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FACCE DI PARAFFINA

Un’idea di come la cultura della concorrenza e il rispetto degli utenti sono incardinate nelle imprese pubbliche, non solo italiane, si può desumere indirettamente dai procedimenti antitrust nei quali sono state coinvolte. Illuminante il caso di Eni. Negli ultimi tre anni le Autorità italiana ed europea l’hanno condannata a pagare sanzioni per più di 840 milioni per abuso di posizione dominante e partecipazione a cartelli. Somme ricadute su consumatori e gli azionisti, mentre non c’è stata alcuna conseguenza per dirigenti e manager, che quelle condotte hanno attuato.

Quale è la cultura della concorrenza delle imprese di Stato, imprese che, seppur piegate alla logica dei profitti, dovrebbero forse più di altre tenere in considerazione l’interesse degli utenti? E come deve coniugarsi la proprietà pubblica con l’interesse degli azionisti privati alla massimizzazione dei profitti?
Difficile, e forse inutile, rispondere a queste domande partendo da un’analisi dei prezzi e della loro “equità”. Un’idea di come la cultura della concorrenza e il rispetto degli utenti sono incardinate nelle imprese pubbliche italiane, ma non solo, si può desumere, indirettamente, dai procedimenti antitrust nei quali sono state coinvolte negli ultimi anni. Illuminante è il caso del gruppo petrolifero Eni.

ENI E L’ANTITRUST

Eni è stata colpita nelle settimane scorse da un provvedimento della Commissione europea ai sensi dell’articolo 81 del Trattato, la norma che vieta le intese restrittive della concorrenza a livello comunitario. Il cartello riguardava le cere di paraffina ed è stato individuato grazie all’autodenuncia di Shell, che ha deciso di collaborare con l’antitrust comunitario in virtù del programma di clemenza previsto dall’ordinamento europeo, ottenendo l’immunità dall’ammenda. La Commissione europea ha invece applicato nei confronti di Eni una sanzione pari a 29 milioni di euro. La decisione non è stata ancora resa pubblica; il comunicato stampa, IP/08/1434, del primo ottobre 2008, si legge sulla banca dati comunitaria Rapid.
Non si tratta purtroppo di un episodio isolato. Vi è infatti una striscia di provvedimenti antitrust che, nell’ultimo triennio, ha preso di mira il gruppo petrolifero italiano, reo di avere posto in essere intese restrittive o abusi di posizione dominante.
Ora, i casi relativi agli abusi di posizione dominante sono spesso indicativi dell’intento anticompetitivo di una impresa. È anche vero, peraltro, che nella disciplina degli abusi di posizione dominante la linea che divide le condotte ammesse rispetto a quelle non ammesse, è molto sottile e, spesso, di difficile individuazione. Di conseguenza, la circostanza che Eni sia stata recentemente condannata dall’Autorità garante italiana a versare una sanzione di 290 milioni di euro, nella vicenda Eni Trans-Tunisia, può essere indicativa, ma non è certo decisiva nel valutare come un’impresa si accosti al problema della concorrenza. Certo, se si pensa che la condotta – secondo le accuse dell’Autorità garante – è stata scientemente attuata al fine di precludere l’entrata sul mercato del gas italiano a quattro operatori concorrenti, così contribuendo a mantenere il prezzo del gas particolarmente alto, gli indizi non depongono in favore di un elevato grado di adesione dell’impresa statale ai modelli di condotta che le leggi antitrust richiederebbero di tenere. (1) 

LA PARTECIPAZIONE A CARTELLI

Ma il vero disvalore si ha nel caso di partecipazione ai cartelli. Qui, infatti, non vi è una linea sottile tra condotte lecite o illecite, tra intento collusivo e intelligente adattamento alle condizioni di mercato. I cartelli determinano una significativa riduzione del benessere sociale e sono condannati, senza alcuna titubanza, in tutti gli ordinamenti in cui vige una legislazione antitrust. Né vi sono voci, tra gli economisti, che seriamente contestino gli effetti negativi determinati dalla collusione sui prezzi e le quantità.
Ebbene, circoscrivendo il discorso alle decisioni delle autorità antitrust comunitaria e nazionale, negli ultimi due anni Eni ha subito ben quattro condanne per avere partecipato, talvolta con il ruolo di istigatore, a cartelli.
In un caso, istruito dall’Autorità garante, Eni è stata condannata sulla scorta di una più o meno ragionevole messe di indizi e argomentazioni economiche. Si trattava di uno scambio di informazioni nell’ambito del mercato del jet fuel, il carburante per gli aerei; scambio di informazioni sui quantitativi venduti dalle società petrolifere nei principali aeroporti che avrebbe favorito, secondo l’Autorità garante, una ripartizione dei mercati da parte delle principali imprese petrolifere. (2)
Negli altri tre casi, tuttavia, il grado di certezza circa la colpevolezza di Eni è più evidente. Si tratta infatti di tre istruttorie concluse dalla Commissione europea a seguito del “pentimento” di una delle partecipanti al cartello, che ha di conseguenza prodotto tutte le prove e le “evidenze” necessarie al fine di condannare le altre imprese che ne facevano parte, tra cui anche Eni. (3)

Le sanzioni “subite” da Eni negli ultimi tre anni sono davvero elevate, superando gli 840 milioni di euro

È chiaro che è possibile proporre appello nei confronti delle decisioni delle Autorità antitrust e che Eni non mancherà di farlo, sostenendo le sue buone ragioni.
Sinora, è altrettanto chiaro chi ha veramente pagato a motivo delle condotte riscontrate dalle autorità antitrust: i consumatori e gli azionisti. Non risulta invece che alcuna conseguenza vi sia stata nei confronti dei dirigenti e dei manager che tali cartelli hanno organizzato e contribuito a perpetrare. I quali hanno peraltro sempre negato i fatti (secondo la Commissione, anche di fronte all’evidenza) e di fronte ai giornali, stranamente poco reattivi da questo punto di vista, si sono dichiarati certi della correttezza delle condotte dell’impresa.

(1) Agcm, Eni-TransTunisian Pipeline, in Boll. 5/2006.
(2) Agcm, 14-6-2006, Rifornimenti Aeroportuali, in Boll. 23/2006.
(3) Si vedano rispettivamente le decisioni della Commissione: 20 novembre 2006, Gomma di Butiadene (la richiesta di clemenza è stata presentata da Bayer, che ha così evitato la sanzione); 5 dicembre 2007, Gomma clorochene (anche in questo caso la richiesta di clemenza è stata formulata da Bayer), 1° ottobre 2008, Cera di Paraffina (clemenza richiesta dal gruppo Shell).

Giacomolapo

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IL TRATTATO CHE VISSE TRE VOLTE

  1. Federico Mazzoli

    http://findarticles.com/p/articles/mi_m0EIN/is_/ai_n24925253. Alla luce di quanto scrive, mi potrebbe spiegare come sia stato possibile nominare Paolo Scaroni "Petroleumm Executive of the Year"? Pensa che l’Herald Tribune abbia preso un grosso abbaglio perchè non a conoscenza di quanto lei scrive, oppure dobbiamo pensare che i criteri di assegnazione dell’ambito premio non siano molto condivisibili da tutti coloro che non appartengono al mondo dell’industria petrolifera ("Il Petroleum Executive premia ogni anno il top manager che si è maggiormente distinto, secondo la valutazione dei suoi omologhi, per il contributo all’intera industria petrolifera")? Colgo l’occasione per porgere gli auguri di buon natale a tutta la redazione de "lavoce.info" e i miei più sentiti ringraziamenti per il vostro preziosissimo servizio d’informazione.

  2. Andrea Colletti

    Insisterei anche sul fatto che una impresa "pubblica" sia gestita da personaggi abbastanza squallidi come Scaroni, già condannato per tangenti (1 anno e 4 mesi). Secondo Lei un persona condannata per tangenti come gestisce una impresa come l’Eni con i suoi mille interessi?

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