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CREDITO FAMILIARE: ISTRUZIONI PER L’USO *

A fine novembre il governo ha presentato due nuovi strumenti di sostegno ai redditi delle famiglie: la social card e un bonus una tantum di importo variabile. Considerando l’inconsistenza delle politiche anti-povertà delle due passate legislature, si spera che queste misure costituiscano il primo passo sperimentale di un percorso di riforma del welfare. Restano però provvedimenti che per l’esiguità dell’importo e per l imprecisione del disegno tecnico, rifletterono più il desiderio di cogliere un successo di immagine che l’intenzione di alleviare significativamente le condizioni dei poveri.

IL SOSTEGNO DEI REDDITI FAMILIARI PIÙ BASSI NEL PACCHETTO ANTI-CRISI

Il governo ha presentato nell’ultima settimana di novembre due nuovistrumenti di sostegno ai redditi delle famiglie:
–        una carta acquisti mensile per le famiglie in povertà estrema (social card) (1)
–        un assegno una tantum, di importo variabile fra i 200 e i mille euro, per le famiglie a basso reddito di lavoratori dipendenti e pensionati (bonus famiglie) (2)

Non è facile dare una valutazione sintetica delle due misure dal punto di vista delle politiche redistributive, soprattutto perché ilbonus, il più consistente dei due, ha un carattere ibrido. Presentato come misura anti-crisi temporanea e non ripetibile, potrebbe ciononostante costituire, per le sue caratteristiche, un esperimento suscettibile di ulteriori sviluppi, nell’ambito di un nuovo approccio alla politica della famiglia e alla riforma del Welfare. Considerando il lungo e accidentato percorso di introduzione del Minimo Vitale in Italia, e in particolare le inesistenti o inconsistenti iniziative anti-povertà delle due legislature precedenti, si tratta di un (piccolo) passo nella giusta direzione. Lasocial cardè, palesemente, una integrazione della carità privata per soggetti e famiglie a bassissimo reddito, non inutile in sé. Rispetto al bonus, è apprezzabile la ricorrenza mensile, non una tantum, dell’erogazione. La social card presenta tuttavia, sotto il profilo della scelta dei beneficiari, alcuni vistosi difetti: in primis, l’esclusione delle famiglie degli stranieri regolarmente registrati in anagrafe (il bonus, correttamente, è invece destinato a tutti i residenti).
Mentre molti osservatori criticano in questi giorni l’esiguità degli importi dei due benefici (totali e per le singole famiglie destinatarie), questo articolo entra nel merito del disegno dei due provvedimenti, avanzando nella parte finale un’ipotesi di lavoro (Credito Familiare) per una eventuale auspicabile estensione futura, su base ricorrente, del sostegno alle famiglie con redditi bassi(3).

SOCIAL CARD: PERCHÉ ESCLUDE GLI STRANIERI E I BAMBINI DI QUATTRO ANNI?

Per l’esiguità dell’importo (40 euro al mese) e la imprecisione del disegno tecnico, la social card sembra riflettere più il desiderio di cogliere un facile successo di immagine sul governo precedente che l’intenzione di alleviare significativamente le condizioni dei poveri. La social card ha infatti un importo triplo rispetto al ‘bonus incapienti’ del passato governo. Si tratta tuttavia soltanto di un euro e 33 centesimi al giorno contro i circa 42 centesimi del‘bonus incapienti’. Per le famiglie senza reddito, in tutti e due i casi si tratta di una cifra modesta rispetto ai bisogni minimi essenziali.
Nonostante questo, non è ovvio che si tratti di uno strumento inutile. Realisticamente, la sua vera efficacia andrà valutata, con un attento monitoraggio del suo impiego, soprattutto in relazione ai possibili rapporti di integrazione/sostituzione con la carità privata, che rischia di contrarsi durante i periodi di recessione. Sarà bene monitorare con attenzione anche possibili effetti di “spiazzamento”, anche se a priori non sembra molto probabile, dato l’importo minimo, che la social card abbia effetti di disincentivo sulla carità privata.
Un grosso difetto della social card è la platea di beneficiari moltoristrettae selezionata in modo arbitrario e categoriale. Le famiglie povere che non hanno in casa almeno un bambino con meno di tre anni non avranno nulla. Altrettanto ingiustificabile, sul piano etico, l’esclusione degli stranieri poveri anche se regolarmente iscritti all’anagrafe. Si tratta oltretutto di famiglie relativamente più esposte agli effetti della crisi. Infine, l’importo della social card tiene conto solo imperfettamente dei diversi bisogni delle famiglie, generando problemi di equitàverticale e orizzontale. Per esempio, a parità di reddito una famiglia con due gemelli di un anno di età avrà un importo doppio rispetto ad un’altra con un figlio di un anno e uno di quattro. La soglia di reddito, almeno, tiene correttamente conto della composizione del nucleo familiare, poiché è misurata in base al reddito equivalente ISEE (4).
Anche l’azzeramento “improvviso” al di sopra della soglia di reddito, oppure al venir meno dei requisiti, è un difetto vistoso: per le famiglie povere, il terzo compleanno del figlio più piccolo sarà un giorno da dimenticare. Lo stesso avviene se un adulto della famiglia ottiene un reddito temporaneo di scarso importo.

IL BONUS: ASSEGNO UNA TANTUM O PROVA GENERALE DEL MINIMO VITALE?

La selezione dei beneficiari del bonus è più razionale rispetto a quanto previsto dalla social card. Destinata a famiglie che possiedono esclusivamente redditi da lavoro dipendente e da pensione (compresi quelli ‘assimilati’ dei lavoratori autonomi parasubordinati), non discrimina l’accesso a discutibili criteri anagrafici, come l’età dei minori, e include, come si è detto, gli stranieri residenti. Tuttavia, il testo del decreto sembra escludere i single che non sono titolari di reddito da pensione. Se questa interpretazione è corretta, si tratta di una discriminazione di cui non sono chiare le motivazioni.

Gli importi del bonus variano fra le diverse tipologie familiari in modo grosso modo coerente con la linea di povertà ufficiale per il 2007, con una copertura leggermente inferiore al 3% per tutte le famiglie con meno di sei persone e del 4% circa per quelle di sei componenti (5). Lesoglie di reddito, tuttavia, utilizzano una scala di equivalenza arbitraria, diversa da quella dell’ISEE e abbastanza imprecisa: non vi è differenza nel passaggio da due a tre componenti e in quello da quattro a cinque. Così, da un lato il beneficio raggiunge anche persone “quasi povere”, leggermente al di sopra della linea di povertà, che vivono in famiglie con meno di quattro componenti (ed è un bene che sia così), dall’altro esclude incoerentemente una parte delle famiglie povere di cinque o più persone.
Nonostante queste imprecisioni e l’importo molto contenuto, con il bonus viene finalmente introdotto su scala nazionale, anche se per un solo mese, uno strumento specifico ed universale di sostegno alla povertà. In pratica, è un possibile prototipo del Minimo Vitale, che attualmente è in vigore soltanto in alcune realtà locali, con differenti criteri di selezione dei beneficiari e modulazione dei benefici condizionata dalle risorse finanziarie disponibili (6). Inoltre, l’impianto del bonus accoglie in linea di principio la necessità di alleggerire il carico fiscale per le famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati a basso reddito, iniziando a correggere una delle più evidenti anomalie del sistema tributario italiano. Per questi motivi, si tratta di una novità importante, che raccoglie i suggerimenti formulati dal dibattito nel corso degli ultimi anni.

IL COSTO DEL (MANCATO) SOSTEGNO ALLE FAMIGLIE

Naturalmente, l’estensione del bonus sull’intera durata dell’anno appare molto costosa, soprattutto a paragone delle somme irrisorie destinate al contrasto della povertà nelle due legislature precedenti (6). La spesa appare ancor più costosa, persino sconsiderata, alla luce delle note condizioni della finanza pubblica. Si tratta tuttavia di una prudenza finanziaria solo apparente, perché trascura i costi che la disuguaglianza e la povertà non contrastate provocano nel tempo, in termini di mancata crescita (7). La stabilità dei tassi di povertà relativa a fronte di un consistente aumento dell’occupazione, in associazione ad una crescita insufficiente dell’output, fanno sospettare che la distribuzione disarmonica del carico tributario e, soprattutto, il mancato sostegno dei redditi più bassi costituiscano da tempo un serio ostacolo alla crescita dell’economia italiana. Anche per quanto riguarda il necessario riassetto del welfare (auspicato dal dibattito e mai compiutamente realizzato), è chiara la convenienza di progettare per il futuro una trasformazione del bonus e della social card (correggendone i difetti) in uno strumento permanente e regolare di sostegno dei poveri e di redistribuzione del reddito. Oltretutto, si tratterebbe per molti versi di un’applicazione, limitata ai redditi bassi e medio-bassi, del principio della tassazione familiare dei redditi.
Un disegno flessibile del Minimo Vitale, d’altra parte, consentirebbe una sua implementazione graduale e progressiva, rendendo sufficientemente governabile il processo di transizione a regime. Anlalizziamo alcuni aspetti matematici del Minimo Vitale, per illustrarne sia le caratteristiche desiderabili, sia l’estrema flessibilità.

UN’IPOTESI DI CREDITO FAMILIARE

Una possibile implementazione del Minimo Vitale è l’attribuzione alle famiglie di un credito d’imposta rimborsabile, cioè di un’imposta negativa sui redditi familiari. Nella formula seguente il beneficio è calcolato come differenza fra una soglia di reddito prestabilito M ed il reddito familiare Y, tutt’e due “modulati” dai parametri a,k eb:

Credito Familiare = akM – bY

Il policymaker sceglie la soglia M,che indica l’importo massimo del beneficio per una famiglia di un solo componente. Tale importo sarà differenziato per famiglie di diversa numerosità e composizione in base ad una scala di equivalenza (nella formula: il valore del parametrok). Il parametro a, generalmente pari a uno, può essere aumentato per famiglie in particolari gravi condizioni di disagio, delle quali non si riesce a tener conto nelle scale di equivalenza (per esempio, persone disabili). Il parametro b, inferiore ad uno, viene scelto in modo da graduare la riduzione del beneficio all’aumentare del reddito, attenuando gli effetti di disincentivo al lavoro.
Per fare un esempio concreto, utilizzando la scala di equivalenza OECD modificata (1 per il primo adulto, 0.5 per ogni altro adulto, 0.3 per ogni minore di 14 anni) il policymaker potrebbe scegliere i seguenti parametri: M=6,000; a=1; b=0.6. Con questa configurazione, per un single si avrà il seguente schema di benefici:

Mentre, per una famiglia di due adulti con un figlio minore, si avrà:

Per ulteriori esempi, si può utilizzare il foglio di Microsoft Excel allegato.

(*) L’articolo riflette opinioni personali e non coinvolge la responsabilità dell’Istat

 

(1) Per i dettagli, vedere le pagine dedicate alla social card sul sito del Ministero dell’Economia (il presente articolo si basa su informazioni presenti sul sito il 28 novembre 2008) e l’articolo 81 del decreto legge 25 giugno 2008.
(2) Il bonus famiglie è descritto nell’articolo 1 del decreto legge 28 novembre 2008.
(3) Sugli effetti redistributivi e di bilancio dei due provvedimenti cfr. su lavoce.info i contributi di Boeri, Baldini e Pellegrino e Monti.
(4) Cfr. la pagina web dell’INPS dedicata al calcolo dell’ISEE.
(5) Per la linea di povertà 2007 cfr. Istat (2008), pag. 10.
(6) Per una rassegna, seppure non molto aggiornata, delle misure di natura assistenziali applicate in Italia si rimanda a  S. Spirito 2003, Collana Documenti Istat, n.3, anno 2003, Roma.
(7) Sulla rimozione di fatto della povertà dall’agenda politica, cfr. Saraceno (2007)
(8) Gli effetti positivi dell’eguaglianza in termini di crescita economica sono ormai ben noti agli studiosi, cfr. Eicher, T. S and S. J. Turnovsky (eds. 2003), “Inequality and Growth”, MIT Press, Boston (in particolare il contributo di Bourguignon, F., “The Growth Elasticity of Poverty Reduction: Explaining Heterogeneity across Countries and Time Periods”).

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COMMENTO A “UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI”

13 commenti

  1. rita

    Concordo pienamente sul fatto che nessun governo dovrebbe esimersi dal sostenere chi vive alla soglia di povertà, sulle modalità tecniche migliori credo si possa discutere all’infinito, perchè non ne troveremo mai una esente da pecche; credo invece che sarebbe importante il passaggio dal bonus una tantum a misure permanenti, anche perchè la povertà nel nostro Paese non nasce con la crisi.Per me però è fondamentale controllare bene la platea dei beneficiari perchè in quelle fasce di reddito "apparente" c’è tanto lavoro nero, quindi ci sono famiglie che hanno molto di più di quanto risulta, basta pensare a tutto il mondo delle colf. Se diamo solo a chi è davvero alla soglia di povertà, allora il minimo vitale è più vicino.

  2. Gianmarco Bruno

    Per lavoro viaggio in altri paesi Europei e parlo con colleghi di altre nazioni. Ho avuto conferma di cosa è il kindergeld. Allego la descrizione tratta qui "The family tax credit is paid to all children up to age eighteen. There is no age-limit for handicapped children who are unable to earn their living. Children over the age of 18 with an income of their own exceeding EUR 7188 per year are generally not eligible for family allowance. Family tax credit (non wastable) is not income-related and is awarded in the form of a monthly payment. It is staggered by the number of the children. The rates applying since 1 January 2002 are EUR 154/month for the first, second and third child, and EUR 179/month for the fourth and subsequent children." Chiedo gentilmente ai giornalisti della voce.info di cui sono assiduo e grato lettore quanto potrebbe costare questa misura in Italia, se la ritengono sostenibile economicamente e se la ritengono opportuna in questo momento di (sbandierato) intervento di contrasto alla crisi in atto.

  3. GIANLUCA COCCO

    Social card e bonus rappresentano delle elemosine che non conferiscono alcuna dignità a chi arranca a causa della maldistribuzione della ricchezza voluta dai governi succedutisi. La proposta del credito di imposta è senz’altro maggiormente distributiva. Tuttavia, è anch’essa insufficiente per creare le condizioni per ridistribuire in modo incisivo la ricchezza. Solo misure strutturali a livello fiscale potrebbero rilanciare consumi e invistimenti. Bisogna in primo luogo rinunciare a due scelte prettamente politiche: lavoro irregolare ed evasione fiscale. Inoltre, bisognerebbe abolire tendenzialmene l’imposizione indiretta e rendere progressiva quella diretta. Infine bisogna intervenire sulle due voci che maggiormente incidono sul reddito disponibile: casa e trasporto privato. Il mercato della casa andrebbe fortemente regolamentato e i prezzi calmierati. Il trasporto privato andrebbe soppiantato da quello pubblico e il mercato delle assicurazioni andrebbe controllato, evitando le attuali speculazioni e i meccanismi distorti di determinazione del premio. Infine, bisogna evitare che servizi essenziali, quali sanità e scuola, incidano su redditi tutt’altro che dignitosi.

  4. Piero

    La cosa più mortificante del bonus una tantum è che si debbe presentare una domanda (con code e perdite di tempo), quando l’anagrafe tributaria, assieme alle anagrafi comunali, ha tutti gli strumenti per selezionare gli aventi diritto, almeno per i redditi del 2008 (salvo variazioni della composizione familiare dell’ultimo momento). Ancora più incomprensibile è l’utilizzo delle sole riserve finanaziarie del sostituto d’imposta legate alle trattenute fiscali: se non bastano, potranno essere soddisfatte solo le richieste dei primi arrivati.

  5. Giuliano Delfiol

    Concordo con l’autore sul fatto che la social card sia anzitutto un’operazione di immagine. Ma anche sotto questo profilo essa appare criticabile e a mio avviso abbastanza di cattivo gusto. L’importo complessivo erogato ad uno dei non molti aventi diritto (sarei curioso di sapere quante sono le carte effettivamente utilizzate) è talmente modesto e caritativo che veramente ci si chiede se non si poteva trovare un veicolo magari meno appariscente ma più rapido ed efficiente. La card ricorda tantissimo (io ho l’età per farlo) la triste "tessera di povertà" del dopoguerra, e in questo senso è uno strumento umiliante. Ugualmente umiliante e vessatoria appare la complessa procedura per il suo ottenimento, con sanzioni spropositate per chi commette errori, magari in buona fede. Per non dire che chi trovandosi in estrema difficoltà è abilitato ad ottenerla si troverà probabilmente in imbarazzo con uno strumento inusuale (il denaro elettronico è relativamente poco diffuso, in Italia, anche nelle fasce di popolazione non allo stremo). E infine, last but not least, il buon affare che si è procurato al circuito emittente la carta. Una mossa di immagine, ma un’immagine di cattivo gusto.

  6. FELICE MACERI

    L’autore di questo articolo dimentica che il governo Prodi ha instituito la quattordicesima mensilità per i pensionati e il bonus una tantum per le famiglie a basso reddito (Bonus incapienti) molto più perequativi che i provvedimenti (d’immagine) di questo governo.

  7. Germana Bottone

    Pur apprezzando la chiarezza a l’accuratezza dell’esposizione, vorrei invitare gli autori a riflettere su alcune questioni teoriche, rilevanti anche ai fini del policy making. A lungo si è dibattuto in Italia su ipotesi di riforma del Welfare. Il dibattito si è incentrato in particolare sulla validità degli strumenti (reddito di cittadinanza, imposta negativa….), spesso messi a confronto tra loro, rispetto all’obiettivo della riduzione del "disagio". In molti casi, gli strumenti sono stati mutuati dall’esperienza di altri paesi, in particolare Francia ed Inghilterra. Nonostante l’ampiezza del dibattito, la riforma del Welfare in Italia non ha mai avuto luogo, e sarebbe il caso di interrogarsi sui motivi di questo fallimento. In realtà, non esistono strumenti di intervento più validi di altri, ma ciascun strumento è valido a seconda del contesto istituzionale in cui viene applicato. La riflessione è provocata dall’aver, in passato, analizzato i problemi legati alla riduzione della povertà, e nel presente, dall’approfondimento di un approccio – l’economia istituzionale – fuori dal mainstream ma, a mio parere, ricco di spunti interessanti.In realtà, l’applicazione di una qualunque tipologia di "minimo vitale" nel nostro paese è ostacolata, anche laddove ci fosse un policy maker illuminato, da due fattori fondamentali: l’elevato tasso di corruzione e di evasione fiscale. E’ possibile che, e si dovrebbe indagare empiricamente, modificando il contesto istituzionale si modifichi anche la distribuzione della ricchezza. Le istituzioni sono il punto di partenza di qualunque riflessione economica (Si vedano Commons, Veblen, Hodgson). A questo proposito, invito gli autori a dare anche un’occhiata, a quanto sia basso il livello della qualità istituzionale in Italia in Kaufmann et al. (2006). In un tale contesto, le riforme risultano automaticamente fallimentari.

  8. Patrizio Di Nicola

    Un ulteriore elemento che fa pensare che la Social Card sia solo una trovata di marketing. Grazie a "Mi manda Rai tre" scopriamo che su 500 mila social card spedite (ma non dovevano interessare 1,3 milioni di cittadini?) ve ne sono circa un terzo (150 mila) che sono scariche. Secondo Ministero e INPS ciò avviene in quanto le card sono spedite PRIMA di verificare se il richiedente ne aveva o meno diritto). Non capisco allora il senso dell’operazione: – emettere le carte (che sono delle Mastercard prepagate di Poste Italiane) ha un costo: la plastica, il servizio bancario, la distribuzione, il recapito del PIN, ecc. Noi sappiamo che una carta prepagata a un utente normale costa 5 euro (se la ritiriamo alle Poste di persone). Quanto sara’ costato emettere le 500 mila Social Card? E non è uno spreco recapitarle anche a chi non ne ha diritto? – Perche’ si sono costretti migliaia di anziani ad andare alle Poste a chiedere una carta di credito? La sapranno usare? Non era meglio accreditare 40 euro al mese come aumento del trattamento pensionistico?

  9. Armando Pasquali

    Le strategie e le politiche dell’attuale governo sono decise dagli spin doctor (non è una novità; Blair governava allo stesso modo). E’ quindi normale che la questione della povertà venga affrontata con gli stessi stumenti che i supermercati usano per fidelizzare la clientela. L’idea è che quando il povero tira fuori la Social Card pensa "sì, non è granché, ma gli altri non hanno fatto neanche questo". Un 8 dunque al governo e un 4 alla sinistra, che in tutti questi anni ha voltato la testa dall’altra parte, negando che esista un problema di incremento delle disuguaglianze e di sensibili spostamenti di remunerazione dal lavoro al capitale, in questo aitutati dalla stragrande maggioranza degli economisti. Si può dire che l’attuale incremento della disuguaglianza e della povertà è la conseguenza delle politiche neoliberali che l’Italia, pur avendo perseguito solo in parte, ha subito nel mutato quadro internazionale? Non si può dire? Allora teniamoci per i prossimi vent’anni un Governo il cui unico compito è gestire la scaletta dei telegiornali e la prima pagina dei quotidiani. Ma senza più lamentarci.

  10. Daniele Alessandrini

    Non riesco a capire fino in fondo. L’Inghilterra della crisi di fine anni ’90 puntò fortemente sull’aumento dei salari convinta, ed a ragione, che l’innalzamento della domanda interna fosse l’unico stabile volano utile a contrastare le periodiche crisi di mercato provenienti da fatti esterni speculativi e non. Indubbiamente in Italia si può far plauso a chi, di fronte al nulla precedente, ha mosso un primo piccolo passo (come si suol dire "in mezzo ai ciechi anche un guercio diviene faro illuminante"). Ma stiamo parlando di coloro che per vocazione devono individuare le migliori soluzioni possibili, anche rischiando. Far ripartire la domanda interna influenzando marginalmente il costo del lavoro vuol dire mettere mano forte alla redistribuzione del reddito utilizzando la leva fiscale attraverso un diverso modo di costruire la progressione impositiva (uso del quoziente familiare in luogo del reddito lordo procapite). A ciò si deve necessariamente accompagnare la caduta del fisiologico d’evasione ed elusione ora attestato fra il 22% ed il 25%. Caduta che si può realizzare solo con la semplificazione e la stabilità tributaria (sistema di regole largamente condiviso sul piano etico).

  11. Finno Guerriero

    Buon giorno, fino ad oggi, a quanto affermano i vari mezzi d’informazione, la social card, accontenta un’esigua parte dei soggetti a reddito basso, la quale è stimata in circa 500.000 persone, su un totale approssimato di 2.500.000. La ragione di questa situazione, se ho ben capito, è dovuta al rispetto dei vari parametri(reddito, abitazione ecc.) e quindi, se uno rientra nel reddito, ma purtroppo non rientra nel parametro ISE o viceversa, la social card risulta non accreditata. La mia domanda è questa: allo stato quanto viene a costare tutto questo impiego di forze? In altre parole mi riferisco ai patronati che sicuramente ricevono dallo stato dei soldi per formalizzare le domande, ai dipendenti I.N.P.S che devono svolgere le mansioni di controllo, ai dipendenti delle poste che devono inserire i 40 € nel conto dei beneficiari e per finire aggiungo il costo delle carte e delle spese di spedizione. Forse non era meglio dare automaticamente i 40€ mensili a tutti i 2.500.000 soggetti con reddito basso? Almeno avrebbe accontentato tutti, evitando di far fare le file nei vari uffici per poi rivelare la propria condizione di povertà. Concludendo, io credo che anche questa volta sia fumo negli occhi, ma, di fatto, lo Stato finirà per spendere di più. Saluti FG

  12. Alex BOVI

    Questo o quel Governo dovrebbero essere ispirati alla logica del Buon Padre di famiglia per espletare l’incarico loro "concesso". Se un padre sà di guadagnare 100 e più; se è a conoscenza che parte dei propri figli guadagna in Nero e rimane evasore totale o parziale; se le "zone d’ombra" nell’Economia e Finanza reale sono tollerate; se gli sprechi e gli sciupi di danaro pubblico sono noti e più o meno accettati per rassegnazione dai più; se infine, si è accettato il fatto che le Famiglie tradizionali, tutte, perdono in potere d’acquisto e in "salute" e che i bambini sono un peso e non più una risorsa per le famiglie stesse, significa che tale logica è vittima sacrificale dell’interesse di lobbies, potenti e politici privilegiati. Così, è solo questione di tempo il verificarsi della devastante deriva sociale. Il Quoziente Famiglia potrebbe riportare un pò di Equità sociale e forse incentivare la rinascita della Famiglia quale Unità minima della Società italiana, non certo le tre o quattro misure di carità di facciata, inconsistenti rispetto i reali bisogni delle famiglie di oggi.

  13. daniela

    Non è giusto. Hanno diritto ai bonus e alle social card solo quelli che lavorano e chi prende la pensione e quelli che non lavorano e hanno dei figli che hanno davvero bisogno non anno diritto a niente. Dovrebbero dare aiuto a chi non lavora e a chi se la passa male non a chi ha una busta paga o prende la pensione.

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