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L’INFORMAZIONE STATISTICA? MEGLIO PUBBLICA

L’affidabilità, imparzialità e accessibilità delle rilevazioni statistiche sono di fondamentale importanza per un sistema d’informazione democratico. Solleva perciò perplessità la decisione dell’Istat di affidare alcune fasi della rilevazione delle forze di lavoro a una società privata di ricerca. In casi simili, non ci sono garanzie istituzionali dell’autonomia e indipendenza delle ditte private esterne, sulle quali potrebbero esercitarsi pressioni indebite. E l’esternalizzazione potrebbe accrescere i costi e peggiorare la qualità delle rilevazioni.

L’affidabilità, imparzialità e accessibilità delle rilevazioni statistiche sono il sale di un sistema d’informazione democratico, perché permettono a chi governa di governare a ragion veduta, e a chi è governato di giudicarne l’operato. Per questo, la recente decisione dell’Istat di affidare alcune fasi della rilevazione delle forze di lavoro a una società privata di ricerca, l’Ipsos, solleva alcune perplessità. 

INTERVENTI DELLA POLITICA E QUALITÀ DEI DATI

La ragione è che l’informazione statistica rappresenta un “bene” molto particolare, la cui peculiarità è costituita dal fatto che chi ne fa uso, nel giornalismo, nella politica e, spesso, nell’accademia, non ha la possibilità di appurarne direttamente la veridicità.
Questa caratteristica ha due importanti conseguenze. La prima è che l’informazione statistica diviene potenzialmente suscettibile di abusi di natura politica: si va dalla mancanza di trasparenza sulle fonti di informazione e sul processo di raccolta dei dati, alla scarsa tempestività/puntualità della pubblicazione delle informazioni, fino alla deliberata manipolazione dei dati. I governi in carica, quale che ne sia il colore, vorrebbero venisse dipinto un quadro roseo della situazione economica, mentre le opposizioni, se potessero, preferirebbero un quadro fosco. È la ragione per la quale l’autonomia degli enti nazionali di statistica viene generalmente tutelata in modo esplicito dalla legge. Si noti che questi problemi affliggono non solo paesi con regimi a basso “tasso” di democrazia, ma anche democrazie consolidate.
Un esempio interessante è dato dal succedersi di cambiamenti nella definizione del “tasso di disoccupazione” avvenuti sotto il governo della signora Thatcher, nei primi anni Ottanta. Secondo Paul Gregg, un economista del lavoro, “le accuse circa il metodo di calcolo delle stime della disoccupazione hanno riguardato la manipolazione politicamente “ispirata” delle cifre, ottenuta mediante continui cambiamenti nella copertura (della definizione di disoccupato) (…) tutte, tranne una, queste modifiche hanno contribuito a ridurre la stima del saggio di disoccupazione. (1)
La seconda implicazione è che settore pubblico dovrebbe produrre tali beni in house, piuttosto che affidarsi al settore privato. Il classico contributo di Oliver Hart, Andrei Shleifer e Robert Vishny mostra che se la qualità di un bene è difficilmente osservabile/contrattabile, allora le imprese private hanno un incentivo a ridurre i costi di produzione a scapito della qualità, ragione per la quale il pubblico finisce per pagare caro per un servizio scadente. (2) Questa è la ragione per la quale in generale gli enti nazionali di statistica hanno natura pubblica, e non privata. Èdunque fondato il timore che l’outsourcing possa accrescere i costi e peggiorare la qualità delle rilevazioni.

SE L’ISTAT ESTERNALIZZA

Nel caso dell’Istat, l’esternalizzazione delle rilevazioni ha portata limitata. Nel suo recente comunicato l’Istat dichiara che “L’unica novità (…) riguarda l’assegnazione ad una ditta esterna (scelta sulla base di una gara pubblica) anche della fase di raccolta dati assistita da computer (…) l’Istituto adotta strumenti molto qualificati di controllo e monitoraggio delle attività svolte da soggetti esterni. Sostenere quindi che la "qualità e la credibilità della rilevazione sono a rischio" a causa della modifica introdotta non è basato su alcun dato di fatto”.
Ne prendiamo atto. Eppure, diverse ragioni di opportunità avrebbero dovuto sconsigliare l’outsourcing. Primo, non vi sono, né potrebbero esserci, garanzie istituzionali dell’autonomia e indipendenza delle ditte private “esterne”, sulle quali potrebbero esercitarsi pressioni indebite. Secondo, eventuali modifiche nella metodologia delle rilevazioni rischiano di rendere meno trasparente l’interpretazione delle dinamiche del mercato del lavoro. Terzo, in questa congiuntura economica, le rilevazioni sul mercato del lavoro costituiscono la cartina tornasole dell’efficacia dell’azione di governo. Alla luce delle recenti polemiche del ministro Tremonti circa le rilevazioni Istat sulla disoccupazione e delle controversie sui dati del ministro Brunetta relativi all’assenteismo nella pubblica amministrazione, si sarebbe dovuto evitare anche solo il sospetto di un cedimento a pressioni politiche. Quarto, last but not least, il licenziamento di 317 co.co.co. costituisce un cattivo esempio di tutela pubblica dei lavoratori precari.

(1) Gregg, Paul, A. (1994) ”Out for the count again! A social scientists analysis of the Unemployment statistics in the U.K.”, Journal of the Royal Statistical Society, Series A, Vol.157 No.2 1994. In Bartholomew, David, Peter Moore, Fred Smith and Paul Allin, “The Measurement of Unemployment”, (1995), Journal of Royal Statistical Society, Series A, n.158, part 3, 16 pp.363-417 si sostiene che in Gran Bretagna “negli anni Settanta il numero dei disoccupati si riferiva a quanti ricevevano il sussidio di disoccupazione più coloro che non lo ricevevano ma si registravano regolarmente alla ricerca di lavoro. Via via durante gli anni Ottata il secondo gruppo venne escluso dal conto e il primo gruppo venne ridotto. Ad esempio nel 1981, circa 195mila individui furono tolti dal conto dei disoccupati attraverso la rimozione dei lavoratori in “training” e dei lavori temporanei; nel 1982 altri 216mila individui vennero eliminati quando si decise di conteggiare solamente quanti richiedevano un sussidio; nel 1988 circa 107mila uomini di età superiore ai 60 anni, senza occupazione e non eleggibili per i sussidi vennero eliminati dal calcolo (…)”
(2) Hart, Oliver, Shleifer, Andrei and Vishny, Robert W, 1997. "The Proper Scope of Government: Theory and an Application to Prisons," The Quarterly Journal of Economics, MIT Press, vol. 112(4), pages 1127-61, November.

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16 commenti

  1. lucio mirabrutto

    Casualmente anche nei paesi africani le statistiche ufficiali non valgono niente.

    • La redazione

      Non in tutti i paesi africani: ad occhio direi in quelli non democratici…

  2. massimo francesco macchia

    Sono assolutamente d’accordo, in particolare che l’ansia di “controllo” degli esiti delle rilevazioni scocio-economiche, per non voler parlare dell’ansia di manipolazione e di controllo della comunicazione politica rispetto a quella istituzionale, non ha colore di governo. Ricordate l’anno scorso l’incredibile querelle tra il vice-ministro dell’economia Visco e l’allora Presidente dell’ISTAT sulla corretta metodologia di calcolo della pressione fiscale? Risultato: il pubblico é rimasto basito e pieno di dubbi, Visco é tornato a insegnare e il Presidente dell’Istat é stato più semplicemente sostituito,ma dalla compagine di governo antagonista appena subentrata,Come a dire: l’autonomia tecnico-amm.va dei nostri apparati pubblici non esiste. L’art. 97 Cost.con i suoi principi posti a tutela dei cittadini (imparzialità, corretteza, trasparenza dell’agire pubblico) è da tempo in soffitta e chi ne parla oggi nella PA é visto come un reprobo passatista. Ma in questo paese dov’è la legalità, l’equità e l’etica pubblica nonostante il proliferare di codici di comportamento, di carte dei valori/impegni/qualità, di bilanci sociali e ambientali?

  3. Marco Bertolini

    Non discuto i dati e le tesi esposte nell’articolo, quello su cui vorrei mettere l’accento é l’assoluta mancanza di trasparenza, chiarezza e reperibilità delle statistiche disponibili presso l’Istat. Sono un dottorando di scienza della comunicazione presso la Complutense di Madrid e mi é risultato impossibile fare ricerche comparate sulla situazione della disoccupazione in Europa includendo i dati dell’Italia. Mancano dati importanti, studi sull’incidenza per fasce di età, ambiente sociale, ecc.. Impossibile avere dati aggiornati certi e chiari. Nessuno in Europa che sia un minimo dentro a certe realtà accademiche (studiosi di sociologia, informazione o statistica) crede che il tasso di disoccupazione nel nostro paese si aggiri intorno all’8% . Purtroppo é impossibile dimostrare il contrario. Se i cambiamenti messi in atto dall’Istat aiuteranno a migliorare questa oscura situazione sarebbe già qualcosa.

    • La redazione

      Il sig. Bertolini solleva un punto importante: l’accesso dei ricercatori ai dati ISTAT sugli individui/imprese è molto più difficoltoso in Italia che in altri paesi. In parte vi sono difficoltà con la normativa sulla privacy. Ma, ritengo, solo in parte: ecco un campo in cui il nuovo presidente dell’ ISTAT Dr. Giovannini può mostrare una forte discontinuità col passato e dissipare dubbi e critiche: mettendo a disposizione le rilevazioni a tutti i ricercatori che ne fanno regolare richiesta.

  4. Enrico Rebeggiani

    Aggiungerei un altro aspetto: il campione della rilevazione sulle forze di lavoro è credo il più ampio, complesso e il più frequentemente interrogato nel nostro paese, con una serie che risale al 1959. Per questo potrebbe avere un altissimo valore in termini commerciali. Chi ci garantisce che ditta che ha vinto l’appalto non raccolga anche altre informazioni per conto suo? Rispondere alle rilevazioni ufficiali è un obbligo di legge, ma far entrare in casa un rilevatore privato è un’altra cosa. Dare a un privato che fa ricerche di mercato l’accesso e l’uso di una banca dati così ricca di informazioni riservate, come il mio indirizzo per esempio, è un rischio altissimo, a prescindere dalle intenzioni della ditta che ha vinto e di cui non ho motivo di dubitare.

    • La redazione

      Concordo con lei e giro la domanda al Dottor Giovannini presidente dell’ISTAT.

  5. Saverio Di Ciommo

    Quanto appaiono distanti dalle condizioni operative concrete certi approcci accademici! L’Autore ha mai provato a gestire rapporti di lavoro flessibili (necessariamente flessibili!) nell’ambito di Amministrazioni Pubbliche?

    • La redazione

      Gentile lettore, il tema in discussione qui è se sia opportuno che una rilevazione politicamente fondamentale e "sensibile" come quella sulla disoccupazione venga trattata alla stregua di un qualunque rapporto di lavoro flessibile. Io ritengo di no.

  6. Ezio Pacchiardo

    Tutti i problemi esposti sono indirizzabili e risolvibili con adeguate formule contrattuali. Per quanto attiene al rischio della qualità del prodotto finale, è da precisare che in ambito industriale si è da tempo orientati all’adozione del modello dell’“orchestrazione” dei processi produttivi, che consiste nell’utilizzo dell’outsourcing per conseguire, con nuove strutture industriali, una più forte specializzazione e qualità. Il nuovo modello consente alle imprese di focalizzarsi maggiormente sulla ricerca, lo sviluppo e la produzione per raggiungere una maggiore qualità dei componenti e del prodotto finale. Risultato, questo, difficile da raggiungere per le imprese fortemente verticalizzate dove la scarsità di risorse costringe a un dosaggio e ad una distribuzione delle stesse a scapito di un focus mirato ai vari componenti. Per non stare nel teorico, è da ricordare che le grandi imprese in campo aeronautico producono in casa all’incirca il 30% del prodotto finale e quelle automobilistiche circa il 20%; il complemento al 100% è tutto outsourcing. In sintesi l’articolo mi pare sostenga più motivazioni socio-politiche che non motivazioni tecnico-economiche.

    • La redazione

      Gentile lettore, sono d’accordo con lei sul fatto che in molti campi l’outsourcing permette guadagni di efficienza. Ma qui non stiamo parlando del settore aereonautico, dove la qualità delle componenti è immediatamente misurabile e contrattabile. Stiamo parlando di un servizio pubblico essenziale, la cui qualità è difficile da appurare: un esempio più vicino è quello dell’esternalizzazioni delle prigioni (discusso nell’articolo di Hart et al citato). Inoltre, per il settore aereonautico il problema di interferenza della politica non si pone. Forse lei sottostima la sensibilità dei governi alle rilevazioni sul tasso di disoccupazione…

  7. Rino

    Che se qualcuno aveva dubbi sullo stato di salute della nostra Democrazia, con questo semplice ma istruttivo articolo si ha la dimostrazione lampante di come sia più facile governare con la comunicazione distorta o, ancor peggio, assente rispetto a compiere le azioni che sevirebbero ad affrontare davvero i problemi. Mi chiedo quante altre azioni di questo genere dovremo ancora subire.

    • La redazione

      L’indipendenza dell’ informazione statistica è un bene pubblico che va tutelato,, sono d’accordo. Per questo ritengo opportuno mantenere accesi i riflettori e l’attenzione dell’opinione pubblica sull’ operato del nostro Istituto di Statistica: non per attaccarlo, ma per rafforzarne l’autonomia.

  8. Claudio Resentini

    Non c’è bisogno di rievocare la Gran Bretagna tatcheriana per capire cosa significa eliminare la disoccupazione scomoda dalle statistiche (e dalle pagine dei giornali). Basta pensare agli attuali criteri vigenti in Italia (e non solo) aldilà della polemica sull’outsourcing. Giova infatti ricordare sempre che in Italia risulta occupato anche colui che ha svolto una sola ora di lavoro la settimana precedente l’intervista (sic) e chi non ha un contratto (in sostanza i lavoratori in nero), mentre chi ha smesso di cercare attivamente lavoro perchè scoraggiato risulta "inattivo". E non si tratta di un problema solo italiano visto che questi criteri discendono da quelli stabiliti a livello internazionale. Insomma, in tutti i paesi ricchi si vuole nascondere l’ormai annoso fenomeno del declino occupazionale che richiederebbe un drastico ripensamento del welfare in chiave universalistica.

  9. Lucio Zaltron

    L’importanza conseguente alla elaborazione dei dati sui risultati conseguenti alla differenza risultante fra l’inflazione reale e percepita è nota a tutti e conseguentemente anche gli effetti sul rinnovo dei contratti ed adeguamento delle pensioni. E’ chiaro che trattasi di una scelta politica a danno dei soliti lavoratori dipendenti e pensionati ! Va rivisto quindi l’intero sistema al fine di renderlo più corretto. Basta leggere con attenzione il famoso paniere e in particolare i pesi attribuiti per cogliere la sensazione di un volontario errore di scopo!

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