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AGLI ITALIANI COSTA ANCHE LA DISINFLAZIONE *

L’attuale fase di rallentamento dei prezzi potrebbe portare paradossalmente alcune conseguenze negative per le imprese italiane, aggravando gli effetti di una delle peggiori crisi del dopoguerra. I prezzi italiani, infatti, tendono a crescere meno di quelli europei solo quando l’inflazione accelera. Appena le tensioni rientrano, i nostri prezzi scendono meno della media, compromettendo la competitività del paese. Il settore più critico è quello dei servizi, dove ormai è indispensabile smantellare posizioni di rendita ed inefficienze.

 

 

Mentre in Europa l’’inflazione scende rapidamente grazie al crollo del greggio e la crisi dei consumi, in Italia il rallentamento dei prezzi è relativamente più modesto. In meno di un anno, il nostro paese è così passato da un tasso di inflazione inferiore rispetto alla media europea a uno superiore di quasi mezzo punto percentuale. L’inversione di tendenza potrebbe rivelarsi molto pericolosa per la competitività italiana, proprio in un momento in cui il contributo della domanda estera sarebbe prezioso.

SERVIZI, IL PUNTO DEBOLE

Gli ultimi dati non fanno che confermare una delle tante peculiarità del sistema Italia: quando i prezzi crescono molto, generalmente sotto la spinta di qualche shock esogeno, la nostra inflazione riesce a mantenere il passo di quella europea, ma appena le tensioni rientrano, i nostri prezzi tornano a crescere più della media. Se si guarda al differenziale di inflazione tra l’’Italia e la zona euro, si osserva un restringimento sistematico nelle fasi di forti rincari e un successivo allargamento in quelle di riassorbimento delle tensioni (vedi figura 1). In media, dal 1996 a oggi, ogni riduzione di un punto percentuale dell’inflazione europea ha fatto aumentare il differenziale italiano di circa 3 decimi di punto (vedi tabella 1). È possibile stimare che l’’attuale differenziale di mezzo punto percentuale potrebbe essere azzerato solo se l’’inflazione europea superasse nuovamente il 3 per cento l’’anno, un ritmo chiaramente incompatibile con gli obiettivi di stabilità monetaria perseguiti tenacemente dalla Bce.
Non tutti i prodotti seguono questa tendenza. Ad esempio, i prezzi dei beni industriali italiani (esclusi i prodotti raffinati) crescono sostanzialmente in linea con quelli europei sia nelle fasi di accelerazione, quando perdono meno di un decimo per ogni punto di inflazione europea, sia in quelle di decelerazione, quando guadagnano appena 4 decimi a punto. Molto diverso è il caso dei servizi (vedi figura 2): quando i prezzi accelerano, anche quelli dei servizi italiani vanno più piano di quelli europei, mediamente di 2 decimi per ogni punto di inflazione in più, ma poi recuperano rapidamente quando in Europa i rincari si esauriscono, guadagnando 4 decimi per ogni punto in meno di inflazione europea. Dopo un ciclo di rincari, i consumatori italiani si trovano così a pagare per i servizi lo 0,2 per cento in più per ogni punto di aumento iniziale dell’’inflazione. Alla fine dell’’ultimo shock petrolifero, che ha portato la crescita dei prezzi dal 2 al 4 per cento circa, il conto per le famiglie potrebbe dunque sfiorare gli 1,7 miliardi di euro l’anno, che corrispondono a quasi 70 euro a famiglia, ovvero a un paio di mesi di ricarica di una social card.
La scarsa produttività dei servizi italiani non è sufficiente a spiegare, da sola, simili asimmetrie. Infatti l’’accumulo di un differenziale di prezzo così ampio è possibile solo grazie allo scudo offerto da un mercato scarsamente concorrenziale, con forti barriere all’’entrata di nuovi operatori e con margini di profitto che garantiscono comunque la sopravvivenza anche delle imprese meno efficienti. Le politiche anticicliche, pur avendo il compito di sostenere l’’intera ’economia, non dovrebbero assecondare queste tendenze, ma, da questo punto di vista, i recenti provvedimenti del governo sono piuttosto contraddittori. Da un lato, la “rottamazione” delle imprese commerciali e turistiche meno efficienti, prevista dal decreto anticrisi, sembra un primo passo nella direzione di una “pulizia” del mercato. Vanno nella stessa direzione anche il price cap asimmetrico, ovvero applicabile solo sugli aumenti, sulle tariffe pubbliche e i vincoli all’’attività delle aziende municipalizzate, regionali, e così via, i limiti alla commissione di massimo scoperto e la riduzione dei compensi per le società di riscossione. Tuttavia, i crediti d’imposta su assunzioni e investimenti restano sostanzialmente a pioggia, senza alcun discrimine tra settori e imprese più o meno efficienti e concorrenziali, e aumentano gli aiuti a un settore sostanzialmente monopolistico come le ferrovie. Soprattutto, non si parla più delle politiche di liberalizzazione, timidamente intraprese negli anni scorsi. Anzi, il salvataggio dell’’Alitalia rischia di assestare un altro duro colpo all’’assetto competitivo del trasporto aereo in Italia, come ricordato anche di recente da Andrea Boitani. In queste condizioni, è probabile che i ritardi nell’’adeguamento dei prezzi italiani ai ritmi europei restino strutturali e che consumatori e imprese efficienti continuino a essere paradossalmente penalizzati da un rallentamento dell’’inflazione.

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Fig. 1 – L’’andamento dell’’inflazione in Italia e in Europa

Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Tab. 1 – Variazione del differenziale italiano per ogni punto in più di inflazione europea (*)

Settori 1997-2008 Fasi di accelerazione Fasi di rallentamento
In complesso -0,312 -0,283 -0,311
Beni industriali (non energetici) -0,057 -0,084 -0,035
Servizi -0,325 -0,196 -0,429

(*) Stime OLS del parametro b nel modello: (differenziale italiano) = a + b (inflazione europea)

Fig. 2 – L’’andamento dei prezzi dei servizi in Italia e in Europa

Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

 

* Le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente quelle dell’’autore e non impegnano in alcun modo l’’istituto di appartenenza.

 

Foto: Credit © European Communities, 2009

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NOTE TECNICHE SULL’ACCORDO INTERCONFEDERALE DEL 22 GENNAIO

  1. Gianni Dugheri

    I dati parlano chiaro, a saperli leggere. Questo articolo non può che riconfermare le inefficienze italiane.

  2. ciro daniele

    Secondo questo articolo, l’economia italiana sarebbe come quei vecchi e fumosi furgoni diesel che arrancavano in salita e volavano in discesa (probabilmnete con i freni in condizioni precarie). Se questo è il problema, l’unica soluzione è quella di imporre alle imprese standard di qualità (tecnologica, finanziaria, ecc.) analoghi a quelli Euro 4 e 5, adottati per le auto, che hanno liberato le strade dai mezzi più inquinanti. Da questo punto di vista, i vincoli imposti da Basilea 2 alle aziende che aspirano ad accedere al credito bancario sono un’ottima invenzione.

  3. Luigi

    L’ISTAT ha fornito i dati sull’inflazione; tra le varie notizie: brusca frenata dei prezzi dei carburanti, rallentano pane e pasta, rallentamento per latte, formaggi e uova, in calo i prezzi dei medicinali e degli apparecchi per il trattamento dell’informazione, frena il comparto energia ecc. La lettura dei dati invita a delle riflessioni. Siamo, per opinione di tutti gli addetti ai lavori, immersi in una fase di robusta crisi economica e finanziaria che investe tutto il nostro pianeta. Ma la crisi non ha riflessi negativi per tutti i cittadini; certamente non sono contenti coloro che nel passato hanno investito in Borsa, non lo sono coloro che hanno perso il posto di lavoro e coloro che temono di perderlo, non lo sono coloro che, a causa della contrazione dei consumi, vedono ridursi i loro volumi di produzione o di vendita, non lo sono gli artigiani, ecc.. Vi sono però dei cittadini nei confronti dei quali i riflessi della crisi sono, per lo meno nel breve e medio termine, indubbiamente positivi. Mi riferisco a coloro che hanno il posto di lavoro “sicuro” e ai pensionati che continuano a percepire la loro retribuzione e la loro pensione senza alcuna decurtazione.

  4. Luca Guerra

    Si punta l’indice solo verso il settore privato, ma perchè non dire quanto ci costa e quanto incide il settore pubblico? le inefficienze e deficienze dello stesso incidono in maniera sensibile sulla ns economia, ma perchè non parlarne? esistono di fatto gli intoccabili, ovvero i dipendenti pubblici e la loro (dis) organizzazione. la competizione nei servizi esiste eccome, (con la sola esclusione di alcune categorie protette, quali notai, farmacisti, tassisti), la cui incidenza sul totale non credo sia così rilevante. Occorre partire dal pubblico impiego che deve mettersi al servizio del paese e non viceversa e su questo punto lavorare.

  5. Davide Arsego

    Appare chiaro che qualcosa in Italia da parecchio non va e poi ci lamentiamo. Dai dati della Bce disponibili a questo indirizzo http://www.ecb.int/stats/prices/hicp/html/inflation.en.html appare subito la verità sull’inflazione Italica: è generata solamente dai monopoli, sia pubblici che privati. Come si può giustificare (dati dicembre 08) un differenziale di quasi 1 punto percentuale per il "food and beverages" e più di 2,5 nel settore "housing, eletricity and gas" rispetto alla media UE e per di più in piena recessione? La risposta già si sa, ma guarda te che poi non si vanno mai a colpire quei settori. Forse Enel è dello Stato?

  6. enricodesimone@fastwebnet.it

    Più ricchezza patrimoniale, più valore dei beni in termini monetari (consolidato storico economico ), diversamente dalla inflazione che è rincorsa dei prezzi sul breve, spoliatrice per acquisizione ed accrescitiva per consolidato. Ricchezza parametrata col lavoro = stabilità prezzi ed equilibrio tra produzione e consumi primari e di scala

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