A seguito del rinvio al Parlamento da parte del Presidente della Repubblica, il 29 settembre 2010 il Senato ha approvato in sesta lettura il Disegno di legge 1167 Bbis, avente a oggetto, tra l’altro, anche una riforma del codice di procedura civile in materia di processo del lavoro. Tornato alla Camera, esso è stato infine approvato definitivamente, in settima lettura, il 19 ottobre 2010.
È un provvedimento eterogeneo di difficile consultazione, frutto di una complicata stratificazione normativa che dà seguito solo in parte alle indicazioni del Presidente della Repubblica del 31 marzo scorso.
Questa breve nota si propone di mettere in evidenza i punti salienti delle modifiche approvate al Senato rinviando, per il resto, alle osservazioni già svolte a suo tempo, su queste pagine in riferimento al testo legislativo licenziato dal Parlamento in quarta lettura (prima del rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica).
VALUTAZIONE DELLE MOTIVAZIONI DEL LICENZIAMENTO
(art. 30 comma 3) – alla Camera è stato modificato il comma 3 dell’art. 30 rubricato Clausole generali e certificazione del contratto di lavoro. Questa norma, confermata dal Senato, elimina il riferimento alle fondamentali regole del vivere civile e all’oggettivo interesse dell’organizzazione, indicato come parametro legale di valutazione giudiziale delle motivazioni del licenziamento. L’inciso era stato oggetto di forti critiche: si era infatti osservato che la norma, così formulata, era destinata ad allargare notevolmente la discrezionalità del giudice, consentendogli di decidere la controversia facendosi egli stesso interprete finale dell’interesse oggettivo dell’organizzazione aziendale.
ARBITRATO IRRITUALE SECONDO EQUITÀ
(art. 31, comma 5 e comma 7) – è stata confermata la norma approvata alla Camera dei deputati, che impone come condizione di validità del lodo, nell’arbitrato di equità, il rispetto non soltanto dei principi generali dell’ordinamento, ma anche dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari. Questa disposizione ha l’effetto di ridurre la discrezionalità dell’arbitro nel giudizio di equità, perché, oltre ai regolamenti comunitari, anche molte direttive possono considerarsi di immediata applicazione e non derogabili.
Il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato irrituale non è impugnabile, come non lo sono le rinunzie e transazioni stipulate dal lavoratore in sede sindacale, amministrativa o giudiziale, a norma dellart. 2113, comma 4 c.c.. Il lodo è bensì annullabile dal giudice competente, ma soltanto per i vizi indicati nell’art. 808 ter c.p.c. in materia di arbitrato irrituale.
Inoltre, è stato eliminato ogni riferimento all’art. 829, commi quarto e quinto, c.p.c. La norma elimina così un richiamo dubbio a una disposizione applicabile all’arbitrato rituale.
Va detto che le disposizioni ora indicate, riguardano le ipotesi di risoluzione arbitrale di una controversia già insorta.
Tutte le disposizioni in materia di conciliazione e arbitrato (articoli 410, 411, 412, 412 ter, e 412 quater) si applicano anche alle controversie relative a rapporti di lavoro pubblico. Tuttavia non è stato chiarito, come era stato auspicato dal Presidente della Repubblica, se e a quali norme si possa derogare senza ledere i principi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 della Costituzione.
Inoltre, al Senato, è stata aggiunta anche l’applicazione della disciplina del processo verbale di conciliazione (art. 411 c.p.c.) alle controversie nel lavoro pubblico. Come è stato osservato, questa disposizione rischia di prestarsi a indebite strumentalizzazioni, con la conseguenza di minare l’intero impianto della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, nonché di risultare in contrasto con le esigenze di contenimento dei costi dell’attività amministrativa. Grave è, infatti, il rischio che l’introduzione dell’arbitrato nelle controversie riguardanti il pubblico impiego consenta malversazioni in materia di inquadramento, retribuzione, pagamento di arretrati e simili.
QUANDO SI SOTTOSCRIVE LA CLAUSOLA COMPROMISSORIA
(art. 30, comma 9) – Radicalmente mutata, rispetto al testo approvato alla Camera, è la disciplina della clausola compromissoria, cioè della pattuizione con cui datore e prestatore di lavoro si accordano per riservare all’arbitro, e non all’autorità giudiziaria, eventuali controversie che dovessero insorgere circa l’attuazione del rapporto contrattuale.
Come è noto, nel corso della precedente lettura alla Camera era stato approvato un emendamento proposto dall’On. Cesare Damiano (Pd) che, modificando radicalmente la norma relativa alla clausola compromissoria, ne prevedeva la sottoscrizione non al momento della stipulazione del contratto, vale a dire nel momento di maggiore debolezza contrattuale del lavoratore, ma solo dopo l’insorgenza della controversia. La modifica era finalizzata a garantire la libertà del lavoratore di scegliere tra il ricorso all’arbitrato e il ricorso alla magistratura ordinaria, andando così nella direzione indicata dal Presidente della Repubblica.
In seguito alle modifiche apportate al Senato, nel testo è cancellata detta garanzia, mentre viene disposto soltanto il divieto di sottoscrizione della clausola compromissoria prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto dal contratto, o prima del decorso di trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, sia esso a tempo determinato o indeterminato.
La clausola deve essere, a pena di nullità, certificata dalle commissioni di certificazione le quali devono accertare le volontà effettiva delle parti di devolvere le controversie, che dovessero sorgere in futuro, ad arbitri. Questa procedura appare, per un verso, poco efficace ai fini di protezione del lavoratore, considerato che anche dopo il superamento del periodo di prova resta immutata la posizione di debolezza contrattuale in cui egli versa. Per altro verso, essa introduce, come requisito di validità della clausola, un adempimento in costanza del rapporto di lavoro che secondo le previsioni degli addetti ai lavori limiterà di fatto fortemente la diffusione della clausola compromissoria.
Su questo punto si può osservare anche una divergenza della scelta operata dal Parlamento rispetto alle indicazioni del Presidente della Repubblica. Nel suo messaggio si legge infatti che solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi effettiva la volontà delle parti di ricorrere all’arbitrato, mentre la nuova legge demanda interamente il relativo accertamento all’organo certificatore.
La nuova disposizione accoglie, invece, l’indicazione del Capo dello Stato nella parte in cui sancisce che la clausola compromissoria non può riguardare le controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro.
AUTORIZZAZIONE A SOTTOSCRIVERE LA CLAUSOLA COMPROMISSORIA
L’art. 30 al comma 11, attribuisce ai contratti collettivi il compito di individuare le ipotesi di ricorso all’arbitrato irrituale. Tuttavia, si prevede che in mancanza di apposita disciplina affidata alla contrattazione collettiva, detto compito spetti al potere politico (al Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto) trascorsi dodici mesi dalla entrata in vigore della legge ove le parti sociali non abbiano provveduto. Anche su questo punto non sono stati accolti i rilievi del Capo dello Stato, che aveva espresso serie perplessità di fronte a una così ampia delegificazione.
LE DECADENZE
Infine, l’art. 32 al comma 1, nel testo modificato al Senato, sancisce l’inefficacia dell’impugnazione del licenziamento se entro i successivi 9 mesi (e non più 6 mesi, come nel testo precedente al messaggio del Capo dello Stato) essa non sia seguita dal deposito del ricorso giudiziale nella cancelleria del tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato.
In questa seconda ipotesi, qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano stati rifiutati oppure l’accordo non sia stato raggiunto, il ricorso al giudice deve essere depositato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.
È fatta comunque salva la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso in cancelleria. Questa puntualizzazione appare molto importante, considerata la regola generale, vigente nel processo del lavoro, che vieta la produzione di nuovi documenti dopo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio o della memoria di costituzione e risposta della parte convenuta.
Il comma secondo dell’art. 32 sancisce, inoltre, che le disposizioni in materia di decadenza del lavoratore dalla possibilità di impugnare un atto del datore di lavoro si applichino a tutti i casi di invalidità (mancanza di giusta causa o di giustificato motivo) del licenziamento e non più in caso di inefficacia (difetto della forma scritta) (a queste si devono aggiungere le nuove ipotesi di impugnazione previste dall’art. 32 comma 3: per es. contratti a termine, trasferimento d’azienda, somministrazione irregolare, ecc.). Questa disposizione esclude dunque espressamente dalla disciplina delle decadenze i licenziamenti intimati oralmente (dunque inefficaci per mancanza di forma scritta), risolvendo così il problema della decorrenza del termine di decadenza. Le suddette decadenze restano ferme, invece, per le altre ipotesi di licenziamento nullo (per es.: licenziamento discriminatorio).
COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE
La disposizione dell’art. 50, infine, prevede che in caso di accertamento della natura subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche riconducibili a un progetto, il danno possa essere risarcito con una indennità risarcitoria di importo compreso tra 2,5 e 6 mensilità, non soltanto ove entro il 30 settembre 2008 il datore di lavoro abbia offerto al lavoratore la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (a norma dell’art. 1, comma 1202, n. 296), ma anche qualora egli abbia, dopo la data di entrata in vigore della legge (ma non si stabilisce il dies ad quem), ulteriormente offerto la conversione del contratto in corso in un contratto di lavoro a tempo indeterminato ovvero abbia offerto l’assunzione a tempo indeterminato per mansioni equivalenti a quelle in precedenza svolte. Si tratta di una tipica norma-fotografia, volta a risolvere il caso, che era a suo tempo assurto agli onori delle cronache ed è poi rimasto fino a oggi irrisolto, relativo a una serie di controversie circa la qualificazione dei rapporti di lavoro in seno a un grande call center, insorte più di tre anni or sono a seguito di un’ispezione amministrativa.
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ALBERTO LANZA
Le norme in materia di controversie del lavoro contenute nel Collegato Lavoro riprendono, a mio avviso, quellidea, quella concezione di cui in parte risultava permeato il Libro Bianco, tesa a considerare le parti del rapporto di lavoro ovvero il lavoratore e il datore di lavoro su un piano di sostanziale parità; più che di misure atte a deflazionare la giustizia del lavoro si tratta di un sottile ma costante tentativo di ridurre garanzie disciplinate dalla legge e dalla contrattazione collettiva a favore non solo di accordi aziendali ma anche e soprattutto concertabili a livello individuale. Si tratta, in ultima analisi, di un attacco radicale allimpianto del diritto del lavoro elaboratosi gloriosamente nel corso degli anni nel nostro Paese. Stupisce che ciò avvenga con la benevolenza di parte del sindacato.
La redazione
Pietro Ichino (PD), commentando questo disegno di legge, ha detto che qui il Governo, nell’impossibilità di attaccare frontalmente i pilastri portanti dell’ordinamento del lavoro, si è limitato ad "allentarne i bulloni". Il mercato del lavoro italiano – le cui performances sono tra le peggiori in Europa, sia per tasso di occupazione, sia per livello dei trattamenti retributivi, sia per estensione dell’area effettivamente coperta dalla disciplina protettiva – non ha certo bisogno di una riduzione del suo tasso di effettività, ma al contrario di una riforma incisiva che aumenti l’effettività e l’universalità del suo ordinamento giuridico. La nuova disciplina dell’arbitrato va nella direzione opposta, rendendo un po’ più vulnerabili i lavoratori che sono già più deboli perché meno protetti, i quali presumibilmente saranno più esposti alla necessità di subire imposizioni da parte del datore di lavoro. (l.v.)
Maurilio Menegaldo
Sono d’accordo con le osservazioni del sig. Lanza. Può essere che le norme ancora controverse e difformi rispetto alle puntuali critiche del Quirinale vengano corrette in sede parlamentare: tuttavia, l’impianto di base rimane quello di una ideologia che presuppone la scomparsa di ogni contrasto datore-lavoratore. Questo però si potrebbe avere solo con un sistema di relazioni industriali e un potere contrattuale dei lavoratori ben diversi dagli attuali e nei quali si avesse un vero potere economico e di controllo da parte dei lavoratori, singoli od organizzati, che è ben lontano dall’essere raggiunto. Per quanto riguarda il sindacato, la posizione di una parte di esso non stupisce dato che gli enti bilaterali, che diverrebbero uno dei perni del sistema che ha in mente il ministro Sacconi, sono da tempo uno dei cavalli di battaglia della CISL.
La redazione
Rinvio alle risposte ai commenti precedenti.
OTTONE SALVATI
Sono d’accordo sul fatto che vi sia una sostanziale tendenza a portare su “un piano di parità” il datore di lavoro ed il lavoratore che tuttavia, soprattutto in un momento di crisi globale come quello attuale dovrebbe consentire una gestione più rapida e snella dell’eventuale contenzioso giuslavoritico oltre ad una maggiore chiarezza nei rapporti professionali. Peraltro, non va neanche dimenticato che spesso si è assistito (rectius: si assiste) ad una grave speculazione da parte del lavoratore che ha abusato di tutte quelle garanzie “gloriosamente conquistate nel corso degli anni” come affermato dal sig.Lanza. Ed allora, pur dubitando che in pratica tali modifche possano comportare un cambiamento sensibile al sistema attualmente in atto – ritengo che qualsiasi intervento volto ad apportare modifiche sull’attuale insostenibile sistema ormai evidentemente “superato” possa apportare un valido contributo.
La redazione
Dubito anch’io, per i motivi indicati nella risposta al commento di Claudio Resentini, che questa nuova disciplina dell’arbitrato produca effettivamente un aumento massiccio del ricorso all’arbitrato. Bisognerà poi vedere se e in quale modo gli accordi interconfederali o contratti collettivi disciplineranno la materia. E’ possibile, ad es., che i contratti collettivi limitino il ricorso all’arbitrato soltanto per le controversie su diritti nascenti da norme poste dal contratto collettivo stesso. Possono avere un’incidenza pratica assai più rilevante le nuove norme in materia di decadenza dall’impugnazione di licenziamenti, trasferimenti e nullità del contratto a tempo determinato (compresa la retroattività delle disposizioni che prevedono il pagamento di una mera indennità in caso di conversione del contratto a tempo determinato, anche per le controversie pendenti,anche se su quest’ultimo punto la nuova disposizione è formulata in modo molto imperfetto, cosicché fin d’ora se ne danno interpretazioni molto divergenti tra loro). Poi ci sono le deleghe legislative praticamente "in bianco" al Governo in materia di permessi e di orario di lavoro. (l.v.)
Claudio Resentini
Un ulteriore tassello nel processo graduale di mercificazione del lavoro e di asservimento dei lavoratori di cui Sacconi è un vero campione! Sottraendo gradualmente la regolazione dei rapporti di lavoro alle tutele giuridiche e alla contrattazione collettiva si arriva a prefigurare lo spettro di una contrattazione individuale nella quale i diritti dei lavoratori finora erosi giorno per giorno diventano definitivamente carta straccia. Deprimente! Non resta che sperare nella Corte Costituzionale!
La redazione
Probabilmente la Corte costituzionale avrà qualche cosa da dire su questa nuova disciplina dell’arbitrato in materia di lavoro. Occorre però tenere presente che non è l’arbitrato in sé un attentato ai diritti dei lavoratori.
Del resto anche il Presidente della Repubblica aveva fatto notare che l’introduzione nell’ordinamento di strumenti idonei a prevenire l’insorgere di controversie e a semplificarne e accelerarne le modalità di definizione può risultare apprezzabile e merita di essere valutata positivamente. Tuttavia, anche dopo le recenti modifiche, restano le perplessità sulla effettiva volontà dell’arbitrato – che tra l’altro può essere anche di equità ove le parti concordemente lo richiedano – e la necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole. E’ difficile pensare che un lavoratore sia davvero libero di scegliere se accettare o no una clausola compromissoria, trenta giorni dopo l’assunzione soprattutto se è stato assunto con un contratto a termine o un contratto atipico.
A ciò si può aggiungere che la materia è stata disciplinata in maniera talmente complessa, disorganica e farraginosa, che probabilmente saranno pochissimi i casi in cui le imprese si avvarranno della possibilità di attivazione dell’arbitrato: così disciplinato, esso resta troppo costoso e rischioso. (l.v.)
giovanni scaglioni
Chi potrà fare l’arbitro? A chi spetta la nomina? Sarà il presidente del tribunale?
La redazione
A seconda dei diversi casi di arbitrato previsti nella nuova legge, il collegio arbitrale può essere costituito dalla stessa Commissione di Conciliazione e Arbitrato cui le parti si sono rivolte per il tentativo di conciliazione, oppure dal collegio arbitrale costituito secondo quanto previsto dal contratto collettivo applicabile, oppure da un collegio costituito dalle parti individuali mediante la clausola compromissoria (preventiva) o il compromesso (dopo che la controversia è insorta).
In questo ultimo caso, le parti dovranno nominare un proprio arbitro, mentre il terzo membro, in funzione di presidente, è scelto di comune accordo dagli arbitri di parte o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale su richiesta della parte che ha presentato il ricorso.
Le parti, inoltre, dovranno sostenere il costo del compenso del presidente del collegio che è fissato per legge in misura pari al 2 per cento del valore della controversia, e dell’arbitro da esse nominato nella misura dell’1 per cento, oltre le spese legali. Il compenso del presidente deve essere versato dalle parti, per metà ciascuna, almeno cinque giorni prima dell’udienza.
Queste percentuali, apparentemente modeste, potrebbero comportare il pagamento di somme ingenti nei casi in cui il lavoratore chieda ad es. una somma di denaro a titolo risarcitorio (es: demansionamento, mobbing, danno biologico). Proprio per non scoraggiare il ricorso a questa forma di arbitrato, in cui il collegio è nominato dalle parti, è previsto dalla legge che i contratti collettivi nazionali di categoria possano istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente e del proprio arbitro. (l.v.)
DANILO RIZZOTTO
Una norma a conferma che l’unica idea che questo governo ha per cercare di superare questa difficile crisi è quella di limitare e distruggere i diritti dei lavoratori. E’ un provvedimento iniquo, soprattutto per i giovani e per coloro che cercheranno un nuovo lavoro in quanto i futuri contratti di assunzione, certificati dalle apposite commissioni non lasceranno spazi per successive contestazioni perchè conterranno la clausola compromissoria che rinvia ad un arbitro l’insorgere di eventuali controversie e quindi anche la contestazione del contratto stesso (a progetto piuttosto che dipendente). L’attuale commissione di conciliazione è completamente gratuita, valuta le controversie in base alle norme di legge e dei contratti di lavoro non secondo "equità", hanno voluto fare un regalo alle aziende senza alcuna contropartita.La cultura del diritto sta tramontando nel nostro paese, avremo lavoratori senza diritti, senza dignità e datori di lavoro che porteranno i soldi all’estero in attesa del prossimo scudo.