste ‘cose’? E intanto milioni di italiani languono nella più cupa disperazione.

  8. Paolo Ermano

    Gentili autori, se ho ben capito la vostra interessante analisi, l’introduzione di componenti variabili del reddito ha causato una maggior disuguaglianza dei redditi stessi mentre, grazie allo sviluppo dei mercati finanziari in genere la stessa diseguaglianza non si è trasferita integralmente sui consumi. Mi chiedevo se si può prevedere che la disuguaglianza dei consumi segua quella dei redditi in maniera ritardata, ovvero che lo sviluppo di strumenti alternativi per attutire variazioni di reddito non faccia altro che trasferire nel futuro i costi di una mancata riduzione attuale del consumo?

  9. luca

    Ho fatto la simulazione di una fiscalità a due sole aliquote Irpef, del 33 e 50%, di cui la seconda per redditi imponibili da 35.000€ in su. Il reddito imponibile lo calcolo come una azienda, sommando algebricamente al mio reddito lordo tutti i costi che sostengo nell’anno finanziario. Posso garantirvi che l’equità fiscale non è un miraggio. Il problema è che intacca gli interessi dei politici e lobby, oltre che distruggere in un colpo solo l’evasione fiscale. un pò troppo per questo paese!

  10. fabio

    L’analisi delle disuguaglianze deve essere approcciata sulla base di una visione pratica e meno accademica, più micro che macro. Motivazione: 1. l’impossibilità per il lavoro dipendente di avere un aumento rettributivo ragguagliato all’inflazione reale; 2. l’aumento abnorme dell’evasione fiscale da parte dei non dipendenti con conseguente aumento della pressione fiscale sui ceti che dà sempre hanno rappresentato i contribuenti veri e propri (operai e impiegati); 3. conseguenza indiretta dell’evasione fiscale: la redistruzione degli aiuti sociali non verso i veri bisognosi ma verso gli evasori fiscali. Finchè scriverete articoli così poco aderenti alla realtà o cmq inficiati da una visione di parte della realtà qualsiasi analisi economica e le quindi opportune soluzioni saranno un fallimento perchè partenti da presupposti fantastici.

  11. giuseppe faricella

    Tento una sintesi (sperando di non dire troppe fesserie): il nuovo ciclo di politica di finanza pubblica inaugurato nel 1992 e la liberalizzazione del mercato del lavoro avutasi con la riforma Treu (non mi sembra, onestamente, che la legge Biagi avesse i caratteri della "riforma") stanno erodendo reddito e, quindi, patrimonio delle classi lavoratrici dipendenti, le quali, di fatto, stanno ripagando il debito pubblico fatto dal cosiddetto "pentapartito" tra il ’75 e il 1992, con parte di quello che avevano accumulato durante il boom degli anni 50/60 e durante i periodi di finanza allegra degli stessi anni 80. La moneta unica e la conseguente tendenza alla omogeneizzazione dei prezzi sul continente fanno il resto (con una battuta: redditi italiani e prezzi tedeschi; d’altro canto, le merci si spostano molto più facilmente dei lavoratori). I lavoratori dipendenti, dal canto loro, guardano la pubblicità dei televisori al plasma e della crociera nel mediterraneo e rispondono indebitandosi, per il piacere di banche e di intermediari ex 106 e 107 TULB. E’ giusto?

  12. gianni

    Analisi certamente perfetta e condivisibile, manca solo il fatto che queste riforme del mercato del lavoro sono state appoggiate e difese dal vostro sito, in particolare dal prof.Boeri ed dal prof.Ichino i queli sbandieravano il tema della flessibilità del lavoro come la manna che avrebbe lanciato l’economia italiana nell’iperspazio della crescita continua e per tutti.

  13. Mirco

    Si dice che le famiglie tenono a mantenere un livello stabile nei consumi. Bene ma nell’artcolo non si è affrontato il trauma dell’introduzione dell’euro. Perchè di trauma si è trattato. Improvvisamente allo stesso modo con cui si innonda una risaia, il livello dei prezzi si è adeguato a quelli europei, soprattutto quei prezzi dei generi di largo e quotidiano consumo, mentre i salari e gli stipendi sono stati cambiati alla cifra di 1936,27. La decurtazione dei redditi è stata enorme in considerazione della speculazione che si è scatenata, e che non è stata contrastata. Poi con lentezza la gente si è adeguata al minor reddito, e ha finito i risparmi. Siccome in questi anni non vi sono state politiche di sostegno vere alle famiglie e ai giovani ( il tema della riforma degli ammortizzatori sociali insegna) il disagio è reale ed è quasi inutile stare li a fare delle statistiche che a volte risultano odiose e irritanti perchè nel leggerle ci fanno capire come a volte L’economia ( la scienza triste), consideri la gente dei numeri e non delle persone in carne ed ossa.

  14. andrea

    Egregi professori mi complimento per l’interessante articolo che dimostra una sostanziale tenuta dei livelli di vita nel nostro paese, ipotizzando un andamento solo temporaneo e provvisorio delle disuguaglianze di reddito e smentendo clamorosamente quanti parlano di pauperizzazione. Mi permetto però di criticare lo studio esclusivo della disuguaglianza dei redditi come indicatore, per due motivi, che possono pure contribuire a spiegare la tenuta dei consumi. 1) l’economia sommersa, che sfugge agli indicatori, ma sostiene i consumi 2) l’importanza di studiare le disuguaglianze non gia` dei redditi ma dei patrimoni. Sono questi la vera forza economica di una famiglia, più dei redditi. E il loro studio mostrerebbe probabilmente che l’Italia è molto meno sperequata di altri paesi europei, dato il suo altissimo tasso di proprietari immobiliari e di risparmio.

  15. Marco Solferini

    L’Italia ha un problema con la verità. Perché purtroppo non si vuole ammettere che le nostre città sono dei piccoli e medi feudi, colonizzati dalle caste, che anche trasversalmente impongono un controllo ed un autogestione allo sviluppo delle professionalità e delle carriere. Allora io chiedo agli Autori, che sono giustamente attenti alle dinamiche redditi-conumi-risparmi, perché oggi, nel 2008 e con una crisi così evidente, sfociata in recessione, la Pratica o Tirocinio, nelle libere professioni non è obbligatoriamente pagata e difesa dal punto di vista sindacale? Mi volete cortesemente spiegare, a me che sono il ré degli ignoranti, perché se corro il rischio di non esserlo vengo radiato dal sistema economico ed emarginato da quello cittadino, quanto costa ai commercianti, al mercato immobiliare, a quello bancario, assicurativo finanche al turistico, il fatto che migliaia di praticanti (ad esempio come aspiranti Avvocati) non vengono pagati niente di niente per anni e anni? Qual è il prezzo del PIL in una città di medie dimensioni come Bologna anche solo nel periodo di saldi? Se è vero che la crisi c’è, da decenni manca anche la difesa dei diritti dei più deboli.

  16. Enio Minervini

    Mi permetto, forse ingenuamente, di inserire una problematica che potrebbe modificare le conclusioni di un articolo peraltro interessante. E se invece, in una società familistica (nel bene e nel male) come è quella che abbiamo ereditato, la tenuta del tenore di vita a fronte di un calo dei redditi, fosse stata consentita da un minor risparmio complessivo, cioè da meno risorse da trasferire a fine carriera, ai figli, nipoti ecc? Mi spiego con un esempio: mio padre e mia madre hanno lavorato tutta la vita e lasciano a me una parte dei loro risparmi. Io, laureato e precario, dispongo di un reddito annuo inferiore al loro, forse ho un tenore di vita simile al loro, ma forse questo si trasferirà nella mia incapacità di risparmiare risorse da trasferire ai miei figli ed aiutarli nell’ingresso nella vita attiva. Peraltro la logica e l’effetto devastante del trasferimento del TFR ai fondi pensione (e di una copertura della previdenza pubblica in ribasso) sarà anche questa, anche se i sacerdoti della previdena integrativa non lo hanno detto.

  17. enrico villa

    Redditi decrescenti e consumi sostanzialmente invariati fino a ieri, ma da qualche mese in alcuni settori i cali sono sensibili. I figli delle generazioni degli anni 40-60 stanno consumando i risparmi accumulati dai genitori, che, pur ceti medi/medio bassi, hanno potuto comperare la casa e godere di un discreto tenore di vita, con anche qualche riserrva in BTP, CCT. Ora i figli non hanno queste prospettive e ovviamente prosciugano il patrimonio dei genitori, vale a dire che il loro tenore di vita è finanziato dai risparmi dei genitori. Ma tra qualche decina d’anni, se la tendenza non cambia, avremo due classi sociali: una formata da pochi ricchi imprenditori e manager ed una di lavoratori i cui salari/stipendi garantiscono la mera sussistenza, come all’inizio del ‘900. Saranno i nuovi ceti medi orientali a garantire i consumi, dunque profitti degli azionisti e stipendi dei manager. Una bomba sociale che solo accorte politiche economiche/sociali e forti rinunce ad eccessivi interessi di parte possono disinnescare. Ma ora non vedo i presupposti, purtroppo.

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