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FEDERALISMO DEMANIALE À LA CARTE

Uno schema di decreto legislativo fissa i principi generali e le procedure per regolare il trasferimento di parti del patrimonio immobiliare dello Stato a favore degli enti territoriali. Proprio il procedimento lascia perplessi. Il risultato non sarebbe una devoluzione del patrimonio statale tra diversi livelli di governo sulla base di criteri economici di pertinenza dei beni alle funzioni attribuite agli enti decentrati, ma un’allocazione basata su puri criteri di profittabilità, che lascerebbe allo Stato i beni di minor valore commerciale.

 

Evviva! È nato il primo figlio della riforma sul federalismo fiscale e si chiama federalismo demaniale. Il relativo schema di decreto legislativo, approvato prima di Natale dal Consiglio dei ministri, fissa i principi generali e le procedure per regolare il trasferimento di parti del patrimonio immobiliare dello Stato a favore degli enti territoriali.
 
LA DOPPIA SCELTA
 
La motivazione di questa operazione è duplice. Da un lato, molti beni immobili attualmente statali sono male amministrati e impiegati dallo Stato. Sotto l’assunto che gli enti territoriali siano in grado di gestire e di valorizzare meglio una parte di questi immobili pubblici è allora conveniente decentrarne la proprietà: un “federalismo di valorizzazione” dice la relazione illustrativa del decreto. Dall’altro lato, via via che si decentrano le funzioni pubbliche a favore di Regioni ed enti locali, è opportuno trasferire anche gli strumenti per la loro attuazione e tra questi strumenti, oltre ovviamente alle risorse finanziarie (imposte), rientra anche parte del capitale fisico, come sono i beni immobiliari, oggi dello Stato.
È la procedura prevista per realizzare il trasferimento che lascia perplessi. Il procedimento di attribuzione dei beni immobiliari statali si articola in due fasi.
1) la prima in cui lo Stato (forse) sceglie cosa potenzialmente attribuire agli enti decentrati
2) la seconda in cui gli enti decentrati selezionano da questo elenco, determinato dallo Stato, cosa farsi effettivamente attribuire.
La prima fase, tuttavia, non è del tutto chiara nelle sue effettive modalità di applicazione. Si prevede infatti un doppio binario per individuare i beni immobili oggetto di trasferimento. Da un lato viene fissata una serie di principi generali che dovrebbero guidare la selezione dei beni trasferibili (sussidiarietà, adeguatezza e territorialità; semplificazione; capacità finanziaria; correlazione con competenze e funzioni; valorizzazione ambientale) e che sono coerenti con i principi posti dalla legge delega sul federalismo fiscale.
Dall’altro lato, i beni immobili da trasferire vengono direttamente identificati per specifiche categorie: tutti i beni attualmente inclusi nel demanio marittimo (le spiagge e i porti di interesse regionale) e nel demanio idrico (i fiumi, i laghi), tutti gli aeroporti di interesse regionale, tutte le miniere, tutte le aree e i fabbricati statali (ad esclusione di alcune sottocategorie specificamente previste come gli immobili appartenenti al patrimonio culturale). Tutte queste tipologie di beni entrano dunque per default nell’operazione di trasferimento. Se poi nell’ambito di queste categorie, un’amministrazione dello Stato ritiene che un certo immobile debba essere trattenuto, dovrà comunicarne esplicitamente l’esclusione e questa decisione dovrà essere adeguatamente motivata e resa pubblica.
Inizia poi una seconda fase: l’elenco di beni trasferibili viene proposto, almeno per quanto riguarda le aree e i fabbricati statali, dallo Stato agli enti territoriali. Comuni, province e Regioni possono scegliere quali specifici beni farsi effettivamente attribuire e questa attribuzione è comunque a titolo non oneroso. L’unico costo effettivo (e immediato) per l’ente territoriale che acquisisce l’immobile consisterebbe nella riduzione delle risorse finanziarie che in via ordinaria gli sono oggi attribuite (via trasferimenti dallo Stato) nella misura pari ai mancati introiti (soprattutto canoni di locazione) sofferti dallo Stato a causa della cessione dell’immobile.
 
BENI E FUNZIONI
 
Ci sono diversi aspetti critici del decreto messi in luce da vari osservatori, quali il rischio che le amministrazioni locali non siano in realtà gestori molto migliori dello Stato e che talvolta siano in realtà più esposte a interessi speculativi. Oppure la possibilità prevista dalla norma di attribuire i beni immobili direttamente a fondi immobiliari costituiti da enti territoriali, ma a cui possono partecipare anche soggetti privati, il che esporrebbe al rischio di una svendita del patrimonio immobiliare pubblico. Qui tuttavia si vuole focalizzare l’attenzione sul disegno generale della procedura di trasferimento dei beni immobiliari e sulla sua coerenza con la logica del federalismo fiscale. Come arriverà effettivamente lo Stato a stilare l’elenco dei beni immobili potenzialmente attribuibili agli enti decentrati? Sulla base dei criteri generali sopra richiamati? Oppure prenderà semplicemente tutti i beni delle categorie previste (demanio marittimo, idrico, eccetera) con le eccezioni fatte esplicitamente valere (ma adeguatamente motivate) da parte delle varie amministrazioni statali? A seconda della scelta che verrà fatta, i gradi di libertà riconosciuti allo Stato per selezionare gli immobili da cedere sono ovviamente differenti.
Il fatto che gli enti decentrati possano liberamente scegliere cosa vedersi attribuito a partire dall’elenco statale li porterà naturalmente a selezionare solo quei beni su cui esistono più solide prospettive di valorizzazione in termini reddituali, tenendo conto della riduzione dei trasferimenti per i mancati introiti statali di cui si è accennato. Di converso, rimarrebbero allo Stato gli immobili che per le loro caratteristiche di “bene pubblico” possono con maggiore difficoltà essere messi a reddito. D’altra parte, gli enti territoriali potrebbero avere forti incentivi ad acquisire immobili non direttamente collegati alle proprie funzioni e che neppure hanno prospettive immediate di essere messi a reddito, ma che possono risultare attraenti per una loro futura alienazione sul mercato: per esempio con le varianti urbanistiche i comuni possono ricavare da una caserma inutilizzata oggi statale un’area residenziale da alienare. Infatti l’unico freno finanziario a queste operazioni di acquisizione sarebbe la riduzione delle risorse attribuite via trasferimenti e che appare assai contenuta: al massimo 140 milioni di euro secondo la stima della relazione tecnica.
Certamente l’attribuzione dei beni immobiliari dello Stato deve derivare da un accordo tra i livelli di governo coinvolti ma è dubbio che il modo più adeguato per arrivarvi sia quello prospettato nello schema del decreto. Il risultato di questo federalismo demaniale “à la carte” sarebbe non tanto una devoluzione dell’attuale patrimonio immobiliare dello Stato tra diversi livelli di governo sulla base di criteri economici di pertinenza dei beni alle funzioni attribuite agli enti decentrati, quanto un’allocazione basata su puri criteri di profittabilità che lascerebbe allo Stato i beni di minor valore commerciale.
Inoltre, data questa procedura di attribuzione “in due fasi”, cosa accade quando governi di livelli differenti (una Regione e una provincia, o un grosso comune) oppure governi dello stesso livello richiedano l’attribuzione di un medesimo bene. Si pensi a quei beni che hanno forti esternalità territoriali generando benefici che vanno al di là dei confini di una sola giurisdizione?

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  1. Lucia Vergano

    Purtroppo, mi pare che anche il federalismo demaniale proposto dal legislatore possa essere interpretato come ennesima manifestazione di una profonda incapacita politica di rispettare e valorizzare l’immenso patrimonio artistico e naturale di cui dispone il nostro paese. Progioniera di un’ottica di breve quando non di brevissimo periodo, la nostra classe dirigente si limita a disporre di tale patrimonio al fine di soddisfare le esigenze contabili piu contingenti, esponendolo al rischio di essere dissipato. Probabilmente, il ventilato ridimensionamento dello studio della geografia nei programmi scolastici, oltre al tradizionale ridottissimo studio della storia dell’arte, non credo contribuiranno a formare futuri cittadini piu attenti e consapevoli dell’immenso patrimonio culturale di cui disponiamo.

  2. Anna Paschero

    Lesivo dell’art. 19 della Legge delega, lo schema prevede il trasferimento secondo il solo principio della territorialità, ovvero senza che siano stati definite competenze e capacità finanziaria dei singoli livelli di governo locale. Il rischio è quello diffuso di depauperamento del patrimonio pubblico, di massacro del territorio, di conflittualità tra i diversi livelli di governo locale, di totale disattenzione alle competenze regionali sui territori, di scarico di contenzioso presente sui cespiti immobiliari da trasferire. Come si concilia questa misura con l’attuale difficoltà dei comuni a farsi carico di ulteriori spese per effetto dei limiti imposti dal Patto Interno di stabilità e a fare i conti con la diminuzione di trasferimenti in misura pari alle entrate "previste" nel bilancio statale derivanti dall’utilizzo dei beni? Film già visto con la destinazione degli oneri di urbanizzazione al finanziamento di spese correnti: varianti urbanistiche e assalto del territorio per finanziare i servizi locali.

  3. Federico Savini

    Il federalismo territoriale sembra ancora una volta prendere la forma di un puzzle nel quale i pezzi vengono assemblati senza una cornice ben fatta e senza un programma chiaro e lineare. In questo senso il federalismo demaniale sembra avere effetti tutt’altro che positivi su un progetto di riforma complesso e controverso. Mi chiedo quale sia la logica di un provvedimento tale in questa fase del processo. Estendendo un po’ il raggio d’azione dell’articolo, mi chiedo inoltre se il provvedimento abbia effetti anche sui beni confiscati alla criminalità organizzata, attualmente di proprietà dell’Agenzia del Demanio, e su quelli la cui gestione è a rischio di infiltrazioni. Sotto questo aspetto, la definizione dei criteri di cessione sembra essere tanto cruciale quanto opaca.

  4. xxx

    L’ennesima legge per fare arricchire politici e imprenditori!

  5. ginolino

    Da un lato ci sono i vari Di Pietro che vorrebbero cacciare Bertolaso, con a fianco Bersani che non sa che cosa dire e aggrotta le ciglia, dall’altro lato ci sono le popolazioni dei luoghi alluvionati e franati che invocano l’intervento di Bertolaso, con la fiducia e il fervore con cui si invoca Sant’Antonio. Ecco il tema sviscerato in questo articolo.

  6. Giancarlo Labalino

    Non è che che la gente non dorme di notte se un palazzo invece di essere dello Stato è della Regione.

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