Lo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale andrà a regime solo nel 2014. Nella fase transitoria (2011-2013) la devoluzione dei tributi erariali immobiliari viene controbilanciata dalla eliminazione di gran parte dei trasferimenti statali ai Comuni in una misura che però non è stata ancora concordata. Sarebbe bene avere presto un quadro più preciso dei numeri in gioco e delle regole da seguire per garantire più certezze per le politiche di bilancio dei Comuni.
Il decreto in materia di federalismo fiscale municipale (1) prevede un riordino della fiscalità immobiliare in due stadi. Il primo decorre dal 1 gennaio 2011 sino alla fine del 2013 ed è basato su una devoluzione ai Comuni di buona parte dell’attuale imposizione erariale immobiliare comprensiva di una nuova imposta sostitutiva sui canoni di locazione ad uso abitativo (cedolare secca) senza nessuna possibilità di manovra di tali imposte (2).
LE NOVITÀ IN ARRIVO
Una reale autonomia tributaria decorre a partire dal 1 gennaio 2014 nell’assetto a regime con l’introduzione di una imposta municipale propria (IMU) sugli immobili ad uso abitativo, ad eccezione della prima casa, e di una imposta municipale secondaria facoltativa sugli immobili non ad uso abitativo, ambedue manovrabili.
Nella prima fase allo Stato è attribuita una percentuale di partecipazione al gettito di questi tributi per garantire la neutralità finanziaria del provvedimento. L’assegnazione di questi tributi viene infatti controbilanciata dalla eliminazione (fiscalizzazione) dei trasferimenti erariali finalizzati al finanziamento degli enti locali, ad eccezione di quelli aventi natura di contributi speciali, ovverosia non destinati alla totalità degli enti. Nella fase transitoria il gettito dei tributi immobiliari devoluti e della cedolare secca (al netto della quota attribuita allo Stato) dovrebbe confluire (in tutto o in parte) in un Fondo sperimentale di riequilibrio di tipo orizzontale diviso in due sezioni e finalizzato alla riduzione degli squilibri nella distribuzione delle basi imponibili immobiliari tra i Comuni (3). In tale fase impatteranno (salvo ripensamenti del Governo) anche le riduzioni dei trasferimenti previste per i Comuni superiori a 5000 abitanti nell’ambito della manovra finanziaria di luglio, lasciando presagire un periodo di pesante stress finanziario per le amministrazioni comunali.
I NUMERI IN GIOCO
Una valutazione degli effetti del decreto è resa difficile dall’assenza di dati quantitativi di riferimento sufficientemente precisi. Innanzitutto, non è stata ancora definita l’entità esatta dei trasferimenti statali da sopprimere a fronte della assegnazione di risorse tributarie autonome. La relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato allo schema di decreto delegato si è infatti basata sulle stime incomplete della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale (4) sulla distribuzione regionale dei trasferimenti del Ministero dell’Interno (manca cioè, il dato sui trasferimenti da tutti gli altri Ministeri) proiettando i dati relativi al 2008 sino al 2013 e tenendo conto delle riduzioni disposte dalla manovra finanziaria di Luglio pari a 1,5 miliardi nel 2011 e a 2,5 miliardi nel 2012 e nel 2013 (5). In termini aggregati nel 2011 (si veda la Figura 1) i Comuni a fronte di un gettito stimato di tributi devoluti di 15,5 miliardi dovrebbero restituire allo Stato circa 2,5 miliardi con una curiosa formula di compartecipazione verso l’alto (generalmente sconsigliata dalla teoria) di parte dei tributi devoluti e attraverso la ricentralizzazione dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (un tributo, invece, facilmente applicabile a livello locale). Tali stime dovrebbero essere aggiornate sulla base una intesa da ottenere nella Conferenza Stato Città e autonomie locali entro il 30 novembre 2010 che, a pochi giorni dalla scadenza, sembra difficilmente raggiungibile. L’alternativa più probabile sarà una soluzione transitoria per il 2011 sottoposta a successive rinegoziazioni con evidenti effetti negativi in termini di instabilità e incertezza per le politiche di bilancio dei Comuni. Purtroppo, un déjà vu ricorrente nella storia della finanza locale in Italia.
ALCUNI PROBLEMI EMERGENTI
Oltre all’assenza di numeri sufficientemente precisi sull’impatto del decreto, permangono diversi interrogativi in merito alle modalità che saranno applicate a partire dal 2011. In primo luogo, non è chiaro come si svilupperà il nuovo modello di finanziamento in termini dinamici. La determinazione nell’anno di avvio della riforma (2011) di una quota di compartecipazione dello Stato al gettito di tributi immobiliari attribuiti ai Comuni resterà costante in termini assoluti, in termini relativi come quota o potrà essere rideterminata di anno in anno? È chiaro che i risultati in termini di evoluzione delle risorse per i Comuni sono molto diversi. Nel primo caso si assiste ad una vera compartecipazione dinamica vale a dire la crescita del gettito va tutta nelle casse dei Comuni (e potrà essere ripartita tra fondo perequativo e singoli Comuni dove è riscosso); nel secondo, anche lo Stato partecipa per la sua quota alla crescita del gettito; nel terzo il risultato dipenderà dalla contrattazione annuale Stato - Comuni in relazione alla situazione complessiva della finanza pubblica. Se si vuole una vera autonomia locale sembrerebbe giusto scegliere la prima opzione. Gli equilibri della finanza pubblica sono rispettati nell’anno di avvio, in cui lo Stato aggancia i trasferimenti soppressi al gettito dei tributi immobiliari. Successivamente l’ammontare dei tributi immobiliari devoluti avrà una dinamica naturale che appartiene ai Comuni sino al 2014 anno in cui saranno sostituiti in parte dalla imposta municipale propria.
In secondo luogo, l’applicazione è condizionata dall’avvio del meccanismo di superamento della spesa storica in direzione di quello basato sui fabbisogni standard. Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province nel quale vengono elencate le funzioni fondamentali e i relativi servizi in via provvisoria per i Comuni, prevede per l’anno 2012 l’avvio della fase transitoria sulla base della determinazione dei fabbisogni standard per almeno un terzo delle funzioni fondamentali. Nel 2011 la distribuzione del fondo non potrà allora che avvenire sulla base della spesa storica senza novità rispetto al sistema attuale. La modalità di gestione del fondo perequativo negli anni successivi è un’altra grande incognita sia per quello che concerne la logica sottesa alla individuazione delle due sezioni in cui confluiscono specifici tributi (una per la perequazione dei fabbisogni e una per quella delle capacità fiscali?), sia per quello che concerne i criteri da seguire per la ripartizione tra Comuni sopra e sotto i 5000 abitanti (si veda la Figura 1). Per i primi si fa riferimento ai fabbisogni standard e alla partecipazione all’attività di accertamento, mentre per i secondi a non precisate modalità differenziate forfetizzate e semplificate. Ulteriori complicazioni potranno nascere a causa del possibile intervento delle Regioni (intromissione che piace poco ai Comuni) nella individuazione dei criteri di ripartizione dei trasferimenti perequativi statali e per la definizione di ineludibili modalità di coordinamento con i fondi perequativi regionali che dovrebbero sostituire tutti i trasferimenti regionali correnti ai Comuni sulla base dello schema di decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle Regioni a Statuto Ordinario e delle Province (6). Potremmo alla fine trovarci di fronte ad un complesso sistema perequativo che in ogni regione si basa su tre fondi, due (ognuno dei quali articolato in due sezioni) per i Comuni sopra e sotto i 5000 abitanti e uno regionale. Infine, si dovrà stabilire se i Comuni nelle Regioni a statuto speciale saranno sottoposti ad un regime differenziato o parteciperanno (come sarebbe giusto) al processo di riequilibrio a livello nazionale.
Figura 1 Stima dei flussi finanziari tra lo Stato e i Comuni (valori in milioni) nel 2011.
Fonte: Relazione tecnica allo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale e nostre stime sul gettito dei diversi tributi immobiliari.
(1) Approvato il 4 agosto scorso dal Governo è attualmente in attesa di ottenere l’intesa della Conferenza unificata e successivamente il parere della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale
(2) Comprendono l’imposta di registro ed imposta di bollo sugli atti soggetti a registrazione in termine fisso, l’imposta ipotecaria e catastale l’imposta sul reddito delle persone fisiche, in relazione ai redditi fondiari, escluso il reddito agrario, l’imposta di registro e imposta di bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili, i tributi speciali catastali, le tasse ipotecarie e la nuova cedolare secca.
(3) Nella seconda fase una quota dellIMU sarà utilizzata per il finanziamento di un Fondo perequativo a regime.
(4) Cfr.COPAFF, Relazione sul federalismo fiscale e allegati, presentata al Parlamento il 30 giugno 2010, Allegato n.2.
(5) Anche se resta da capire in che misura sarà applicata la norma prevista dall’art.14 del D.L. 31-5-2010 n.78 convertito nella L. n.122 del 30-7-2010 che prevede che in sede di attuazione dellart.11 della L.42/2010 in materia di federalismo fiscale non si tiene conto di quanto previsto in materia di riduzioni dei trasferimenti per cui questo dovrebbero in futuro essere reintegrati.
(6) Approvato dal Governo il 6 Ottobre.
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