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TROPPA NEBBIA SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI

Un libro con un capitolo negazionista sul riscaldamento globale scatena negli Stati Uniti un acceso dibattito. E pone qualche interrogativo, in una battaglia che contrappone voce autorevole a voce autorevole, sul ruolo delle strategie di comunicazione. Quanto agli scienziati, al di là del potere di amplificazione dei media, sembra quanto mai attuale il richiamo all’onestà intellettuale e al rigore.

Nei giorni di Copenaghen, l’attenzione si è rivolta agli aspetti tecnici: che tipo di accordo? Quali target? Flat, fissi, flessibili, pro-capite? E i crediti da hot air? Ha senso trasferirli al secondo committment period? Tuttavia, al di là dei tecnicismi delle domande, la questione del cambiamento climatico è anche una battaglia sull’informazione. L’eterno ritorno della domanda “ne sappiamo abbastanza da poter richiedere una rivoluzione dei sistemi economici?” ne è una testimonianza. Le ragioni del “sì” fronteggiano quelle del “no”. Con il primo e secondo Assessment Report dell’Ipcc, i dieci anni dal 1990 al 2000 hanno segnato un progresso delle prime. Gli otto anni di amministrazione Bush possono essere interpretati come un baluardo delle seconde. Nonostante il terzo e quarto Ipcc Report abbiano ribadito le ragioni del “sì”, la domanda eterna non cessa di porsi. Torna alla mente lo Shakespeare di “Misura per Misura”:“E chi vuoi che ti creda, Isabella? Il mio nome e il posto che occupo nello Stato avranno un peso maggiore di quello della tua accusa. Tutto quello che dirai avrà il sapore di calunnia (…) Dì pure in giro tutto quello che credi. La mia menzogna avrà più peso della tua verità”. Con questo non s’intende sostenere che le tesi di chi nega la gravità del cambiamento climatico non siano degne di attenzione. Non è l’oggetto di questo articolo. Riteniamo però che sia importante riflettere sul modo in cui l’informazione viene offerta, e che vi sia un modo corretto e uno scorretto di farlo.

IL CLIMA DELLA FREAKONOMICS

La recente uscita negli Stati Uniti di Superfreakonomics di Steven Levitt e Stephen Dubner ha acceso un dibattito surriscaldato, è proprio il caso di dirlo, per un capitolo dedicato al global warming. (1)L’importanza che può avere l’informazione nella divulgazione scientifica si intuisce già indagando la natura intima del successo del primo volume, Freakonomics: un giornalista affermato e un geniale economista, curiosamente insieme per un’avventura editoriale senza precedenti. (2) L’apparente controsenso, o trade off per dirla con la retorica economista, ha un suo fascino: da un lato l’urgenza, e spesso l’approssimazione, di chi vive di notizie e di sintesi inevitabili; dall’altro il rigore metodologico e la pignoleria, almeno quella di chi anela a una robusta e significativa analisi su una qualsiasi questione. L’esito di Freakonomics fu, per gli autori, eccellente: oltre un milione di copie vendute nei soli Stati Uniti e quattro milioni nel mondo. Il successo del primo libro dà enorme risonanza alla parola di Levitt e il dibattito che si è scatenato sul capitolo concernente il cambiamento climatico del secondo volume, lo conferma. Proprio laddove il peso specifico della parola è elevato, occorrerebbe usarla con misura. Invece, ciò sembra non accadere. In effetti, il capitolo sul clima è molto “freak”, per usare l’aggettivo che tanto piace agli autori. Il testo è orientato a una leggerezza espressiva di fondo, a tratti romanzante, che certamente felice sul piano stilistico, lo è molto meno su quello dei contenuti. La ricerca dell’originalità sembra prevalere sulla sostanza dei contenuti. L’artificio comunicativo utilizzato è, a tratti, una forma equivoca di simil-romanzo. Levitt e Dubner mettono in scena personaggi realmente esistenti a cui danno la parola. In definitiva, gli autori raccontano una storia che ha come oggetto il clima, lasciando ai personaggi la possibilità di esprimersi. In tal senso, l’anima giornalistica prevale su quella scientifica, soprattutto se il giornalista-economista non approfondisce il dato o l’argomentazione addotta dai personaggi. Probabilmente, Intellectual Ventures (IV) – “an invention company” – e il suo leader, Nathan Myhrvold, sono i personaggi centrali del capitolo. Come esempi del loro argomentare, citiamo la critica di Myhrvold all’energia solare: “The problem with solar cells is that they’re black, because they are designed to absorb light from the sun. But only about 12 percent gets turned into electricity, and the rest is reradiated as heat – which contributes to global warming”.(3) Tale affermazione, il cui contenuto è certamente assai radicale, è proposta in forma apodittica, senza ulteriore discussione. In verità, come Raymond Pierrehumbert dell’università di Chicago ha mostrato, la tesi di Myhrvold non è affatto condivisibile o, quantomeno, si espone a numerose critiche. (4) Di queste non vi è traccia in Superfreakonomics, e ciò non è bene, soprattutto considerando che il volume si rivolge anche a un pubblico di non esperti, potenzialmente a milioni di lettori.Di tenore simile, un’altra frase: “(…) what people don’t know, the IV scientists say, is that the carbon dioxide level some million years ago – back when our mammalian ancestors were evolving – was at least 1,000 parts per milion. In fact, that is the concentration of carbon dioxide you regularly breathe if you work in a new energy-efficient office building”. (5) L’affermazione non è seguita da approfondimenti e ciò può indurre il lettore a pensare che se il livello di concentrazione salisse a 600-700 ppm non sarebbe un problema e che, dunque, l’obiettivo di stabilizzare la concentrazione a 450 o 500 rappresenti un’assurdità.

AUTORITÀ CONTRO AUTORITÀ

Non è questa la sede per una disamina punto per punto delle tesi di Superfreakonomics. Quello che ci interessa, qui, notare, è il ruolo appunto delle strategie di comunicazione: Levitt agisce come Leviatano totemico dei negazionisti e viene citato come auctoritas. E dall’altra parte, per tutta risposta, non rimane che ribattere con la stessa moneta, come mostra la vibrante lettera di critica scritta dal premio Nobel Paul Krugman sul New York Times. (6) Autorità contro autorità: è una sfida epistemologica all’ultimo working paper. E ovviamente tutto si muove e tutto si schiera: i sostenitori dell’uno e dell’altro campo affilano o spuntano le armi, a seconda dei casi. Una volta i pirati corsari combattevano per l’esercito di Sua Maestà britannica cercando di scoprire i segreti della marina nemica: oggi gli hacker irrompono sui computer della University of East Anglia per smascherare il presunto data tuning operato dai climatologi.
Purtroppo, la battaglia sulla comunicazione, per quanto affascinante, divora tempo in un contesto nel quale il tempo è un bene assai scarso. Non ci pare il caso di cedere a visioni apocalittiche. L’elezione di Barack Obama, lo scorso anno, mostra quanto le capacità evocative della comunicazione in rete possano oggi, modificare la realtà e intervenire su di essa. Quanto agli scienziati, al di là del potere di amplificazione dei media, ci pare quanto mai attuale il richiamo all’onestà intellettuale e al rigore, senza la tentazione facile della semplificazione del principio di auctoritas che, spesso, diventa sostegno ideologico di chi poco sa e molto dice. Quando si nasconde la verità, o si cerca di farlo, le biblioteche bruciano per il nome di una rosa. Per citare Galileo: “Parmi d’aver per lunghe esperienze osservato tale essere la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all’incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento e irresoluto al sentenziare circa qualche novità”.

(1) Steven Levitt and Stephen J. Dubner (2009). Superfreakonomics, William Morrow/HarperCollins.
(2) Steven Levitt and Stephen J. Dubner (2005). Freakonomics: A Rogue Economist Explores the Hidden Side of Everything, William Morrow/HarperCollins.
(3) “Il problema delle celle solari è che sono nere perché sono pensate per assorbire la luce solare. Ma solo il 12 per cento si trasforma in elettricità, il resto è re-irradiate come calore, il che contribuisce al riscaldamento globale”.
(4) Si veda “An open letter to Steve Levitt”, in http://www.realclimate.org/index.php/archives/2009/10/an-open-letter-to-steve-levitt/. E http://www.ucsusa.org/global_warming/science_and_impacts/global_warming_contrarians/book-superfreakonomics.html
(5) “Quello che la gente non sa, dicono gli scienziati di IV, è che il livello di biossido di carbonio era almeno di 1.000 parti per milione alcuni milioni di anni fa, allorquando i nostri avi mammiferi si evolvevano. Anzi, è la stessa concentrazione di biossido di carbonio che si respira normalmente lavorando nei nuovi edifici a efficienza energetica”.
(6) http://krugman.blogs.nytimes.com/2009/10/17/superfreakonomics-on-climate-part-1/

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UNA NUOVA GOVERNANCE PER GLI ATENEI. MA QUALE?

  1. Mario Alemi

    Quindi chi solleva critiche, e non del tenore di Superfreakonomics, al paradigma del Global Warming e` un "negazionista", da paragonare a chi nega l’olocausto e altri simili crimini. Andiamo bene. Paul Reiter (una sua lettera all’Economist), professore al Pasteur Institute, o Freeman Dyson e altri scienziati… son tutti "negazionisti". Le parole sono importanti, e uno scienziato che tacci di "negazionista" chi osa contaddirlo o mettere in dubbio la sua tesi fa pensare che le biblioteche bruciate non siano quelle di chi grida la fine prossima e certa del pianeta. Per la cronaca, Galileo non si trovava d’accordo con il paradigma dominante. Non lo paragonerei ad un ur-Phil Jones, che certo ha avuto la possibilita` di dire quello che voleva, e di ricevevere sostanziosi finanziamenti. Saluti

  2. DDPP

    Gentili Autori, sono ormai parecchi anni che nessuno affronta il problema che determina l’attuale situazione ambientale o, in ogni caso, ne costituisce la principale causa. Mi riferisco alla curva di incremento demografico. Dopo il congresso mondiale sulla sovrapopolazione del 1989 a Bucarest, l’argomento ha smesso di esistere. Durante quel congresso si verificò l’alleanza tra paesi totalitari, paesi terzomondisti e movimenti religiosi, cattolici ed islamici. Le Nazioni Unite recepirono i motivi votati nel congresso e la crescita demografica divenne un tabù. Mi sono sempre chiesto come sia possibile affrontare e discutere dei problemi ambientali in modo intellettualmente onesto senza contare (fare di conto) quanto ogni nuovo nato inciderà sull’equilibrio ambientale. ddpp

  3. savio

    La tesi di Mhyrvold non è nuova. Vi sono importanti premi nobel – ad es. Kary Mullis – che hanno spiegato che i cicli solari sono molto piu’ influenti sul clima dell’attività dell’uomo (a meno che non vogliate considerare gli uomini della stessa importanza del sole, energeticamente). Mullis dice che siamo fortunati a poter uscire in terrazzo la sera perchè viviamo tra due ere interglaciali, la norma è l’era glaciale. Il solare è diventato un business facile perche’ assistito dai governi. Serve forse ai professionisti dell’apocalittico, cioe’ a chi guadagna dall’industria dell’apocalittico.

  4. marco

    Condivido quanto espresso da DDPP e Alemi. Mi pare che le tesi dell’IPCC debbano essere suffragate da prove serie e non da trucchetti statistici (vedi articolo). Il rapporto dell’NIPCC contrappone argomentazioni valide almeno quanto quelle dell’IPCC ed è stato sottoscritto da molte migliaia di scienziati veri, non coinvolti con la politica. E’ indispensabile che anche da noi si leggano le tesi pro e contro di fenomeni come l’AGW prima di buttare via risorse immense che potrebbero essere usate per mitigare i possibili effetti di un Global Warming forse causato da cicli solari, eruzioni vulcaniche, mutamenti nelle correnti oceaniche, ecc. Meglio ancora usare le risorse per pianificare uno sviluppo razionale della popolazione umana prima di ritrovarci con 20 miliardi di abitanti e per diminuire il consumo di risorse non rinnovabili.

  5. claudio giusti

    Il problema è che nessuno ha spiegato come sia stato possibile avere cambiamenti climatici così importanti e veloci negli ultimi 3.000 anni.

  6. marco

    Diciamo tutta la verità: non è solo un problema di credere che sia vero che l’inquinamento umano sta cambiando gli equilibri naturali, è un problema di onestà intellettuale e per essere onesti bisogna rispondere a questa semplice domanda: chi comanda il grande gioco dell’energia? Per produrre l’enegia che serve per tutte le attività umane, si bruciano combustibili fossili e si produce CO2. Chi controlla la produzione e la vendita di combustibili fossili? Paesi Arabi e aziende petrolifere americane. Pochi che controllano tutto e tutti, presidende USA compreso, tanto da dettarne l’agenda politica: Bush insegna, e Obama conferma, vedi Copenaghen. A prescindere dalla riduzione del livello di CO2 e temperatura che ne deriverebbe, il passagio a fonti alternative eviterebbe la dipendenza dai produttori e sopratutto dai continui sussulti nei prezzi dei prodotti energetici rendendo molte nazioni, Italia per prima, più libere e indipendenti nelle decisioni. Non è solo una questione di aria pulita e di futuro dei nostri figli e nipoti, è soprattutto una questione di $, di tanti $ a cui nessuno, per ora, vuole rinunciare.

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