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AFFITTI D’ORO. PER LEGGE

Sunia, Confindustria e ora anche il governo invocano un ritorno all’edilizia residenziale pubblica per far fronte a canoni di locazione sempre più alti nelle grandi città. Ma sono tante anche le case sfitte. Perché i proprietari non le mettono sul mercato, pur con affitti così elevati? Forse la risposta si trova nel sistema dei diritti che regolano i rapporti di locazione. Fornisce alle parti incentivi perversi, con un impatto negativo sui prezzi e più in generale sull’offerta di abitazioni.

 

Il Sunia, sindacato degli inquilini, e la Cgil hanno recentemente pubblicato un interessante monitoraggio del mercato degli affitti in Italia. Ne emerge un aumento considerevole dei canoni di locazione anche nell’ultimo anno di crisi: dal 1999 (pre-euro) al 2008 l’incremento medio è stato pari al 145 per cento nelle grandi città, come Milano, a Roma del 135 per cento circa.
Lo studio mette in luce anche il sorprendente, e in apparenza illogico, numero di case "ufficialmente" sfitte, ovvero ufficialmente non abitate in modo stabile da nessuno: è il 14 per cento delle abitazioni romane e il 5 per cento di quelle meneghine. (1)
Come è possibile che prezzi così alti inducano il Sunia, la Confindustria e recentissimamente anche il governo, a invocare un ritorno all’edilizia residenziale pubblica, ma non invoglino i proprietari di case sfitte a metterle sul mercato?
Forse la risposta si trova nel sistema dei diritti che regolano i rapporti di locazione, il quale fornisce alle parti incentivi perversi, con un impatto negativo sull’aumento dei canoni e più in generale sull’offerta di abitazioni. Entriamo nel dettaglio.

L’OFFERTA

L’offerta in Italia è ancora costituita, per la maggior parte, da piccoli proprietari che affrontano interamente gli elevati costi di transazione di un rapporto di locazione di lungo periodo, senza alcuna economia di scala. Ex ante, sanno alcune cose.

– Prima di scegliere l’inquilino, i proprietari hanno larga parte del potere contrattuale, anche sulla "imposizione" del canone di locazione, data la scarsità di offerta. Ma, una volta instaurato il rapporto locativo, il loro potere svanisce.
– L’inquilino ha il diritto di rimanere nell’immobile un periodo che è, nella generalità dei casi, di ben otto anni, a un tasso di incremento del canone per legge inferiore di un terzo  al tasso di inflazione annuale Istat. I proprietari dunque non hanno nessun diritto "di ripensamento" per un periodo sostanziale.
– Se poi l’inquilino si rivela non adempiente, ed è razionale per un inquilino assumere comportamenti strategici, vuoi nella cura dell’immobile, vuoi nel pagamento parziale o integrale del canone o delle spese, per il proprietario assennato la via giudiziaria non è una opzione percorribile. I proprietari rimangono impantanati nelle pastoie giudiziarie per un minimo di due-tre anni nei casi di morosità più eclatanti. E una volta ottenuto lo sfratto per morosità, nei comuni ad alta tensione abitativa, riuscire a convincere l’ufficiale giudiziario ed eventualmente la pubblica sicurezza a eseguire l’ordine di sfratto equivale a percorrere un terreno accidentato: il tempo necessario è mediamente di altri due-tre anni. Se poi l’inquilino è "organizzato" e al momento dello sfratto si fa trovare con il "comitato" in casa a protestare, lo sfratto diventa un "problema di ordine pubblico" ed è rimandato a data, e disponibilità delle forze dell’ordine, incerta. È quindi prassi dei proprietari razionali pagare l’inquilino moroso per riottenere la disponibilità dell’alloggio.
– Se l’inquilino ha subito una invalidità, disoccupazione o è divenuto anziano durante la vigenza del rapporto locativo o di occupazione dell’unità abitativa, i tempi con i quali il proprietario riottiene il possesso dell’immobile sembrano essere (ma mancano statistiche sul punto) di un decennio e oltre, per cui è il singolo proprietario dell’immobile che sovvenziona il disagio sociale del suo inquilino.
– Se invece l’inquilino non è moroso, ma alla scadenza del contratto non rilascia l’immobile, i tempi di riconsegna della casa al proprietario per via giudiziaria arrivano a raddoppiarsi, fino a una media di sei-sette anni. Il canone invece rimane quello fissato nell’originario contratto di locazione, con andamento decrescente in termini reali.
– L’unica certezza che la via giudiziale offre ai proprietari è il compenso che richiede l’avvocato patrocinante, che viene pagato ad atti e non a risultato conseguito, per cui più dura il suo impegno, più è alto il suo compenso.
– Il canone di locazione si somma al reddito globale ai fini Irpef. Dati gli affitti medi rilevati dall’indagine del Sunia nei comuni ad alta tensione abitativa, è presumibile che i proprietari che siano anche titolari di altri redditi di lavoro o pensione, ossia il caso più comune, versino nelle casse dell’erario dal 35 al 39 per cento (più addizionale Irpef regionale) del canone annuo, oltre alla tassa di registrazione annuale e all’Ici.

È ragionevole dunque presumere che la maggior parte dei piccoli proprietari abbia incentivo, a seconda della loro avversione al rischio, 1) a non locare gli immobili liberi, soprattutto se ritengono che possano nuovamente essere utilizzati per scopi propri in un tempo inferiore alla durata minima, legale o effettiva, di un contratto di locazione. 2) Selezionare in modo accurato gli inquilini nel ristretto ambito delle conoscenze, escludendo a priori un’ampia porzione della domanda, soprattutto lavoratori non distanti dalla pensione o immigrati. Così facendo possono anche avere incentivi a evadere il fisco e ad abbassare il canone di locazione in misura correlata all’imposta non pagata. 3) Utilizzare in modo improprio contratti di affitto a uso transitorio o per studenti, non adeguati alle esigenze della generalità della domanda. 4) Caricare le incertezze e le inefficienze del sistema della giustizia sul prezzo di affitto nel momento iniziale del rapporto, quando ancora detengono un potere di contrattazione, causandone un aumento elevatissimo, ma adeguato alle incertezze evidenziate.

LA DOMANDA

L’inquilino, come denuncia il Sunia, si trova, da una parte di fronte a un mercato con offerta ridotta, prezzi che assorbono larga parte del suo reddito, proprietari con nessun incentivo a manutenere con adeguata cura gli immobili locati. Dall’altra, l’inquilino è cosciente che una volta entrato in possesso dell’immobile si può permettere comportamenti strategici e di ritorsione, il proprietario è vincolato dal contratto e l’affitto scende in termini reali all’aumentare della durata del rapporto. Il costo che l’inquilino deve sopportare per il contenzioso giudiziale è poi minimo, dato che i sindacati offrono assistenza giudiziale a tariffe calmierate, senza contare che più dura il contenzioso, più il locatario rimane in possesso dell’immobile. Anche il sindacato degli inquilini, invero, trae fonte e legittimazione dal numero dei soggetti iscritti o tutelati, e quindi dei contenziosi. 
Il sistema dei diritti quindi sembra fornire incentivi a ridurre e irrigidire la potenziale offerta di immobili esistenti concessi in locazione, ad aumentare sia il canone di locazione, sia la litigiosità. Una sua riforma avrebbe contenuti costi economici, ambientali e sociali, ma benefici immediati.

PER SAPERNE DI PIÙ

Indagine Censis-Sunia-Cgil sulle famiglie in affitto: “Vivere in affitto – Più case in affitto, più mobilità sociale e territoriale”, aprile 2007, disponibile sul sito www.sunia.it

– inoltre al linkhttp://www.confindustria.it/AreeAtt/DocUfPub.nsf/60d3fbc7e8b24801c12565fd004e8fc9/5bf88442620420eac1257132005edcc1/$FILE/PAPER_9.pdf

-Daniela Marchesi, Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo civile, Il Mulino 2003.

(1) Nello studio non si approfondiscono le ragioni della differenza tra il dato di abitazioni sfitte nelle due città.

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25 commenti

  1. giampaolo vitali

    L’articolo mette bene in evidenza che esiste un "fallimento del mercato" che non si risolve con l’aumento dell’offerta abitativa: anche se si costruissero più case queste rimarrebbero sfitte. La soluzione non è pertanto quella prospettata dal Governo, ma bensì potrebbe essere quella di un intervento pubblico che aumenti le garanzie per il rispetto dei diritti delle controparti. Per esempio, il locatore potrebbe stipulare il contratto con l’ente pubblico, il comune per esempio, che garantisce il proprio intervento se il locatario non paga il canone (e viceversa per salvaguardare gli interessi dell’inquilino). Eliminando il "premio per il rischio" il prezzo degli affitti si ridurrebbe, anche del 50%. Spero che qualcuno faccia propria questa proposta.

  2. Luciano Pontiroli

    Le considerazioni di Simone Gambuto meritano qualche commento. Il comportamento dei piccoli proprietari (forse non solo piccoli), che tengono gli appartamenti sfitti non è nuovo: anche nel vigore della legge n. 392 del 1978 – che aveva introdotto il c.d. "equo canone" – si lamentava la scarsa offerta di alloggi da locare. La legislazione oggi in vigore si impernia sulla legge 9 dicembre 1998, n. 431 – proposta dal ministro Antonio Di Pietro, governo di centrosinistra – che in parte ha mantenuto in vita la vecchia legge, sia pure introducendo una nuova disciplina del contratto che può essere stipulato per 4+4 anni a canone libero o per 3+2 anni a canone "convenzionato". In entrambi i casi, peraltro, la posizione del proprietario-locatore è quella descritta da Simone Gambuto: la pretesa "liberalizzazione" ha riguardato solo il canone iniziale, destinato peraltro a restare praticamente costante per otto anni, ma ha mantenuto severi limiti ai diritti del proprietario. Finché il legislatore italiano continuerà a pretendere (nel senso di fingere) di risolvere i problemi dell’offerta gravando i proprietari di immobili di oneri "sociali", la situazione resterà invariata.

  3. francesco archibugi

    Caro Gambuto, non posso che associarmi alle sue note. Mia madre dopo 23 anni dalla sentenza di sfratto non è ancora riuscita a liberare un piccolo appartamento. Queso dopo 60 accessi dell’U.G., i ripetuti blocchi delle procedure per volere dei Governi che si sono nel frattempo avvicendati, le spese che Lei vorrà immaginare, l’affermazione del Commissariato di PS che non hanno mai visto una cosa simile (ma continuano a non concedere la FP), il "parere" dell’U.G. che non riusciremo mai a liberare l’appartamento, …. Che scoramento! Tutto quanto sopra ha senso? Siamo o no in uno stato di diritto? Temo che la risposta vera possa essere molto sgradevole. La ringrazio per l’attenzione. F.Archibugi

  4. Dario Quintavalle

    Il proprietario può anche, in assenza di vincoli, affittare l’appartamento ad uso ufficio, se esso si trova in una zona residenziale. Negli ultimi anni ho visto modificarsi il mio quartiere, e il palazzo dove abito. Deserto di notte, quasi come una zona direzionale, ma congestionato ed invivibile di giorno. Andrebbe poi considerato l’assurdo assetto giuridico della proprietà edilizia condominiale, fonte di un contenzioso che intasa i tribunali, ed aumenta i costi per i singoli proprietari.

  5. Giuseppe Marsico

    Condivido buona parte dell’articolo e suggerirei due piccoli accorgimenti per avviare una rapida riforma. Prima di tutto dare garanzia certa in caso di morosità del rilascio dell’immobile (come avviene in caso di immobili all’asta che vengono assegnati anche se occupati), riduzione dell’aliquota irpef sul reddito di affitto al 20% (ventipercento) questo consentirebbe di ridurre di almeno il 15% i canoni di locazione attuali riportandoli ad importi sopportabili. Possibilità di scaricare le manutenzioni effettuate agli immobili anche ai privati (ricordiamoci che è la piccola proprietà che oggi detiene la maggior parte degli immobili sfitti per i problemi esposti in articolo. Con questi piccoli accorgimenti si eviterebbero una marea di contenziosi e si metterebbero in circolo molti immobili.Non credo che le case pubbliche invece risolvano il problema vedi già i casi ALER e altri istituti che non navigano in acque tranquille. Inoltre anche le persone con problemi devono essere integrate con il resto del tessuto sociale diversamente creiamo i ghetti che non possono essere gestiti in nessun caso. A presto Giuseppe Marsico

  6. Giuliano Delfiol

    L’articolo, pur pregevole, lascia nell’ombra alcuni fattori che contribuiscono alle storture del mercato degli affitti. Il primo è l’estrema ristrettezza del mercato stesso. La domanda è poca, perchè 9 famiglie su 10 abitano in proprietà. L’offerta ancor meno, perchè molte sono le tentazioni alternative per un piccolo proprietario che ragionevolmente teme le complicazioni ben descritte nell’articolo: una tentazione molto gettonata, almeno nelle città medio-grandi, è affittare agli studenti, frequentemente sottobanco. A Firenze (dove vivo) 500 euro per una stanza in coabitazione non sono un’eccezione. Per l’inquilino d’altra parte vivere in affitto non è fiscalmente conveniente, perchè un mutuo può essere gravosissimo ma è fiscalmente deducibile, al contrario del canone che per l’inquilino è un gravame a fondo perduto. L’ICI è stata abolita per la prima casa, ma nessuno sgravio è stato deciso per chi vive in affitto. Per poco che se ne abbia la possibilità, chiunque si indirizza all’acquisto. Tutti questi fattori contribuiscono a rendere il mercato dell’affitto del tutto marginale, e non meraviglia che le relative quotazioni "spot" siano altissime.

  7. ugo

    Sinteticamente. Il mercato selvaggio degli affitti riflette perfettamente uno Stato sommatorie di lobbies (ceto forense, sindacati inquilini, ecc.) cementato su regole inapplicabili ma formalmente e retoricamente "giuste"; iniziando da quelle fiscali: meglio una virtuale "giusta" imposizione progressiva (particolare: nessuno paga!) piuttosto che una concreta efficace imposta sostitutiva (meglio se appannaggio diretto ed esclusivo degli enti locali), ipotesi troppo lontana dai palati fini dei teorici raffinati del giure e della dogmatica (ma quanti in buona fede…?).

  8. mario scano

    "l’affitto scende in termini reali all’aumentare della durata del rapporto"…..sarebbe vero, e in assoluto lo è. Peccato che il costo di partenza del canone è spropositato, soprattutto in alcune città, io conosco Bologna, Roma, Milano, Cagliari. Sarei d’accordo nell’alleggerire le tasse che gravano sul proprietario, davvero troppe e troppo alte. Ma mi vengono dei dubbi quando so di tanti proprietari che affittano in nero, a canoni comunque alti, perché per loro è una speculazione, non una semplice ragionevole e legittima rendita. Ho quindi dei dubbi sulla bontà calmierante dell’alleggerimento fiscale. Si potrebbe concordare anche sulle eccessive rigidità che la legge prevede per i contratti, anche se mi sembrano più legate alle magagne della giustizia italiana, lenta e farraginosa in generale. E poi, scusate, va chiarito per benino che la flessibilità che si vorrebbe accordare al proprietario deve trovare un corrispettivo: a) nella disponibilità del mercato ad offrire alternative all’inquilino; b) in una rete di protezione sociale di cui la collettività (lo stato, gli enti locali ecc…) deve farsi carico….e che deve funzionare.

  9. martino

    Questo dovrebbero pubblicare i quotidiani invece che le solite approsimative scampiaggini. segnalo solo che da mettere in conto al proprietario ci sarebbe anche il costo determinato dalla osbolescenza della casa. se si affitta una casa che ha più di 60/70 anni i lavori da fare sono innumerevoli e spesso diventano via via più onerosi con l’avanzare dell’"età" dell’immobile.

  10. Francesco V-

    Voglio solo fare presente una piccola esperienza personale. Nel 2001 mi trasferisco a Roma per lavoro; trovo una camera in affitto a 550.000 lire. Nel 2008 la stessa "vale" 500 euro. Con uno stipendio di 1200 euro questo livello di costo non è accettabbile essendosi praticamente raddoppiato a partire già dal 2003. Visto che la maggior parte degli affitti di camere non è in regola, in particolare il settore studenti, non mi sembra che l’eccessiva protezione dell’inquilino sia la causa del raddoppio del canone di affito in pochi anni a fronte di incrementi stipendiali sicuramenti inferiori al tasso del 100% su 5-6 anni. Lo stesso per il gran numero di case sfitte: forse sono sfitte in zone non "appetibili" per chi cerca una casa dove risiedere per lavoro, forse se il luogo è conforme ai propri desiderata l’affitto richiesto comporta l’utilizzo di oltre il 50% delle proprie entrate mensili. In ogni caso nei luoghi a maggior tensione abitativa ossia con un forte domanda "captive" (Roma o Milano ad esempio) la libertà di canone ha portato all’esplosione del canone stesso;lo Stato può sopportare che in queste aree (dove è necessario vivere per lavorare) le case siano beni d’investimento ?

  11. Alberto Chilosi

    Tutto vero. Le conseguenze economiche e sociali del regime vincolistico e della mancata tutela dei diritti sono spaventose. Intanto per coloro che all’ inizio della loro vita lavorativa, quando i guadagni sono modesti, vorrebbero tanto trovare una casa in affitto e sono invece costretti a indebitarsi svenandosi per comprarne una, magari del tutto inadeguata alle proprie esigenze familiari, cosa che avrebbero poturo evitare se il mercato dei fitti fosse libero. Si tratta del mio caso personale negli anni settanta del secolo scorso, grazie all’ iniquo equo canone che aveva completamente distrutto il mercato dei fitti. Inoltre, al di là dei costi e delle inequità sociali,il sistema comporta un enorme ostacolo alla mobilità del lavoro, con conseguente mismatch territoriale ed elevate sacche di disoccupazione particolarmente nel sud e conseguente riduzione dell’ occupazione e della produttività del lavoro. Si tratta di uno dei molteplici aspetti della solita demagogia populista sinistrese e dell’ inefficienza delle nostre istituzioni.

  12. Alberto Chilosi

    Alla fine il risultato è che in Italia la quota delle famiglie che vivono in case di loro proprietà è fra le maggiori del mondo. E, si sa, i piccoli proprietari tendono a non votare per la sinistra….

  13. maurizio

    1)garantire al proprietario della casa che allo scadere della locazione può rientrare immediatamente in possesso della sua casa senza proroghe o idee bislacche varie 2)garanzia del canone di affitto per almeno 6 anni con registrazione del contratto presso uffici addetti con la presenza del proprietario e dell’affittuario,in caso di falso pene severe sia per il proprietario, per l’affittuario e se c’è dolo anche per chi ha stipulato il contratto, (vedi agenzie immobiliari) forse con la presenza dei due si può risolvere il problema dei clandestini e del nero.

  14. GIACOMO BRETTONI

    Gentili Signori, a mio avviso l’articolo pur brillante nel delucidare i disincentivi legali ad affittare una casa, non mette in luce il disincentivo economico a farlo. Se i canoni di locazione sono alti, pur in presenza di una vasta offerta di case, lo si deve alla tassazione integrale dei canoni come voce di reddito diverso. Ne consegue che il proprietario di una seconda o terza casa che con reddito superiore a 75.000 euro dovrà pagare sul canone di locazione solamente di Irpef un imposta pari al 43% più una pari aliquota sul reddito fondiario della stessa. Se alle imposte si sommano le tasse comunali sui rifiuti, le spese di condominio e di manutenzione ordinaria e straordinaria dove è l’incentivo ad affittare una casa? Ne consegue che i gli individui sono incentivati da una lato a tenere alti i canoni di locazione, dall’altro ad evadere dichiarando soltanto parte dello stesso. L’assurdità di questo sistema è ancora maggiore se riflettiamo sulle imposte che i sostituti di imposta applicano sulle rendite finanziarie pari al 12,5%. Quindi qualunque individuo economicamente razionale preferirà acquistare obbligazioni piuttosto che case affittare nel mercato.

  15. Luigi Calabrone

    La situazione dell’affitto abitativo qui descritta è realistica e quasi completa. Manca (alcuni commenti la stanno integrando) un’esposizione, pur sommaria, delle cause che vi hanno portato nel corso degli ultimi cinquant’anni. In estrema sintesi, il legislatore ha fatto la guerra a chi mette a disposizione di terzi un’abitazione in affitto. Il “padrone di casa” è stato sempre considerato non come un onesto (fino a prova contraria) prestatore di questo servizio, di rilevante interesse pubblico, come, per esempio il tassista o il noleggiatore di auto, ecc., ma come un individuo socialmente pericoloso, un inumano speculatore, che svolge un’attività da contenere e reprimere. Anche dopo l’esperienza negativa della legge sull ”equo canone”, in sostanza ne sono stati mantenuti i presupposti. Con questa politica disastrosa, non c’è da meravigliarsi che oggi il mercato delle abitazioni in affitto in Italia sia ridotto al 20% del totale, percentuale che non si riscontra in nessuno dei paesi dell’Europa civile. D’altra parte, ciò è coerente con l’approssimazione e la politica di corto respiro, sempre demagogica, emotiva, episodica, che hanno caratterizzato il settore del welfare in Italia.

  16. giampiero di santo

    Complimenti per la lucidità dell’esposizione. Quanto ai rimedi, difficile immagionare che il Sunia e gli altri sindacati degli inquilini accettino di contrattare vincoli meno rigidi. Faccio un esempio dei motivi che spingono molti piccoli proprietari a lasciare sfitti gli appartamenti. Ho ereditato da mia madre due appartamenti già in locazione al prezzo, convertito in euro, di 362,22 euro ciascuno. Un contratto è stato rivisto solo quest’anno al prezzo di 650 euro e l’altro ha avuto solo quest’anno l’adeguamento Istat 2001-2008 (colpa mia). Ebbene, gli attuali inquilini, colpa dell’Eni e anche loro, sono riusciti ad accumulare un debito di gas di 5.500 euro. Chi ha dovuto pagare per conto loro? Domanda retorica. E prima di rivedere i soldi….

  17. Carlo

    Il problema principale è che i tempi della giustizia in Italia sono lentissimi. Questo problema non si risolve con leggi ad-hoc, ma facendo in modo che i processi si possano concludere in tempi brevi, come in tutti i paesi civili. Un cambiamento radicale di questo tipo sarebbe estremamente costoso e, purtroppo, alquanto inverosimile, visto che ne manca palesemente la volontà politica. Parlavo esattamente di questo argomento con dei colleghi inglesi che ne rimasero stupiti; in UK i processi si celebrano in tempi molto ma molto rapidi, il che sicuramente aiuta a spiegare il numero decisamente inferiore di appartamenti sfitti nell’isola di Elisabetta.

  18. martino

    Condivido oltre all’articolo, che veramente dovrebbe essere diffuso capillarmente siccome utilissimo, anche molti dei commenti. Il mercato dipende dalle regole, ma non quelle "del mercato", bensì quelle "nel mercato" cioè quelle che regolano i beni destinati ad essere oggetto degli scambi. ecco il fallimento. Portando l’esperienza di locatore in bianco da anni di parenti, la soluzione ragionevole è tenere bassi i fitti e selezionare tantissimo i conduttori in modo da evitare litigiosità (zero contenzioso in 20 anni); con l’attuale regime fiscale il guadagno (parlo di residenziale) è vicino allo zero. la legge 431/1998 non cambia quasi nulla, ma rilevo che le disposizioni "a valle" di essa sono quanto di peggio può produrre la burocrazia. il sistema degli accordi locali per contratti di breve durata è un fallimento (una rigidità inverosimile), il 3+2 canone concordato è un fallimento perchè il guadagno fiscale è risibile (lo ho calcolato più volte). Insomma non c’è spazio per la libertà contrattuale (con l’eccezione dell’uso foresteria, per quanto residuale). eliminassimo le leggi speciali e ci tenessimo solo il cod. civ. sarebbe meglio.

  19. Marco Di Marco

    L’articolo è interessantissimo. E’ importante capire alcuni dettagli fondamentali: (1) Le case "sfitte" di cui si parla nell’articolo sono anche tutte vuote? E’ possibile che alcune siano affittate in nero? O che non siano abitabili, magari perchè il proprietario non ha fondi sufficienti per ristrutturarle? (2) Quelle vuote, a chi appartengono? A piccoli proprietari spaventati dal rischio di mancato recupero dell’immobile oppure a società. (3) Qual è lo scopo dell’investimento immobiliare in case che vengono lasciate vuote? Se è anche speculativo o precauzionale (=aumentare o conservare il capitale), in che modo la differenza di prezzo fra case occupate e case libere influenza le scelte dei proprietari? (4) L’entità dello stock di case vuote dipende dai tempi di ricerca. Le agenzie immobiliari hanno un incentivo a convincere i proprietari a prolungare l’attesa di un inquilino disposto a pagare il più alto affitto possibile? (5) Il rischio di mancato rilascio dell’immobile dipende dai costi di ricerca e di transazione per l’inquilino (trasloco incluso)? Potrebbe essere ridotto da politiche di social housing?

  20. Alessandro Ela Oyana

    Mi limito solo alla considerazione che in realtà quanto scritto nell’articolo vale per qualsiasi tipo di contratto. Il problema non è la legislazione speciale in sè (anche se sono d’accordo sul fatto che quanto disposto nel codice civile potrebbe bastare, come qualcuno ha già evidenziato, con l’aggiunta che ciò vale per larga parte della legislazione speciale, per certi versi, anche quella in materia di lavoro). Sono i tempi e l’effettività della tutela giurisdizionale che non consentono alle norme di legge, sempre perfettibili, di avere un effetto reale. E’ inutile fare riforme se poi tutto si blocca al momento di dargli esecuzione. Per il resto, il giusto equilibrio fra esigenze sociali legate ai beni primari (quale è la casa) e diritti dei proprietari e non è difficile da trovare ove ci si convinca che le regole del mercato non siano sufficienti.

  21. Corrado Tizzoni

    Non condivido assolutamente l’analisi svolta da Gambuto sulle cause che portano ad avere molti alloggi sfitti: a mio avviso tutti questi alloggi sfitti sono in realtà affittati in nero a studenti, stranieri o anche cittadini italiani meno abbienti. Risultano sfitti perchè non c’è nessuno incentivo a dichiarare il reddito da locazione rispetto al reddito immobiliare. A parziale supporto della mia affermazione posso portare la notevole diffusione di annunci di camere e appartamenti in affitto che circolano nella mia città (Torino) con grande volatilità (dopo 10-15 giorni vengono già assegnati). In particolare sui sistemi di annunci online studenti, stranieri o italiani possono trovare facilmente alloggio in poco tempo. Infine l’incremento di valore degli affitti deve essere confrontato con l’incremento di prezzo degli immobili nello stesso periodo di tempo: mi sembrano perfettamente coerenti. In conclusione per far emergere gli affitti in nero e creare in qualche misura un mercato più trasparente e concorrenziale si dovrebbe disincentivare fortemente la rendita immobiliare e agevolare fiscalmente il reddito da locazione.

  22. stefano monni

    Trovo estremamente interessante l’articolo in esame, soprattutto perchè anche da questo è possibile evincere il ruolo di una inefficente sistema giudiziario sulle distorsioni del mercato delle locazioni, evidenziate nel predetto articolo. In particolare ritengo che migliorando il sistema giudiziario e, conseguentemente, garantendo il rispetto dei diritti di proprietà si potrebbe aumentare l’offerta con conseguente riduzione dei prezzi degli affitti.

  23. AM

    La situazione penosa del mercato delle locazioni di fabbricati in Italia non dipende solo dal diritto, ma anche dal fisco che con malizia ha introdotto gradualmente una serie di norme con l’obiettivo di aumentare il gettito attraverso un aumento surretizio della pressione fiscale sulla casa. I risultati sono stati opposti a quelli attesi: hanno tenuto sfitte molte case o spinto gli affitti in nero. In primis, la detrazione a forfait del 15% è del tutto insufficiente a coprire le spese a carico del proprietario ed è assurdo che la percentuale rimanga invariata nell’affitto di case completamente arredate. In sostanza l’IRPEF colpisce i ricavi e non redditi netti. Talora poi, se l’inquilino non paga e non può essere immediatamente sfrattato, il proprietario è obbligato a pagare l’imposta su un ricavo che è e che rimarrà a lungo solo virtuale. Aggiugasi che le spese giudiziarie dovrebbero rientrare in quel ridicolo 15% a forfait. La Finanziaria del 2005 ha aggiunto un’altra perla innalzando i valori minimi dichiarabili sino al 10% del valore dell’immobile. Questo minimo supera talora il canone di mercato.

  24. carlo

    Perchè dovrei affittare a residenti? Tra tasse e oneri vari parte il 50% del reddito. La svalutazione riduce il canone tutti gli anni. 6-10 anni per mandare via un inquilino moroso. Ci pago le tasse sopra anche se lui non paga. Se voglio vendere perdo il 30-40% del valore. Meglio comprare, magari risistemare, tenere vuoto, e rivendere dopo 5 o 6 anni. E affittare solo se ti capitano studenti stranieri, o uso foresteria, giusto per ricavarci qualcosa.

  25. Carlo

    La storia ha dimostrato che l’equocanone non funziona: troppe case restano sfitte, troppe vengono affittate in nero. L’unica soluzione e’ costruire case popolari, che pero’ non devono essere vendute per fare cassa, altrimenti si fa solo un regalo agli eredi! Purtroppo, inoltre, poiche’ manca la volonta’ politica di affrontare seriamente l’evasione fiscale, ci saranno sempre molti evasori che otterranno case pur non avendone diritto.

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