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La risposta ai commenti

Rispondo ai gentili contributi dei lettori del mio post per condividere essenzialmente le osservazioni espresse. Attivare politiche di sviluppo a livello locale significa in effetti promuovere la sinergia tra strategie e interventi volti a raggiungere obiettivi condivisi tra più enti e portatori di interessi a livello locale.
E’ quindi naturale che premessa indispensabile alla realizzazione del processo sia l’’acquisizione della consapevolezza del problema, delle sue manifestazioni e quindi una individuazione delle possibili soluzioni.
E’’ vero come sottolinea la Sig.ra Daniela che tale consapevolezza non va data per scontata e che subiamo il retaggio di un sistema di welfare standardizzato che in parte ha inibito la capacità dei singoli e delle organizzazioni di vedere i problemi ed elaborare soluzioni e in parte ne ha spesso indotto una metabolizzazione o assuefazione per cui non si riconosce il problema dal momento che da troppo tempo ci si è abituati a risolverlo alla meno peggio e mi riferisco in particolare alla tendenza di madri e famiglie a sottovalutare il problema della lotta che, quotidianamente,  ciascuno di noi combatte contro il tempo e contro il portafoglio per conciliare i propri oneri di cura e di lavoro.
Ma i tempi cambiano e a volte è proprio l’’assenza preordinata di risposte e risorse che può modificare la domanda stessa. Ciò non significa che il bisogno non esistesse anche prima. Le donne oggi non sono più in grado, come lo sono state le loro madri e le loro nonne, di reggere il peso di un welfare deficitario che le considera ancora depositarie del senso di responsabilità e quindi deputate a prendersi cura degli altri ma nemmeno sono in grado di reggere il peso di un sistema economico che le vuole presenti, disponibili, competitive e flessibili.
Le donne, appunto, sono ancora poco capaci di rappresentarsi ed essere rappresentate. Ancora troppo impegnate nella gestione degli impegni quotidiani tendono ad essere trascurate dallo stesso sindacato al quale faticano ad appartenere e partecipare. La contrattazione sindacale e i relativi accordi raramente affrontano il problema della conciliazione famiglia-lavoro se non nelle grandi realtà aziendali. Servirebbero politiche di gestione del part-time, introduzione della flessibilità oraria, della personalizzazione degli orari di lavoro in base alle necessità dei singoli, benefit e voucher per le spese di istruzione e accudimento figli. Servirebbero accordi che definiscono gli impegni aziendali e i diritti dei lavoratori ma anche accordi che ristabiliscono l’’alleanza tra datori di lavoro e lavoratrici al fine di abbattere il costo del lavoro e defiscalizzare le politiche di valorizzazione del capitale umano.

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  1. donata gottardi

    Ho letto la nota, i (pochi) commenti e la risposta. Condivido e aggiungo. Ho seguito la disposizione dal momento in cui è stata approvata e ho fatto parte della commissione che nei primi anni ha cercato di gestirla. I problemi sono diventati subito evidenti e la delocalizzazione è stata da subito richiesta. A mio avviso il meccanismo promozionale è interessante, ma poco utilizzabile. Occorrerebbe una tempestività che nessuna procedura burocratica, nemmeno, credo, di livello decentrato, può soddisfare. Nella mia provincia, a Verona, è stato da tempo stipulato un accordo sindacale provinciale per le piccole imprese. Ma è rimasto lettera morta. Forse il meccanismo andrebbe rivisto in radice. Così come è impostata la riforma attuale, finirà solo per aumentare la contrattazione individuale, senza risolvere il problema della necessità di far corrispondere l’accesso al sostegno al momento in cui la persona che lavora ha un esigenza di conciliazione con il lavoro di cura.

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