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TREMONTI BOND: UN AFFARE PER IL TESORO

La tesi secondo cui le banche dovrebbero ricorrere ai Tremonti bond per avere le risorse sufficienti a finanziare le imprese e allentare così la stretta sul credito è tutta da dimostrare. Attualmente, la stretta creditizia è meno evidente di quanto si pensi, e le banche non sembrano avere bisogno del sostegno pubblico per rafforzare il patrimonio. Perché allora il ministero insiste? Perché finanziarsi al 4 per cento, ad esempio con l’emissione di un Btp a dieci anni, e investire all’8,5 per cento in un Tremonti bond è un buon affare per il Tesoro. Lo è meno per gli azionisti delle banche.

La polemica sui Tremonti bond e sul presunto credit crunch ha ripreso vigore di recente. (1) Da una parte, il ministro dell’Economia accusa le banche che non utilizzano il finanziamento pubblico di andare contro l’interesse generale del paese; la Confindustria, per voce della sua presidente, continua a imputare alle banche di strozzare le imprese e sostiene che Basilea 2, il regolamento sul capitale delle banche entrato in vigore di recente, contribuisce ad aggravare la stretta sull’offerta di credito. Dall’altra, i banchieri non hanno alcuna fretta di ricorrere al sostegno pubblico e sostengono che è la domanda di credito a essere debole, non l’offerta. Chi ha ragione? Per una volta, diamo ragione alle banche, e spieghiamo perché.

OFFERTA E DOMANDA DI CREDITO

Quando si osserva una forte riduzione della dinamica del credito, e il tasso di crescita dei prestiti bancari nell’area euro è passato dall’8,5 per cento di settembre 2008 all’1,5 per cento di giugno 2009 dicono i dati Bce, occorre distinguere tra fattori di offerta e di domanda. Naturalmente non è facile, perché quello che si osserva è solo la quantità scambiata, che è il risultato dell’interazione tra domanda e offerta. Tuttavia, esistono indicatori indiretti. Attualmente, questi ci dicono che è la domanda di credito da parte delle imprese a scarseggiare, mentre i vincoli dal lato dell’offerta hanno scarso peso.
Una indagine della Bce, Euro Area Bank Lending Survey di luglio 2009, sulla base di un questionario inviato a un campione di circa 120 banche europee, ci dice che la netta maggioranza degli operatori bancari segnala una riduzione della domanda di credito da parte delle imprese, soprattutto a causa del calo degli investimenti. Riconoscono che vi è stato un irrigidimento nei criteri di concessione dei prestiti (credit standards). Tuttavia, il fenomeno è già in fase di attenuazione nel secondo trimestre del 2009 rispetto alla fase più acuta della crisi; inoltre, non è dovuto a scarsità di risorse finanziarie o a vincoli patrimoniali, ma alle incerte prospettive della congiuntura economica e di alcuni settori in particolare. Sempre secondo i risultati dell’indagine, l’accesso ai mercati finanziari è migliorato nei mesi recenti. Un altro dato interessante: la maggior parte delle risposte segnala un impatto pressoché nullo di Basilea 2 sui credit standards. In parole povere: le banche hanno capitale a sufficienza e molti soldi da prestare, ma sono prudenti nel farlo perché il rischio di credito è aumentato, a causa della recessione.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

L’abbondanza di liquidità è peraltro ben nota, ed è da ricondurre alla politica monetaria fortemente espansiva attuata dalla Bce, che sta inondando le banche di prestiti a basso costo. In presenza di una domanda di credito debole, l’effetto di questa politica è quello di creare le condizioni per un finanziamento monetario dei debiti pubblici. Quanto alla situazione patrimoniale delle banche italiane, non è brillante, ma non sembra tale da vincolare significativamente la concessione di prestiti: il coefficiente medio del sistema è superiore ai minimi regolamentari (dati Banca d’Italia, fine 2008). Anche nei singoli casi in cui può rendersi necessario un rafforzamento patrimoniale, questo può avvenire ricorrendo al mercato. Il relativo costo, variabile a seconda degli strumenti emessi, difficilmente può superare quello dei Tremonti bond: questi prevedono una cedola annuale compresa tra il 7,5 e l’8,5 per cento per i primi anni, poi crescente gradualmente, mentre il costo di una recente emissione di debito subordinato da parte di una grande banca italiana si collocava poco sopra il 5 per cento. (2)
In conclusione, la tesi secondo cui le banche dovrebbero ricorrere ai Tremonti bond per avere le risorse sufficienti a finanziare le imprese e allentare così la stretta sul credito è tutta da dimostrare. (3) In realtà, sulla stretta creditizia si osservano segnali contrastanti, e quelli più recenti sembrano indicare che è la domanda di credito debole, non l’offerta. Inoltre le banche non sembrano avere bisogno del sostegno pubblico per rafforzare il patrimonio. Ma allora perché insistere? Certo, finanziarsi al 4 per cento, ad esempio emettendo un Btp a dieci anni, e investire all’8,5 per cento in un Tremonti bond sembra effettivamente un buon affare: sì, ma per il Tesoro, non per gli azionisti delle banche.

 

(1) I Tremonti bond sono strumenti ibridi di patrimonializzazione delle banche, sottoscritti dallo Stato. In pratica, sono strumenti di finanziamento a lungo termine, che rientrano nel patrimonio della banca beneficiaria (anche ai fini della vigilanza). Se una banca ne fa richiesta al ministero dell’Economia, si avvia una complessa procedura, che coinvolge anche la Banca d’Italia. Il finanziamento è subordinato all’adozione di alcuni impegni da parte della banca, tra cui: (i) favorire il credito alle imprese, soprattutto piccole e medie, e alle famiglie; (ii) sospendere per un anno la rata del mutuo ai lavoratori in cassa integrazione o percettori di sussidio di disoccupazione; (iii) adottare un codice etico. Il ministero intende monitorare il rispetto di questi impegni.
(2) Si tratta di debito a lunga scadenza, il cui rimborso – in caso di fallimento dell’emittente – è subordinato al rimborso degli altri debiti della banca: depositi, obbligazioni, eccetera. Può essere incluso nel calcolo del patrimonio di vigilanza complessivo della banca emittente.
(3) Così si legge nel comunicato stampa del ministero (25/2/2009), che accompagnava il decreto relativo ai Tremonti bond: “L’obiettivo è accrescere le opportunità di finanziamento all’economia grazie alla maggiore patrimonializzazione delle banche”.

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UN’ECONOMISTA RIGOROSA E CORAGGIOSA

10 commenti

  1. massimo mancini

    Esiste oggi un campo di applicazione economica che dovrebbe essere approfondita, ovvero la effettiva quantificazione della diminuzione di credito concesso alle imprese, facendo però un lavoro di selezione in base alla grandezza delle imprese e in base alla effettiva contingenza. Infatti, esiste una fortissima contrazione del credito, specialmente alle medie piccole imprese, esiste un forte sostegno alle grandi imprese ed esiste una situazione in cui gran parte dei finanziamenti concessi siano piuttosto una rinegoziazione di prestiti in scadenza e riscadenziate su maturity più consone alla effettiva capacità di rimborso delle aziende, in modo da non passarle in default. Al momento non sussiste la possibilità di finanziare investimenti, non esiste la possibilità di finanziare iniziative intangibile, ad oggi non è possibile finanziare la parte del ciclo finanziario aziendale più esposta in un periodo di crisi, cioè il capitale circolante. I Tremonti Bond non sono percorribili perchè le banche non sono assolutamente disposte a qualunque forma di controllo sulle modalità di concessione di credito nè tantomeno sulla "quantità" di credito erogato.

  2. Luciano Lavecchia

    Fa veramente ridere l’atteggiamento del Ministro Tremonti che, come un qualsiasi arruffapopolo, arringa la platea del Meeting di Rimini dicendo che "noi non abbiamo dato i soldi alle banche ma alla povera gente"; caro Ministro, non è che voi non avete dato i soldi alle banche, è che le banche non ve li hanno chiesti (per i motivi spiegati da Baglioni). Il populismo da quattro soldi lo lasci fare alla sinistra extraparlamentare e agli studenti delle superiori; non è un comportamento che si addice ad un Ministro della Repubblica Italiana. Provi con la repubblica-dell’osteria-padana, please.

  3. Piero

    1- Unicredit è nei guai con Austria (pure lei deve concedergli sostegni) e soprattutto Polonia (l’ultima asta di titoli pubblici è andata deserta.. ordine totale a tutti i media italiani: state zitti) 2- SanPaolo si vende Fideuram per ragioni industriali? E poi non c’è nei Tbond una clausolina che se le cose andassero male non pagano interessi? Ok che Tremonti è nemico di Draghi (cioè Goldman), ma ci andrei piano a dire che non ne hanno bisogno.

  4. Daniele Sireus

    Vorrei fare un semplice ragionamento a sostegno di una mia tesi, partendo da una definizione: "un arbitraggio è un’operazione che consiste nell’acquistare un bene o un’attività finanziaria su un mercato rivendendolo su un altro mercato, sfruttando le differenze di prezzo al fine di ottenere un profitto." E’ evidente che il meccanismo creato da Tremonti altro non sia che un operazione di arbitraggio: riceve il 7.5%/8.5% da i "tremonti bonds", finanziati nell’acquisto tramite l’emissione di titoli pubblici, immensi nel mercato al costo di circa il 4%. Ora, non voglio affermare che lo Stato debba aiutare il sistema bancario a costo zero, ma se davvero l’obbiettivo è quello di dare un impulso al credito per favorire il mondo produttivo, a mio avviso avrebbe dovuto agire in altro modo: rendendo i "tremonti bonds" davvero strumenti di aiuto e sostegno, con un tasso di interesse cedolare molto più basso (5.5% – 6.5%). E soprattutto dando input alla domanda di credito, piuttosto che all’offerta. Insomma, credo che Tremonti abbia un’idea di Stato – operatore finanziario, piuttosto che di Stato al servizio pubblico. Il mercato sta bocciando questi strumenti, del tutto inefficaci!

  5. Nicola Limodio

    L’articolo è molto interessante, ma credo che le Banche non hanno interesse ai Bond perchè prevedono di tornare in utile relativamente presto e quindi di poter superare eventuali crisi di liquidità con strumenti a breve termine, invece di costosi strumenti di capitalizzazione che solo in caso di perdite sarebbero comparativamente convenienti. Insomma, le Banche Italiane sono convinte (non necessariamente a torto) di tornare in utili già dal prossimo anno, Nicola Limodio http://dalleconomiallapolitica.blogspot.com/

  6. marco pierini

    Sul fatto che i finanziamenti nell’economia reale soffrano più per riduzione della domanda che dell’offerta sono dubbioso, del resto lo ammette parzialmente anche l’autore quando parla di indicazioni indirette. La miglior terapia per convincere i grandi gruppi bancari a tornare ad investire nell’economia reale resta ridurre la loro quota nel mercato dell’intermediazione finanziaria, dove guadagnano bene scaricando i rischi sui risparmiatori.

  7. Maurilio Menegaldo

    Più che un commento, questa è l’espressione di un dubbio. Non ho ragione per pensare che non sia vero che è la domanda e non l’offerta di credito a essere debole; mi piacerebbe capire meglio (e chiedo quindi agli autori se possono approfondire) se per caso i due fenomeni non siano ugualmente presenti. Mi spiego: può essere che la richiesta di credito sia debole da parte delle grandi aziende, che possono utilizzare in misura maggiore altri strumenti (non ultimi glia ammortizzatori sociali) per fare passare la tempesta, mentre invece chi, come aziende medie e piccole, ha più bisogno per sopravvivere del credito trova invece, salvo qualche caso, difficoltà ad ottenerlo? Chiedo questo perché, conoscendo diversi piccoli imprenditori, vedo che molte volte si sono visti opporre rifiuti dalle loro banche, soprattutto quelle più grandi, anche a causa dei vincoli di Basilea 2. Sembra invece più fluida la concessione del credito da parte di banche più piccole, come le casse di credito cooperativo. Naturalmente la mia visuale è piuttosto limitata: proprio per questo gradirei capire meglio.

  8. luigi zoppoli

    Il rapporto della BCE è davvero chiaro e pare ben solido.La crisi rallenta gliinvestimenti ed i cicli finanziari, le aziende tentano di ridurre magazzino e capitale circolante. E’ chiaro che ne consegue un rallentamento della domada di credito. Se ci aggiungiamo l’impatto di Basilea 2 sui bilanci delle imprese italiane e le aspettative di prosecuzione della crisi, credo che la riduzione della domanda di credito diventi ancora più comprensibile.

  9. Furetto

    Perché emettere dei bond a favore del tesoro e pagare 7.5% di interessi quando possono tranquillamente emettere un bond normale al 4-5%? Capisco che nel momento di panico i bond delle banche non attiravano, ma ora non penso ci siano problemi a raccogliere soldi, pagando una cedola ad interessi normali, sul pubblico mercato. Basta vedere gli andamenti dei bond emessi ad es. dalle banche d’investimento come GS o MS.

  10. Lorenzo

    Molte banche italiane stanno cercando di rafforzare i propri requisiti patrimoniali perchè ritengono che saranno resi più stringenti in futuro (nello specifico sono in molti ad ipotizzare un futuro coer tier 1 minimo pari a 8% rispetto al 6% attuale), operazioni come la cessione di Fideuram sono da leggere in quest’ottica, almeno a mio parere. Se non erro, una banca dovrebbe perseguire una politica di zero utili per evitare il rimborso dei Tremonti bond, ma non lo ritengo uno scenario credibile vista l’attenzione alla remunerazione degli azionisti degli isituti di credito. Personalmente ritengo che la decisione se adottare o meno i Tremonti bond sia dettata principalmente da ragioni legate al rapporto tra istituzioni. Se fosse gennaio ’09 potrei capire l’utilità dello strumento, ma ora ad un tasso così alto, maggiore di quello ottenibile con un’emissione obbligazionaria, ha meno senso.

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