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Anatomia di una crisi occupazionale

Tra luglio 2008 e luglio 2010 si sono persi 881mila posti di lavoro. Colpiti per primi i lavoratori temporanei. Netto calo delle assunzioni, ma licenziamenti contenuti grazie alla cassa integrazione. Per il prossimo futuro si profila una modesta ripresa dei rapporti di lavoro temporanei e parasubordinati nei settori legati ai mercati internazionali espansivi, ma sempre su livelli occupazionali complessivi inferiori a quelli pre-crisi. Dalla gestione delle crisi di impresa via Cig si dovrà passare alla gestione della disoccupazione, con il rischio che divenga di lunga durata.

 

Ricapitoliamo i dati essenziali della crisi occupazionale. Secondo i dati Istat – forze di lavoro, dopo il livello massimo di occupazione raggiunto in Italia nel luglio 2008, nel successivo biennio contrassegnato dagli effetti della recessione, il calo degli occupati è stato pari a 881mila unità (utilizzando i dati relativi al luglio 2010): da 23,8 milioni si è scesi a 22,9 milioni (- 629mila è il dato destagionalizzato). Sui dati grezzi, il calo è di poco inferiore al 4 per cento, sui dati destagionalizzati si attesta al -3 per cento. È come dire che per ogni gruppo di 30-35 occupati, ora ce n’è uno in meno.

Il calo dell’occupazione risulta rallentato nei primi due trimestri del 2010, ma è di sicuro troppo presto per parlare di un’inversione di tendenza e dell’avvio del recupero dei posti di lavoro persi negli ultimi ventiquattro mesi.

LE DUE FASI DELLA CRISI OCCUPAZIONALE

I dati amministrativi disponibili, relativi a tutti i rapporti di lavoro dipendente aperti o chiusi, per quanto non disponibili per tutte le Regioni, consentono alcune rilevanti precisazioni. (1)
I saldi negativi tra assunzioni e cessazioni confermano innanzitutto la riduzione effettiva dei posti di lavoro, che deriva essenzialmente dal netto calo delle assunzioni: attorno al -20 per cento tra il 2009 e il 2008 e pressoché stabili nel primo semestre 2010 rispetto al corrispondente semestre del 2009. Per quanto riguarda le cessazioni, l’incremento di quelle involontarie (licenziamenti o conclusione naturale dei rapporti a termine) è stato controbilanciato dal calo di quelle volontarie (dimissioni). L’effetto complessivo finale delle due tendenze è la netta contrazione della mobilità nel mercato del lavoro.
I dati amministrativi consentono inoltre di distinguere chiaramente, nel decorso della crisi, due fasi: la prima è quella della iniziale risposta del mercato del lavoro al veloce tracollo, dopo il settembre 2008, dei fatturati, dell’export e degli investimenti; la seconda è quella dell’adattamento alla crisi come si è dipanato dalla primavera 2009, quando l’economia italiana ha iniziato un periodo di oscillazioni continue tra annunci di debole ripresa e frustrazioni per il suo mancato decollo.
Nella prima fase la contrazione dei livelli occupazionali è passata soprattutto attraverso la diminuzione delle assunzioni e delle proroghe, mentre relativamente contenuto è stato l’incremento dei licenziamenti, arginato soprattutto dal diffuso ricorso alla cassa integrazione. Ciò ha generato un’immediata riduzione del numero complessivo di posizioni di lavoro temporaneo – la precarietà è divenuta disoccupazione – e una diminuzione della loro quota sul totale. I rapporti di lavoro temporanei si sono ridotti di numero (in particolare le “missioni”, vale a dire i periodi di utilizzo di lavoratori con contratto di somministrazione, si sono dimezzate) e, leggermente, anche di durata. Inoltre si è drasticamente ridotta la probabilità per i lavoratori impiegati con contratti temporanei di ottenere proroghe o di rioccuparsi con facilità presso altre imprese. Non sono diminuite, invece, le trasformazioni di rapporti temporanei in rapporti a tempo indeterminato, evidentemente già “scontate” con scelte di politica del personale antecedenti alla crisi. I settori protagonisti, in negativo, del restringimento della base occupazionale come prima reazione all’avvio shock della crisi sono stati il manifatturiero in genere (soprattutto meccanico) e il settore delle costruzioni; i lavoratori più direttamente interessati sono stati i giovani e gli immigrati, per lo più maschi.
La seconda fase, che possiamo datare dalla fine dell’inverno 2008-2009, appare caratterizzata da una minor selettività, ma da una maggior pervasività degli effetti della crisi: come il sasso gettato nell’acqua produce onde successive sempre più deboli ma sempre più larghe, così la riduzione dei posti di lavoro si è progressivamente allargata anche a diversi segmenti del terziario, ha coinvolto manodopera femminile, sta interessando lavoratori non solo giovani, soprattutto sta riducendo i posti di lavoro a tempo indeterminato, proprio mentre risultano un po’ risalite le attivazioni di contratti di somministrazione e di lavoro temporaneo. (2)
Appare evidente l’estrema cautela delle imprese in ogni scelta di recruitment e il favore relativo assegnato alle formule meno impegnative, dal part-time al lavoro intermittente, dai voucher alle collaborazioni a progetto. Mentre i candidati lavoratori devono fare i conti con una fase di scarsa domanda e quindi di deciso svantaggio negoziale. Per una quota difficile da stimare, ma non proprio irrisoria, di lavoratori immigrati, la strada del ritorno a casa, soprattutto se provenienti dai paesi dell’Est Europa (e specie se comunitari), è diventata un’opzione concretamente perseguita.

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NESSUN MIGLIORAMENTO ALL’ORIZZONTE

Nessuna previsione, tra quelle fin qui disponibili, si spinge a ricavare inferenze positive sul livello complessivo dell’occupazione dalle stime che girano sulla dinamica del Pil. Ben che vada, assisteremo ancora al proseguire degli aggiustamenti: una modesta, quasi impercettibile, ripresa dei rapporti di lavoro temporanei e parasubordinati nei settori che hanno catturato la domanda di mercati internazionali espansivi (Germania, Asia), nel quadro di un consolidamento di livelli occupazionali complessivi inferiori a quelli pre-crisi. Mentre per diverse aziende ci sarà la “risoluzione” – negativa o positiva – delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato fin qui “congelate”: così dalla gestione delle crisi di impresa via Cig l’attenzione si dovrà spostare alla gestione della disoccupazione e dei rischi che essa divenga di lunga durata. Disoccupazione che, alla fin fine, potrà essere curata solo dalla creazione di nuovi posti di lavoro, connessi a nuove iniziative imprenditoriali e all’esplorazione di nuovi segmenti di domanda, interna ed estera.
(1) Vedi ad esempio per il Veneto il numero 30 di Misure (www.venetolavoro.it).
(2) I licenziamenti in questi mesi continuano su livelli mensili non distanti nel complesso da quelli del 2009, per effetto della compensazione tra i licenziamenti nelle piccole imprese – che dopo essere quasi raddoppiati tra il 2008 e il 2009, nel primo semestre di quest’anno sono diminuiti del 15 per cento rispetto al primo semestre 2009 – e i licenziamenti nelle imprese over 15 addetti, che sono aumentati del 40 per cento tra il 2008 e il 2009 e ulteriormente – attorno al 10-15 per cento rispetto al corrispondente semestre del 2009 – nel primo semestre del 2010.

 

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  1. Giovanni

    La redistribuzione dell’effetto richezza dato dall’andamento dei mercati finanziari in questi ultimi anni, ha comportato in Italia una dinamica di crescita per settori produttivi maggiormente competitivi nel commercio internazionale e una maggiore flessibilità del fattore lavoro attraverso anche il ricorso alla Cig, mentre per i settori di produzione merci per la domanda interna sono stati caratterizzati da un aumento dei prezzi relativi e delle tariffe e un aumento della disoccupazione. In altre parole sarebbe opportuno sostenere la domanda interna per aumentare i livelli occupazionali anche attraverso una distribuzione più equa della ricchezza privata.

  2. emiliana carifi

    Bisogna mandare a casa chi lavora da 40 anni e non farlo lavorare un anno in piu’ (rubandogli tra l’altro i contributi di quell’anno) si libererebbero posti di lavoro per i giovani! Si darebbe slancio al mercato del lavoro. Non mi sembra ci voglia un ingegnere per capirlo! Le casse inps nonostante quello che sostengono vanno bene e potrebbero andare ancora meglio se la smettessero una volta per tutte di prelevare dall’inps i soldi per la cassa integrazione, ma prenderla dalla fiscalità! Praticamente un ladrocinio autorizzato alla faccia dei lavoratori che si perpetua da anni con il bene placido dei sindacati! Un’altra delle tante vergogne! Che dire dei precari! Non dovrebbero mai essere esistiti, neanche nel vocabolario. Purtroppo questa società condotta da una manciata di approfittatori e senza scrupoli con una campagna mediatica, e con inciuci, è riuscita a portare la classe operaia alla fame o quasi, ad elemosinare posti di lavoro, a far perdere diritti e dignità ai lavoratori per aumentare il suo potere economico e il dominio sul popolo. Draghi ha "forse" capito che siamo arrivati ad un punto pericoloso e che potrebbe loro sfuggire di mano la situazione.

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