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La mobilità accademica nella proposta di riforma

In un articolo apparso su lavoce.info Giovanni Abramo sogna di creare nuove università riservate a bravi scienziati. Certamente il nostro paese ha forte bisogno di tali istituzioni, ma allo stato attuale delle cose non è pensabile che si riescano a trovare risorse ex-novo per un simile progetto. Inoltre, non è detto che trovare risorse sia sufficiente a garantire il risultato auspicato, come insegna la storia recente di alcune istituzioni di ricerca nate per essere trasparenti ed eccellenti, ma che veleggiano in direzione completamente diversa.
Molto probabilmente un sistema di migrazione spontaneo del corpo docente potrebbe essere il sistema più efficiente per la formazione di poli di eccellenza, ma in Italia la mobilità accademica è rara. Giusto per avere un’idea, esaminando i 15.232 concorsi universitari, svolti tra marzo 1999 e luglio 2002, si scopre che di tutti i docenti immessi in ruolo solo 202 non provenivano dalla stessa università.
Il fatto che un sistema universitario aperto e capace di mescolarsi sia un vantaggio è cosa acclarata e lo stesso Miur ha già dichiarato di credere in questo valore in quanto nella valutazione dei risultati dell’attuazione dei programmi delle Università (D.M. 18 ottobre 2007, n. 506) l’indicatore E2 premia la proporzione dei punti organico utilizzati per assunzioni di professori ordinari e associati precedentemente non appartenenti all’Ateneo. Purtroppo questo e la legge Zecchino per la mobilità non sembrano, dati alla mano, bastare, e bisogna fare qualcosa di nuovo.

LA PROPOSTA

L’azione che auspichiamo è semplicissima: i singoli docenti universitari devono essere i comodatari del proprio budget. Quindi i concorsi a trasferimento diventano a costo zero. In caso di trasferimento di un docente viene contestualmente anche trasferita la risorsa retributiva. Quando un docente si pensiona (o cessa il servizio) il suo budget viene assegnato d’ufficio all’ateneo dove in quel momento egli prestava servizio.
Tecnicamente basta modificare di poco il punto del Ddl oggi in discussione dove si parla di federazione e fusione di atenei e razionalizzazione dell’offerta formativa, autorizzando gli Atenei, soggetti a valutazione positiva da parte dell’Anvur, a coprire posti di ruolo tramite trasferimento di professori e ricercatori da altro Ateneo con contestuale trasferimento della risorsa retributiva.
Naturalmente è necessario che gli Atenei che bandiscono i posti siano incentivati ad aumentare la propria qualità dal punto di vista della didattica e della ricerca. Questo pone un limite al numero dei concorsi a trasferimento e garantisce che l’Ateneo opererà una selezione all’ingresso. Si può anche pensare ad un meccanismo che permetta solo trasferimenti vincolati su base di progetti di alto livello scientifico confermati dalle valutazioni Anvur.
Facciamo presente che nel collegato alla Finanziaria 2010 l’articolo12 già prevede: “in caso di trasferimento di un docente dalla Scuola Superiore di Economia e Finanze ad Università Statale viene anche trasferita la risorsa retributiva”.

IMPLICAZIONI DELLA PROPOSTA

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A livello diretto per i docenti questa norma non può che essere vantaggiosa in quanto  non coercitiva. Anche per gli atenei riceventi si hanno solo vantaggi. Supponiamo che in un ateneo virtuoso un docente si pensioni. Il Ministero toglie il 50 per cento del budget del pensionato. Se viene bandito un posto a trasferimento e l’ateneo possiede capacità attrattive non ci sono grossi problemi. Infatti, non solo si riesce a mantenere invariata la proposta didattica grazie al trasferimento, ma il 50 per cento del pensionamento diventa una risorsa aggiuntiva. Certo per l’ateneo di provenienza del trasferito si ha una perdita secca del 100 per cento e maggiori problemi.
Questa norma ha naturalmente molte altre conseguenze. Per esempio, essa permette un auto-riordino delle sedi decentrate. Siccome, oggi, la coperta corta i vari trasferimenti permetterebbero di mettere a nudo le sedi che si reggono sul nulla, dove magari i docenti sono quasi esclusivamente pendolari. Inoltre la norma permette all’autonomia universitaria di diventare più democratica: ogni docente diventa attore di un piccolo pezzo di autonomia, un qualcosa che adesso troppo spesso è in mano a gruppi di potere piuttosto che ai docenti più seri. Quindi un docente potrebbe trasferirsi perché in disaccordo con la politica del proprio ateneo, oppure perché stufo del provincialismo del proprio dipartimento dove un settore scientifico-disciplinare comanda tutto e bandisce posti solo per i notabili della zona.
Soprattutto questa norma darebbe la possibilità di costituire gruppi di ricerca più efficienti ed efficaci per esempio dove ci sono interessanti facilities sperimentali ed in generale dove esiste più attenzione per la ricerca. Infatti, chiaro che solo i docenti attivi e di buona qualità hanno un vero interesse verso la mobilità. Questo sarebbe un primo passo verso l’idea di Giovanni Abramo. Certo, Abramo sogna molto di più ma questa norma a costo zero e ha il vantaggio di non basarsi su difficili ed improbabili esercizi legislativi.

CONCLUSIONI

Non bisogna nascondere che questa norma possa essere anche fastidiosa. Gli equilibri di potere nelle università potrebbero diventare più mutevoli e sappiamo che questo è un problema per chi vive nei corridoi dei rettorati o per chi vuole sistemare dei protetti. Per questo motivo la nostra proposta, avanzata già in altre sedi di discussione tra docenti universitari, ha sollevato molte reazioni negative. Purtroppo il nostro sistema universitario ha paura di qualunque cambiamento. Paura che i trasferimenti alterino gli equilibri di potere. Paura che arrivi uno bravo sul serio a perturbare la quiete del fannullone. Paura che l’ateneo marginale scompaia nel nulla. Paura che l’Università in Italia diventi una cosa seria.

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Nebbia in comune sull’autonomia tributaria

  1. Alessandro Figà Talamanca

    Bisognerebbe anche imporre qualche vincolo che eviti che i professori si concentrino dove ci sono altri professori e vengano sistematicamente a mancare dove ci sono più studenti e necessità didattiche, a meno di non prevedere incentivi per la mobilità degli studenti. Gli incentivi "Zecchino" ad esempio prevedono (o prevedevano fino al FFO 2009) vincoli di questo tipo: non venivano erogati per trasferimenti a facoltà dove il rapporto docenti/studenti era superiore al valore mediano nazionale. Dobbiamo ricordare che alla scarsa mobilità dell’ultimo decennio faceva riscontro nel trentennio precedente una mobilità per trasferimento dalle sedi periferiche alle grandi sedi metropolitane. Si vinceva un concorso in periferia e poi si cercava a tutti i costi di essere richiamati nella sede dalla quale si era partiti come assistenti, o (a partire dagli anni ottanta) come professore associato. La soppressione nel 1994 dell’organico nazionale ha reso possibile le "promozioni in sede" anche nelle grandi sedi metropolitane, senza il passaggio per la periferia.

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