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PIIGS, PORCI CON LE ALI

Se per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna valessero gli stessi criteri usati per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, sarebbero tutti indicati a rischio default. Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. Verosimilmente per l’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari e a linee di credito intergovernative, per le banche centrali nazionali all’interno dell’euro-sistema e l’assenza di recenti episodi di insolvenza. Ma fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?

 

Quanto è alto il rischio d’insolvenza per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, i paesi più indebitati dell’euro, noti con il dispregiativo acronimo di “maiali”, Piigs, che invece io chiamerò Gipsi? (1)
I timori dei mercati finanziari si riflettono sui differenziali d’interesse pagati sul debito di questi stati rispetto ai titoli a tedeschi (aumentati fino a 350 punti base per Grecia, e oltre i 150 punti per Irlanda), sui premi per assicurarsi contro l’insolvenza di questi stati, i famosi spread dei Cds, sull’euro, indebolitosi rispetto al dollaro di oltre il 9 per cento rispetto a dicembre, e sui mercati azionari, dove sono prese di mira soprattutto banche esposte nei confronti dei governi. Sono fondati questi timori?

CRISI DEL 1992

L’esperienza europea del recente passato non ci aiuta molto: nella crisi europea più vicina, quella valutaria del 1992, gli attacchi speculativi contro le valute “deboli” portarono all’uscita di lira, sterlina, peseta e corona svedese dal meccanismo di parità fisse. Ma fu proprio grazie alla svalutazione che questi paesi riuscirono a sollevarsi dalla recessione. Oggi l’euro rende questa strada impercorribile: il debito degli stati è denominato in euro, e dunque il ritorno a una moneta nazionale, svalutata, porterebbe diritto all’insolvenza.

DEFAULT NEI PAESI EMERGENTI E GIPSI

Più interessante è il confronto con le crisi d’insolvenza dei paesi emergenti. Semplificando, possiamo classificare le crisi in tre diverse tipologie: crisi di solvibilità (segnalate da un elevato rapporto tra debito estero e Pil, e da un elevato rapporto tra debito pubblico verso l’estero ed entrate fiscali); crisi di liquidità, dovute alla concentrazione dei rimborsi nel breve termine (e segnalate da un elevato rapporto tra necessità di finanziamento a breve, debito a breve e partite correnti, rispetto alle riserve ufficiali; crisi “macro-tasso di cambio”, anticipate dalla forte caduta della crescita in presenza di un cambio sopravvalutato in termini reali.
La tabella 1 mostra gli indicatori di vulnerabilità per i Gipsi nel 2009. Gli squilibri sono macroscopici. Il caso dell’Irlanda è il più grave, perché somma tutti e tre i problemi, solvibilità, liquidità e recessione con cambio sopravvalutato. Il debito estero irlandese è pari a nove volte (!) il Pil, quello pubblico (sull’estero) è oltre il doppio delle entrate, le riserve della Banca d’Irlanda coprono solo un 460mo (!) del debito a breve, il cambio reale si è apprezzato del 13 per cento dal 2005 e il Pil è crollato del 7,5 per cento nel 2009. Il caso dell’Italia è quello meno grave. Si noti che gli squilibri fiscali, certamente un fattore di rischio per tutti i paesi, sono dovuti in larga misura alla recessione. Ad esempio, la Spagna nel 2007 aveva un surplus di bilancio, pari circa all’2 per cento del Pil, mentre nel 2009 si ritrova con un deficit balzato al 12 per cento.
Insomma, se (e sottolineo il se) valessero per i Gipsi gli stessi criteri che si usano per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, andrebbero tutti classificati a rischio di default (probabilità di crisi nel 2010 pari al 47 per cento). (2)
Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. L’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari, alle linee di credito intergovernative, l’appartenenza delle banche centrali nazionali all’euro-sistema, l’assenza di recenti episodi di default, sono verosimilmente tra i fattori che più spiegano queste differenze. Rimane il dubbio: fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?

Tabella 1: Indicatori di vulnerabilità

1) Fonte: IMF Joint external debt hub, IMF (Data template on international reserves and foreign currency liquidity), IMF (World economic outlook database).
2) Fonte: EIU
Elaborazioni di Barbara Masi, Università Bocconi

(1) Nella sigla originale, Pigs indicava i paesi del Mediterraneo: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Si veda http://it.wikipedia.org/wiki/PIGS. Poi, per nostra fortuna, ci è subentrata l’Irlanda, ma oggi si trova spesso l’acronimo Piigs.
(2) Questo numero si ottiene applicandole “regole del pollice” descritte nel modello P. Manasse e N. Roubini, “Rule of Thumb for Sovereign Debt Crises”, Journal of International Economics, (2009), Si veda in particolare la figura 1.

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39 commenti

  1. igor minati

    Sarà ceramente cura degli organismi internazionali sanare o coprire le difficoltà del ventre molle della finanza occidentale. I pigs sono solo la manifestazione ennesima dell’insostenibilità di un PIL costruito sui debiti. Debiti in seno a tutte le grandi economie a partire dalla più grande in assoluto, quella americana. Sarebbe davvero da sfregarsi gli occhi se assistessimo ad un default, d’altra parte, per salvare l’Islanda di turno non ci vuole molto, solo un po’ di soldi, presi a prestito ovviamente.

    • La redazione

      In linea di principio, prendere a prestito non è un male, se serve a finanziare scarsità di capitali e crescita. Rimane il fatto che debiti si devono pagare ( o si viene dichiarati insolventi).

  2. mirco

    I mercati sanno benissimo che l’Europa messa alle strette interverrà sicuramente per salvare gli stati dell’eurogruppo deboli. E’ solo speculazione! Se solo volessimo come europei basterebbe una tassa europea, l’introduzione ad esempio di una percentuale dell’attuale incasso Iva dei paesi dell’euro, senza per questo aumentare le aliquote, modulando questa percentuale in base al deficit di ogni paese, ( esempio, Grecia 5% dell’incaso della sua Iva, Germania 0,5 della sua Iva ecc) tenedo conto anche della dimensione di ciasuna economia ecc. per creare un fondo europeo di intervento gestito dalla Bce o altre istituzioni, che potrebbe servire a garanzia di emissione di titoli europei ecc. Le modalità e le soluzioni si troverebbero e l’euro tornerebbe forte.

    • La redazione

      Il solo debito a breve dei cinque GIPSI rappresenta il 25% del PIL dei 16 paesi dell’Euro: per questo temo, in disaccordo con lei, che ci sarebbero grossi problemi nel caso di una crisi che contagiasse tutti i GIPSI.

  3. giancarlo c

    Credo che sarebbe ora di devolvere parte della politica fiscale degli stati della ZonaEuro a un organismo rappresentativo dei 16 (o addirittura di tutta l’UE). In ogni caso, sarebbe interessante avere gli stessi dati riportati solo per i PIIGS relativamente alle situazioni di USA, Cina e ZonaEuro…

    • La redazione

      La debolezza strutturale dell’Europa sta proprio nella mancanza di una politica fiscale federale e dunque nell’impossibilità di compensare squilibri tra i singoli Stati. Gli USA sono messi piuttosto male quanto a debito estero, deficit e debito, probabilmente peggio dell’insieme dell’Europa. Autorevoli commentatori hanno pronosticato un probabile declassamento del rating del debito USA. Il confronto però è difficile, perché non si può sommare in modo convincente il debito greco e quello tedesco (mele e pere). I problemi della Cina ci sono ma sono alquanto diversi…

  4. giampiero Biagioni

    Gradirei se possibile avere una visione piùi allargata della vera posizione del totale dei paesi, per una esatta comparazione, dato che la differente posizione fra i “PIIGS” e l’Italia è enorme. Saluti

  5. Luigi S.

    Sarà una questione marginale ma non vi dà fastidio l’uso di questo acronimo, “maiali”, per indicare dei paesi (e i loro abitanti)? A me darebbe fastidio anche non si trattasse dell’Italia (come fa finta il sole 24 ore, dove c’è una i sola, ed è l’irlanda). Se poi si considera che viene da quei campioni di austerità che sono le banche d’affari anglosassoni …mi sembra che anche così mostriate il fianco alle critche dei neocolbertiani i casa nostra. Un lettore di Krugman (che mi sembra abbia abbandonato l’acronimo) gli ha scritto: ” I´m surprise to find the New York Times blogger using PIIGS, a term that is widely consider a racial/religious slur (Yes, really, google “Mediterranean Pig Slur”)”. Cordiali saluti

    • La redazione

      Sono d’accordo, è un orribile acronimo dal sapore vagamente razzista.

  6. Ettore Panetti

    Sarei curioso di confrontare questi dati con quelli di Paesi che hanno dichiarato default negli ultimi venti anni (Argentina, per esempio), e anche con la situazione attuale di UK, Giappone e Stati Uniti.

  7. luis

    Non credo che gli euro-porcelli potranno volare a lungo. Il baricentro economico mondiale si sta spostando a velocità sempre più forte ad oriente. E’ iniziata la grande redistribuzione globale e la decadenza dell’Europa mediterranea sembra irreversibile. Il caso Italia, prima o poi, esploderà.

  8. sergio graziosi

    Come “quasi” tutti sanno l’Italia non appartiene più ai PIGS (fra tutti il Sole24ore, 4 febbraio 2010). Ora, non mi spinge l’orgoglio nazionale (non è proprio il caso), ma piutttosto che pubblicare un articolo datato non era meglio esaminare quali sono i motivi che hanno determinato l’uscita dell’Italia dal gruppo dei porcelli? Due obiettivi in uno, corretta informazione ed attualità. Grazie e cordiali saluti

  9. Lino Fazio

    Credo di essere ciò che di più lontano possa essere paragonato ad un economista: comunque mi vien voglia, utilizzando alcuni dati mutuati dal Prof. Boeri, di esporre una mia personalissima sensazione. La Spagna si trova in quelle condizioni, che non mi sembrano tanto peggiori delle nostre, perchè ha attivato uno stato sociale che da noi i nostri governanti hanno velocemente provveduto a smantellare le già misere stampelle che si erano create a favore dei lavoratori. Credo che l’Italia potrebbe essere la nazione più ricca del mondo: se si recuperassero le tasse evase, se ai tribunali venisse concesso di recuperare le somme per spese di giustizia mai riscosse, se si avesse veramente voglia di combattere le mafie, se al Vaticano non fossero date più vagonate di euro e, infine, se avessimo dei politici e una classe dirigente più oculata nelle spese e nelle prebende oltre che una classe di imprenditori maneggioni (non tutti, ma buona parte). Allora temo che diventeremmo la nazione più ricca del mondo. Ma se mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe stato un carretto. Lino Fazio

    • La redazione

      In sintesi, sono d’accordo con lei (a Milano si dice: se mio nonno avesse il troller, sarebbe un tramvai).

  10. Umberto Zorzi

    Il termine e’ molto offensivo ed e’ vietato nel Financial Times e alla BBC. Mi chiedo come possa essere permesso qui. A parte questo sarebbe bene ricordare che paesi che si credono superiori sono messi ben peggio. La situazione inglese e’ ad esempio drammatica e allarmante. Non fanno parte dell’area Euro ma rischiano il default molto piu’ dell’Italia e della Spagna. L’articolo e’ approssimativo e fuorviante nel senso che fa credere che questi siano i paesi con i peggiori indicatori macroeconomici in Europa. Ci sono molti altri Stati ben piu’ instabili dell’Italia. Perche’ l’articolo non lo ha ricordato?

    • La redazione

      Come ho già detto, concordo nel ritenere dispregiativo e vagamente razzista il termine PIIGS, ragione per cui ho coniato un acronimo diverso. La situazione inglese non è paragonabile a quella dei paesi considerati perchè, non facendo parte dell’Euro, il Regno Unito ha l’opzione di svalutare nei confronti dell’euro, senza causare rischi "sistemici" alla stabilità della moneta unica. E’ vero che i paesi mediterranei + Irlanda non sono i soli ad avere problemi, ma sono tra i più vulnerabili. L’italia, come risulta dall’articolo, è in una situazione migliore rispetto agli altri, pur avendo elevata vulnerabilità a causa della crescita bassa e del debito elevato.

  11. Mauro Piermaria

    Mentre credo che per quanto riguarda la solvibilità e i parametri di crescita economica l’Italia sia purtroppo pressoché allineata con gli altri paesi del gruppo Gipsi (meglio dell’altro acronimo), penso che per essi il fattore critico, in questa fase economica, sia la possibile crisi di liquidità. In particolare, mentre lo stock del debito a breve termine, in termini assoluti risulta essere dello stesso ordine di grandezza (tra i 750B$ e 800B$ per Italia, Spagna e Grecia e sopra i 900B$ per Irlanda, dai dati IMF), ciò che può fare la differenza è il totale delle riserve monetarie e auree che per l’Italia ha un valore notevolmente superiore rispetto agli altri paesi, circa 140B$, invece degli scarsi 2B$ dell’Irlanda, dei 5,5B$ della Grecia e dei 28B$ della Spagna (sempre secondo dati IMF), forse merito di una politica prudente della nostra Banca centrale.

    • La redazione

      Se le nostre riserve sono più elevate che altrove, lo si deve al fatto che la situazione dei nostri conti con l’estero non ha mostrato persistenti passivi come nei paesi da lei citati. Il merito va dunque condiviso con le imprese ed i consumatori. Poiché le Banche Centrali dei paesi dell’Euro fanno parte del’ Euro-Sistema, la vulnerabilità alle crisi di liquidità andrebbe considerata tenendo conto non solo delle disponibilità delle singole banche centrali, ma anche valutando le linee di credito (cioè le riserve) della BCE.

  12. alessio

    La crisi deriva dall’aumento esponenziale delle disuguaglianze cresciute a dismisura negli ultimi 30 anni. La principale leva è stata la politica economica di liberismo selvaggio e quella fiscale improntata ad una sempre maggiore regressività. Da Reagan a Bush figlio passando per la Thatcher e, riferito a casa nostra, Tremonti. Il calo del reddito disponibile è stato coperto con l’indebitamento privato, il che ha permesso a tanti cittadini nonostante, appunto, il calo del reddito di mantere lo stesso tenore a cui si era ormai abituati da anni. Insomma, si è vissuti sopra le proprie possibilità per troppo tempo e questo con lo sfruttamento a basso costo della manodopera cinese o del petrolio arabo. Adesso questi paesi ci presentano il conto. Pensare di continuare a vivere bene lavorando poco, non producendo niente, non scoprendo più niente è irrealistico. O ci rimettiamo a correre (che non vuol dire tornare a lavorare 18 ore al giorno), e torniamo ad investire sulla scuola, sullo studio, sulla ricerca e lo sviluppo e torniamo a premiare il lavoro e la produzione tassando a sangue la rendita o presto saremo noi il terzo mondo.

    • La redazione

      Non condivido le sue premesse, ma condivido molte delle sue conclusioni. L’aumento delle diseguaglianze nel mondo non è tanto dovuto a Reagan, Bush e Tremonti, ma soprattutto alle innovazioni tecnologiche. La manodopera cinese non è stata sfruttata dagli occidentali, ma ha consentito alla Cina di raggiungere livelli di benessere impensabili nella generazione precedente (e agli Stati Uniti di vivere temporaneamente sopra i propri mezzi). L’unica strada che i paesi sviluppati hanno per non arretrare è investire in nuove tecnologie e far crescere la produttività, qui concordo. Purtroppo non è facile tassare i capitali, perché fuggono..

  13. carlo

    ..poco, ancora per poco tempo… guardate qua.

  14. pgdaviero

    Poiché lo stato si nutre dalla ricchezza dei suoi abitanti, che sono di fatto i suoi sostenitori economici, è evidente che il debitore stato è tanto piu solvibile tanto maggiore è la ricchezza del paese. Ecco perchè l’Italia ha sempre potuto onorare il suo debito.

    • La redazione

      Per ripagare il debito, in particolare quello con l’estero, lo Stato non può requisire più del reddito nazionale. Per questo dovrebbe suscitare molta preoccupazione la solvibilità di uno Stato il cui debito ecceda il PIL.

  15. Meryluise Astrologa

    Da febbraio 2009 e sopratutto in ottobre 2009 sto scrivendo sulla crisi, bene quali ricette? I dati a chi li sa leggere non dicono niente di nuovo a chi non li sa leggere ditegli come si esce dalla crisi. Chiedo venia ma sono scettica sugli scritti solo quando ormai la crisi è lapalissiana, troppo comodo, spero per voi che l’abbiate pronosticata prima avvertendo chi non aveva i mezzi per capirla.

    • La redazione

      L’articolo sostiene semplicemente la tesi che i paesi mediterranei più l’Irlanda si trovano in una situazione di oggettiva vulnerabilità, situazione che, per altri paesi non europei, ne avrebbe fatto classificare il debito come "spazzatura".

  16. ferdinando mussari

    In effeti il quadro che si delinea è molto chiaro. L’impostazione economica mediterranea, con uno stato-sociale forte, è il secondo elemento geoeconomico e in senso più ampio geopolitico a soccombere dopo la caduta del muro di Berlino. il meccanismo che si è innescato dall’89 in poi ha fatto si che le economie anglosassoni fossero quelle a maggior respiro e fossero le predominanti. Sono finiti i tempi facili di svalutazioni monetarie e gestioni leggere dello stato. Il modello da assumere è quello anglosassone e in questo modello l’Italia non può che peggiorare, perchè non si è culturalmente pronti.

    • La redazione

      Non credo che il problema sia il modello mediterraneo o anglosassone, più o meno stato etc. L’Irlanda è messa molto male, l’Inghilterra se la caverà solo perché è in grado di svalutare I paesi nordici come Svezia invece se la cavano molto bene. Il problema mediterraneo sta nella burocrazia inefficiente e nella specializzazione arretrata che inibiscono la crescita della produttività. Senza poter svalutare si soffre della globalizzazione etc. etc.

  17. marco

    Francamente trovo ridicolo questo dagli all’untore mediterraneo, quando il più pulito c’ha la rogna (come si dice dalle mie parti). E’ di questi giorni un diagramma di societè generale, dove mostra che i debiti on e off the sheet USA sono più del 500% del PIL, quelli UE di poco inferiori.

    • La redazione

      Ridicolo o meno, razionale o meno, i mercati finanziari concentrano selettivamente i loro timori su questo o quel paese, e quando capita non sono rose e fiori…

  18. néstor fabbri

    I mercati finanziari, in mano a privati e liberalizzati, vanno in crisi e chiedono l’intervento pubblico per non fallire. Gli Stati aprono il portafogli e tirano fuori tanti tanti soldini, indebitandosi fino al collo. Dopodiché i mercati finanziari iniziano a scommettere contro gli Stati che si sono indebitati fino al collo. Molte banche e fondi d’investimento suggeriscono ai governi indebitati la ricetta per far finire la speculazione: "tagliare" ad esempio le pensioni. Le pensioni pubbliche sarebbero rimpiazzate (almeno parzialmente) da quelle private, gestite magari proprio da quei fondi d’investimento che hanno contribuito a innescare la crisi finanziaria. Il cerchio si chiude. o no?

  19. Riccardo Russo

    L’Irlanda, visti i dati, sembra essere in condizioni persino peggiori della Grecia. Come mai non si e’ sentito parlare con insistenza del rischio default per l’Irlanda? Grazie per una risposta.

  20. stefano

    Mi pare che le dinamiche delle quotazioni dei BTP (lunghi) non risentano di queste catastrofiche ipotesi. I mercati sembrano premiare una presunta situazione differenziale dell’Italia rispetto agli altri porcelli.

  21. Giovanni Medioli

    Vediamo se ho capito bene. Al di là di ottimismi e pessimismi ci sono due problemi, uno di breve periodo: se l’euro non cede un po’ i porcellini (Italia più o meno compresa) se la passeranno di male in peggio. Un altro di medio (sul lungo, come diceva J.M.Keynes, saremo tutti morti) che gli stati devono investire sullo sviluppo. Sul primo mi pare che ci sia poco da fare nella situazione attuale. Sul secondo mi pare che neanche ci si stia (veramente) pensando, visto che il principale problema politico, almeno in questo paese, sembra essere la difesa dei rentiers a scapito del lavoro, a giudicare dalle politiche fiscali…

  22. salvo

    Il problema principale per l’italia è il debito pubblico. Fino a quando il denaro costerà relativamente poco non solo in Italia ma anche oltre pacifico non vedo grandi rischi, anche perché viene a meno l’effetto leva valutaria per l’export. I guai grossi ci saranno quando la Bce aumenterà i tassi d’interesse, allora i primi a pagare le conseguenze saremo proprio noi, per la montagna debitoria pubblica creata dai nostri dirigenti. Saremmo stretti in una spirale deficitaria insormontabile, forse allora si dovrebbe rivedere il patto di stabilità da parte dei burocrati europei.

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