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ITALIA A TUTTO GAS

Il gas naturale è diventato in questi anni la fonte di energia di riferimento in Italia. Il balzo dei consumi è stato molto elevato, con un tasso medio di crescita di oltre il 4 per cento. Ancora oggi, nonostante la crisi e la sbandierata volontà di virare sul nucleare, esistono diversi progetti d’investimento che riguardano il metano. E’ dunque arrivato il momento di ragionare sul futuro dell’approvvigionamento di energia nel nostro paese, per impostare una politica energetica e industriale che decida davvero quali fonti sono prioritarie.

 

In attesa della seconda inaugurazione del terminale di rigassificazione di Rovigo e a breve distanza dalla pubblicazione del bilancio di Snam Rete Gas, in cui si riassumono le quantità trasportate nell’ultimo triennio, è utile analizzare i trend del mercato del gas naturale italiano.

QUANTO GAS CONSUMIAMO

Dopo quasi dieci anni di forte crescita, con una media annua di oltre il 4 per cento, dal 2006 i consumi di metano in Italia si sono stabilizzati: nell’ultimo triennio, abbiamo consumato circa 85 miliardi di metri cubi annui, attestandoci come terzo consumatore europeo.
Scomponendo per settore, quasi il 70 per cento della domanda addizionale è dovuto all’utilizzo di gas per la generazione di energia elettrica, soprattutto attraverso i cicli combinati. La parte restante è essenzialmente dovuta al settore residenziale, dove politiche di incentivazione hanno favorito la metanizzazione della Penisola.
La stabilizzazione dei consumi negli ultimi tre anni, invece, è spiegabile con la saturazione del settore domestico: ormai i comuni metanizzati sono più di 6.200 su un totale di 8.101. Inoltre, la variazione di questa domanda dipende esclusivamente da fattori meteo. Tra i motivi ci sono anche il lento, ma inesorabile declino della domanda industriale, per la delocalizzazione delle imprese energivore e il forte rallentamento della crescita dei consumi legati alla generazione di energia elettrica da gas naturale, ormai intorno al 50 per cento del totale. Tali fattori, a nostro avviso, costituiscono un limite strutturale a un ulteriore e significativo sviluppo del mercato nazionale. A ciò vanno aggiunti gli effetti della crisi economica sulle attività produttive: comporta oggi una riduzione della domanda e, per quanto congiunturale, potrebbe avere delle ripercussioni sui consumi dei prossimi anni.

LE INFRASTRUTTURE

La dotazione infrastrutturale del nostro paese è indicata nella tabella 1, relativa alla nostra capacità d’importazione.

Tabella 1: Punti d’ingresso di gas naturale 2009.

Punto d’ingresso Provenienza Capacità annua max (Mmc)
Passo Gries Nord Europa 20
Tarvisio Russia 35
Mazara del Vallo Algeria 32
Gela Libia 9
Panigaglia Gas liquefatto (Algeria) 3
Rovigo Gas liquefatto (Qatar) 8
TOTALE   107

Fonte: AEEG, 2008.

In più, il nostro paese produce circa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno: l’offerta massima potenziale per il prossimo anno termico è dunque di oltre 117 miliardi di metri cubi. A onor del vero, considerando alcuni vincoli tecnico-economici, la capacità reale dovrebbe essere di poco superiore ai 105 Mmc. (1) Comunque, è ben superiore rispetto al fabbisogno italiano, stimato in forte diminuzione per il 2009, intorno agli 80 Mmc. (2)
Tuttavia, le previsioni di domanda elaborate dal ministero dello Sviluppo economico indicano per i prossimi anni un consistente aumento dei consumi: 90 Mmc al 2010; 100 Mmc al 2015; 105 Mmc al 2020. (3) Il paese avrebbe dunque bisogno di ulteriori investimenti infrastrutturali onde evitare rischi di shortage nei prossimi anni. (4) Rischi ancor più evidenti se si considera che la produzione interna dovrebbe, inesorabilmente, diminuire.
Diamo quindi uno sguardo alle infrastrutture in fase di progettazione, presentate in tabella 2. 

Tabella 2: Punti d’ingresso di gas naturale previsti.

Nuovo Progetto Provenienza Anno di inizio Capacità annua max (Mmc)
TAP Mar Caspio 10
IGI Mar Caspio 10
Galsi Algeria 2012 8
Porto Empedocle Gas liquefatto 8
Panigaglia 2 Gas liquefatto 2014 5
TOTALE     41

Fonte: AEEG, 2008.

Nella tabella sono stati indicati solo alcuni dei progetti previsti, quelli considerati più probabili. Pur non segnalando quasi nessuna data di inizio attività, ministero e Autorità dell’energia li indicano in operatività intorno al 2015. (5) Ciò significa una capacità d’importazione del nostro paese pari a quasi 150 Mmc, a fronte di una domanda prevista dal ministero di circa 100 Mmc.
A questo punto, alcune riflessioni si rendono necessarie. Anzitutto, l’incremento della domanda ipotizzato appare ottimistico: la prevista metanizzazione della Sardegna potrebbe aumentare al massimo di un miliardo di metri cubi all’anno la domanda nazionale; per quel che concerne il settore industriale, invece, pare difficile ipotizzare una significativa inversione di tendenza rispetto al lento declino degli ultimi dieci anni.

COME DIVENTARE UN HUB DEL GAS

Veniamo adesso all’aspetto più controverso da stimare: il mix di generazione di energia elettrica. Quello che possiamo dire è che gli obblighi europei sulle energie rinnovabili e, soprattutto, la volontà del governo di puntare sul nucleare sono dei forti disincentivi a ulteriori investimenti nella generazione termoelettrica. Se, infatti, le rinnovabili sono caratterizzate da discontinuità (hanno perciò bisogno di una riserva di potenza tradizionale), l’energia elettronucleare, per contro, coprendo ottimamente i consumi di base, rischia di spiazzare impianti turbogas anche molto recenti. Difficilmente, quindi, potranno bastare i balzi dei consumi per autotrazione o le futuristiche applicazioni dell’idrometano. Del resto, le previsioni elaborate dall’Unione Europea stimano una stabilizzazione dei consumi italiani di gas naturale intorno ai 90 miliardi di metri cubi, in caso di effettivo raggiungimento degli obiettivi del 2020. (6)
L’abbondanza di nuovi progetti può dunque avere solo due spiegazioni: la speranza che l’Italia diventi un hub del gas, con la conseguenza che una quota importante dei flussi di metano transitino sul nostro paese per poi essere consumati da altri paesi dell’Unione. Oppure, un’eccessiva incentivazione dei nuovi progetti. A questo proposito, secondo una controversa delibera dell’Autorità dell’energia, in caso di sottoutilizzo delle nuove infrastrutture, il sistema gas e in ultima analisi i consumatori, si accollerebbe la copertura di parte dell’investimento.
Scongiurando la seconda ipotesi, quali sono i passi necessari affinché l’Italia diventi un hub fisico del gas naturale? Anzitutto, è necessario un maggior coordinamento di tutti gli attori interessati, in primis governo e regolatore. La possibilità che il nostro paese diventi il crocevia del gas europeo dipende dalla rapidità con cui saremo in grado di costruire dei corridoi di approvvigionamento: i primi progetti realizzati saranno naturali barriere all’entrata in operatività di altre infrastrutture. Bisognerebbe dunque accelerare gli investimenti in capacità d’esportazione (a oggi, è di fatto impossibile che il gas importato possa uscire dal nostro paese); dare nuovo impulso al Punto di scambio virtuale, la nostra embrionale borsa del gas; procedere con decisione verso la separazione proprietaria di Snam da Eni. Senza questa dolorosa, ma necessaria separazione, la credibilità del paese come hub sarebbe compromessa: difficilmente, infatti, l’Europa riterrebbe completamente affidabile il gestore di un hub controllato da uno dei più importanti player del mercato.    

(1) Tra i vincoli c’è ad esempio la limitata capacità di stoccare gas nel periodo estivo, che non consente un utilizzo a pieno regime dei gasdotti per tutto l’arco dell’anno.
(2) Iefe 2009.
(3) Si veda l’intervento di Giovanni Perrella “La domanda e l’offerta di gas naturale in Italia nel 2008” al seminario Aiee del 9 marzo 2009.
(4) Per maggiori ragguagli si veda ad esempio: “Il gas naturale liquefatto per l’Europa”, a cura di Susanna Dorigoni, Franco Angeli, 2009.
(5) Si veda Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta, 2008, dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, disponibile anche on linehttp://www.autorita.energia.it/relaz_ann/relaz_annuale.htm.
(6) Si veda P. Capros, L. Mantzos, V. Papandreou, N. Tasios, “Model-Based Analysis of the 2008 EU Policy Package on Climate Change and Renewables”, Report to the European Commission, June 2008.

Foto: dal sito della BP Group, © 1996-2009 BP p.l.c.

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I MODELLI ECONOMETRICI

16 commenti

  1. Enrico Marchesi

    Alla sbandierata volontà di virare sul nucleare seguiranno ben pochi fatti concreti. Mancano i capitali necessari, le competenze e un reale supporto da parte dell’opinione pubblica. Del resto, anche nel caso in cui ci fosse una reale possibilità di investire nel nucleare, le nuove centrali non potrebbero essere operative prima di 15 anni (vogliamo essere ottimisti?). L’impatto del nucleare sull’evoluzione della domanda di gas può quindi essere tranquillamente trascurato. Quanto alle infrastrutture di importazione del gas è possibile che, a causa dell’attuale crisi economica, molti progetti siano rinviati o cancellati. In definitiva è probabile che entro il 2015 succeda ben poco. Domanda stagnante e potenziamento delle infrastrutture esistenti. L’idea che l’Italia possa trasformarsi in un hub del gas fa parte delle dichiarazioni mitiche e oniriche a cui siamo ormai tristemente abituati. Infine trovo che l’idea che il nostro paese possa avere una politica energetica credibile sia un po’ pretenziosa. Forse dovremmo accontentarci di avere una politica energetica divertente.

  2. Riccardo Colombo

    L’articolo riporta due informazioni che andrebbero meglio approfondite. Innanzitutto ci sarebbe uno squilibrio tra offerta e domanda di gas naturale: 140 miliardi di mc (una volta attuati i gassificatori in progetto) contro una previsione stabile di 90-100 miliardi di mc. Se questo dato fosse vero, si dovrebbero bloccare i nuovi gassificatori ed abbandonare l’idea di ritornare al nucleare. In secondo luogo l’articolo fa riferimento ad un delibera dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas che prevederebbe la copertura da parte dei consumatori della quota non coperta dalla domanda della capacità produttiva dei nuovi gassificatori. Se fosse vero e se ho capito bene, si tratterebbe un incentivo più grave di quello previsto da " vecchio" CIP6. Vorrei infine osservare che le considerazioni dell’articolo non tengono conto del problema dell’indipendenza energetica del nostro paese. Attualmente circa 70 miliardi mc sono importati dalla Russia e dall’Algeria. Non sarebbe meglio avere disponibili infrastrutture in grado di permetterci di acquistare il gas naturale da altre fonti ?

  3. Davide

    L’obiettivo dell’articolo è ambizioso, ma purtroppo, nelle sue conclusioni non v’è traccia di quello che è stato, è, e con tutta probabilità continuerà ad essere il "nocciolo" della questione: il potere di mercato dell’operatore dominante, le strategie volte a mantenerlo e ad evitare la nascita di un mercato all’ingrosso liquido del gas naturale. Se ci sono delle possibilità di rompere questo quadro, esse non possono prescindere dalla presenza di un eccesso di offerta che faccia da "scintilla" procompetitiva (l’AGCM e l’AEEG l’hanno scritto nell’ormai lontano 2004!). Spiace dunque leggere argomentazioni in cui si sente l’eco di temi più volte in passato strumentalmente utilizzati dall’operatore dominante (la cosiddetta "bolla del gas") proprio per ritardare investimenti necessari e proteggere la propria posizione a scapito, in ultima analisi, di noi consumatori.

  4. vari

    L’articolo è interessante. Ricorda che nei prossimi anni ci potrà essere una bolla del gas con conseguente forte diminuizione della domanda per eccesso di offerta e dei prezzi. Giustamente si sottolinea l’importanza di coordinare gli investimenti nelle infrastrutture e si ricorda che ad oggi sono più che sufficienti a coprire i bisogni legati al trasporto del gas. Si ricorda infine che la neutralità della rete rispetto al supplier potrà giovare all’apertura del mercato a nuovi concorrenti di Eni per far così dell’Italia un hub del gas. Su questo però vedo che non si dice nulla sui stoccaggi. Non a caso Snam Rete Gas di recente ho comprato da Eni questo business con l’intento di creare un polo regolato (o privato?). Ciò detto, questi dati dovrebbero far riflettere sull’importanza degli approvigionamenti perchè se poi le infrastrutture sono vuote. Ultima cosa: il rigassificatore di rovigo è floating. Finchè serve è lì, poi si può muovere via nave verso altri mercati.

  5. Maria Mazzei

    Oltre il gas ci sono altre fonti da considerare con relativi investimenti. Le fonti rinnovabili (quale l’apporto alla generazione ellettrica stimata?) necessitano di una rete adeguata (smart grid) e di questi investimenti si parla e scrive troppo poco. Mi pare che l’Aeeg ne parli spesso, citando anche il caso di Terna – società tolta ad Enel, non come alla Snam di Eni – che ha anche i soldi per farli, grazie alle bollette. Infine, mi piace pensare che siano vere un po’ tutte le ipotesi: gasdotti, metanodotti, rigassificatori, rinnovabili. Non il nucleare, che mi par di capire sia poco conveniente.

  6. Marcos Carpi

    Ma ragionare sul contenimento della domanda di energia no?

  7. Tommaso Sinibaldi

    E’ in corso una forte "pressione" per esportare gas dal Golfo Persico in Europa. Il Golfo Persico è pieno di gas e cerca mercati di sbocco. In particolare in Bahrein è stato scoperto un enorme giacimento di gas, di proprietà dello stato e della Exxon-Mobil (e il Bahrein ha solo gas e non ha petrolio) . L’ Europa è l’unico grande sbocco possibile : il Giappone è già "servito", gli USA sono troppo lontani, Cina e India sono di là da venire (se mai verranno). Per esportare gas dal Golfo in Europa l’Italia ha oggettivamente una posizione privilegiata : arrivare in Nord Europa (p.e. Olanda, Baltico) allungherebbe molto il viaggio ed il costo di trasporto del gas liquefatto (GNL) è assai elevato. Esiste quindi un vantaggio oggettivo a fare dell’Italia uno hub del gas per l’Europa : ma l’Italia cosa ne guadagnerebbe? Cinquant’anni fa (forse qualcuno lo ricorda) con grande clamore si fece dell’Italia la "raffineria d’Europa" : non è stato un grosso affare, direi.

  8. Luciano Morini

    Investire soldi pubblici per fare dell’Italia un porto del gas è una politica assolutamente miope che risponde a schemi vecchi. L’obiettivo di uno Stato che punta a rimanere una potenza mondiale dovrebbe essere molto chiaro: l’indipendenza energetica. Lo ha detto Obama per gli USA dovrebbe valere a maggior ragione anche per noi che non abbiamo energia nucleare né abbondanza di materie prime dalle quali ricavarla. Una classe politica che guardasse un po’ più in là del proprio naso e oltre gli interessi economici che lega alcune nostre aziende al nord Africa e alla Russia, punterebbe un maniera decisa sulle industria delle energie rinnovabili che hanno potenzialità enormi in tutti i settori, dal primo al terzo. A cosa serve investire in tubi che squasseranno il territorio per trasportare gas che non è il nostro? Chi ci guadagna? Non mi pare che i cittadini avranno da ciò alcun vantaggio! Gli unici a profittarne saranno solo le grandi industrie, che reinvestiranno all’estero, e i politici che saranno ben "oliati" dal gran giro di soldi che saranno messi in circolo da queste gigantesche ma inutili opere.

  9. angelo carbone

    Le fonti energetiche derivanti da combustibili fossili e da altre fonti non rinnovabili producono solo danni (guerre, inquinamento) oltre a rilasciare energia nell’ambiente sotto forma di calore che a seconda del rendimento, anche con centrali combinate, può in alcuni casi superare il 70% dell’intera energia prodotta e quindi dicevo a seguito di questo scambio di calore l’atmosfera si carica come una "bomba" e ci sono poi fenomeni che in Italia non erano mai stati presenti come la tromba d’aria di Riese Pio X in Provincia di Treviso. Ora noi abbiamo il sole, abbiamo la geotermia, l’idroelettrico che fatti fruttare garantirebbero insieme ad un piano di incentivi, con tariffe variabili nell’arco della giornata per far costare di più nelle ore di punta e di meno nelle ore di morbida, l’energia elettrica in questo modo avremmo una curva non proprio piatta (sarebbe impossibile), ma meno irregolare e con massimi e minimi relativi meno pronunciata. Poi con l’energia in surplus di giorno si potrebbe fare partire degli accumulatori di idrogeno nel territorio in questo modo rifornirebbero le stazioni carburanti e non avremmo quello obrobbrio di camion che bruciano gasolio per trasportarne.

  10. domenico lostrangio

    Volevo complimentarmi per il vostro articolo incisivo, sintetico e molto esauriente. Non sono un econoscitore delle tematiche trattate e di politiche energetiche, ma quello che si evince dal vostro articolo che manca una chiara politica e programmazione energetica da parte del Governo che secondo il mio modesto parere renderà utopica l’ipotesi che il nostro paese diventi un Hub del Metano, per realizzare un progetto del genere ci vorrebbe un nuovo Mattei. Bisognerebbe anche vedere se decolla la richiesta di metano come carburante per autoveicoli, ma questa è un’altra storia.

  11. Tania

    Il problema rimane sempre quello dell’incapacità del nostro paese di dotarsi delle infrastrutture necessarie per riprendere un posto di primo piano nel mediterraneo. Come la beffa del porto di Gioia Tauro che subisce la concorrenza del più distante porto di Marsiglia. Per il gas si prevedono le stesse problematiche di sempre…ma dopo la moratoria sull’eolico presentata al consiglio europeo da Italia Nostra cosa ci si deve aspettare dal partito del non fare?

  12. Nicola

    Il dubbio è sempre lo stesso: ma si vuole veramente fare una politica energetica importante o si vuole sempre arrancare? L’articolo è ben corredato di dati e spunti di riflessione circa i consumi e la posizione strategica del nostro paese. Una nazione posizionata nel centro strategico per lo smistamento di questa risorsa sempre più importante oltre a poter vantare potenziali risorse energetiche rinnovabili, non può continuare a rimanere ai margini di un possibile sviluppo globale. Potremmo avere il ruolo cerniera tra i produttori ed i consumatori di gas, potremmo cercare di far sviluppare il meridione d’Italia catturando l’energia del sole che continua a bruciare ed inaridire i terreni e invece siamo ancora qui a chiederci solamente come ottimizzare i consumi o come diminuire i fabbisogni quando invece potremmo far fruttare la richiesta di energia proveniente da più parti d’Europa. A questo punto la mia domanda ritorna: ci sono motivi che ostacolano lo sviluppo di fonti alternative energetiche e che ostacolano il nostro posizionamento strategico tra offerta e domanda o siamo talmente inetti da non percepire nuove forme di sviluppo e guadagno?

  13. Rinaldo Sorgenti

    Forse non è ben chiara l’assurda e precaria condizione del nostro sistema elettrico: la gravosa dipendenza dal metano, che è fonte del 57% della produzione elettrica, contribuisce in maniera rilevante a determinare un costo del 35% maggiore per la bolletta rispetto alla media Ue. Neppure Russia e U.K., che detengono consistenti quantità di metano sul proprio territorio, ne usano una % così elevata per produrre l’elettricità a casa loro. L’Italia trova un singolare parallelo solo con il Giappone, dove tuttavia si può investire nelle rinnovabili perché il mix energetico è differenziato ed equilibrato: 29% carbone, 25% nucleare, 24% gas, 11% olio comb., il resto FER. Anche in Italia, dunque, per uno sviluppo accelerato delle FER è necessario ridurre i costi nel sistema elettrico, oggi sbilanciato sul gas e sull’o.c. (per produrre il 60% dell’elettricità), differenziando le fonti con il carbone pulito ed il rilancio del nucleare per destinare una parte dell’enorme risparmio ottenibile alla sostenibilità economica delle FER. Ne ricaveremmo un sensibile miglioramento anche dell’ambiente in cui viviamo ed una maggiore sicurezza per gli approvvigionamenti e la competitività Paese.

  14. Antonio Di Martino

    Il "problema Gas" è una questione sia di infrastrutture, sia di chiarezza di regole. Occorre decidersi, allora: o riconosciamo alle Regioni piena responsabilità nelle decisioni in tema di approvvigionamento energetico; oppure riserviamo un simile compito a un livello istituzionale “più elevato”, qual è lo Stato. E, nella seconda eventualità, non trascuriamo di rivedere il Titolo V della Costituzione.

  15. Manuela

    Mi sembra che la possibilità che i consumatori debbano sostenere i rischi di un eventuale sottoutilizzo delle nuove infrastrutture sia piuttosto inquietante. Essi sarebbero costretti a sostenere i costi di un investimento sbagliato a cui non hanno partecipato direttamente, né in fase di pianificazione né di realizzazione. La costruzione di nuove infrastrutture costituisce una scelta strategica di cui si dovranno prendere carico le autorità governative con oneri e onori. A tal proposito, se l’intenzione che guida i progetti infrastrutturali è quella di fare dell’Italia un hub europeo, è necessario che i governanti e i maggiori operatori del sistema si attivino in maniera più incisiva e trasparente. Per evitare che il progetto si riveli fallimentare, è doveroso che da ora essi orientino le proprie scelte in tale direzione, gli uni in politica estera e gli altri in ambito commerciale.

  16. hermann

    Ottima analisi, complimenti!

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