Nel “formidabile anno” (aprile 1997-giugno 1998) in cui Tommaso Padoa-Schioppa fu presidente della Consob, il sistema finanziario italiano presentava un assetto ancorato alla tripartizione dei mercati: il mercato bancario, polarizzato e forte delle sue riserve di attività, governato da un testo unico e da norme bancarie uniformi, ramificato in partecipazioni incrociate con l’industria, le imprese mobiliari e la grande banca d’affari nazionale; il mercato mobiliare, che aveva il suo centro nella Borsa valori – ancora pubblica e a bassa capitalizzazione rispetto alle piazze finanziarie dei grandi centri internazionali – che trovava nelle Sim, in realtà per buona parte possedute da intermediari bancari, un potenziale veicolo di ammodernamento; il mercato degli investitori istituzionali, che vedeva i fondi comuni di investimento affiancare le ben più importanti e meno trasparenti gestioni individuali di patrimoni, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione (questi ultimi sulla carta ma non nei fatti).
VERSO IL TESTO UNICO DELLA FINANZA
L’assetto della supervisione era di conseguenza tripartito: la Consob regolava gli scambi di mercato e l’intermediazione non bancaria, cercando una sua identità in un corpo normativo frammentato, che Padoa-Schioppa ereditava nel corso di un processo di unificazione: il Testo unico della finanza era infatti in via di stesura. Le lobby finanziarie si scaldavano i muscoli sui temi più sensibili: la trasparenza e la disciplina del prospetto per le obbligazioni bancarie, la riserva di attività per la gestione dei patrimoni, la trasparenza e la confrontabilità dei prodotti assicurativi rispetto ai prodotti finanziari, l’opacità e la scarsa mobilità degli assetti proprietari. La Banca d’Italia, da cui arrivava il presidente, sovrintendeva alla stabilità macro e microeconomica, ma anche alla trasparenza dei servizi bancari e alla concorrenza tra gli intermediari. L’Isvap vigilava sulle assicurazioni, settore ritenuto opaco e poco competitivo.
In questo contesto, Padoa-Schioppa entrava in una Consob dove stratificazioni di passate gestioni e nuovi ingressi richiedevano un ripensamento e un riordino.
È Padoa-Schioppa a volere per la prima volta la presentazione della relazione annuale della Consob a Milano con un Discorso del presidente al mercato finanziario. Senza enfasi, ma con decisione, sarà lui a negoziare con il Comune di Milano la concessione di Palazzo Carmagnola quale sede dell’istituzione e a trasferirvi alcuni uffici chiave, nel tentativo – in seguito, dopo la sua presidenza, rinnegato – di rendere l’istituzione più vicina alla sede del mercato e alla sua cultura.
Già nel primo mese dall’insediamento, in cui il presidente riceveva direttori e funzionari, leggeva carte e documenti, faceva audizioni e frequenti riunioni della Commissione, prendeva corpo una struttura rinnovata dell’autorità, nelle persone e nell’impianto, che senza particolare clamore ma con grande determinazione veniva varata prima dell’estate.
UN ANNO CRUCIALE
In quei mesi entrarono in dirittura di arrivo il Testo unico della finanza e la stesura dei regolamenti di attuazione, con un confronto anche dialettico con la Banca d’Italia. Guidavano Padoa-Schioppa alcuni convincimenti. Come l’idea, forse tramontata, che la Consob nell’emanare la regolamentazione non coglierebbe il senso della riforma se alla delegificazione non facesse seguire una deregolamentazione: testi snelli, concepiti come regole di principio più che di minuziosa precettistica; delega al mercato, alle associazioni e ai singoli soggetti di funzioni che possono essere da essi efficacemente svolte. O come la ferma presa di posizione per un modello di vigilanza per finalità, nell’affermazione della Consob quale autorità centrale della trasparenza e della protezione dell’investitore per tutti i prodotti finanziari, non solo mobiliari ma anche bancari e assicurativi.
Nello stesso periodo accompagnò la fase finale della privatizzazione della Borsa italiana, che definì, profeticamente, una condizione “necessaria ma non sufficiente per la sopravvivenza del nostro mercato”. E cercò di costruire le fondamenta della piazza finanziaria nazionale, nell’idea non di rafforzare fortini nazionali, che, lui uomo d’Europa e cittadino del mondo, rifiutava ma di partecipare alla costruzione del mercato finanziario europeo sempre più integrato in modo competitivo ed efficiente per aiutare la crescita del Paese: tenterà di riprendere il progetto da ministro dell’Economia, ma senza successo.
Prestò grande attenzione allo sviluppo delle rete delle relazioni internazionali, con la presenza della Consob nei gruppi europei e mondiali di regolazione, e nazionali, con l’organizzazione di incontri pubblici e gruppi di lavoro con accademici e practitioner.
Padoa-Schioppa era un uomo che univa doti rare, se le pensiamo tutte presenti in una persona. Equilibrio, apertura, focalizzazione, competenza, rigore, impegno. La persona giusta per quell’anno cruciale. Giusta anche, con la sua umanità e la capacità di riconoscere i meriti dei collaboratori, per motivare e far lavorare alacremente una struttura che non era adusa a ritmi stressanti. Allo stesso tempo, il suo stile di grand commis internazionale dava alle donne e agli uomini della Consob, soprattutto ai più giovani, la consapevolezza di agire in uno snodo istituzionale essenziale per lo sviluppo del Paese, sotto la guida di un personaggio capace di imporre ai tavoli internazionali dei regulator la Commissione italiana alla testa di quelle istituzioni o comunque al centro del dibattito.
Purtroppo per la Consob, ma fortunatamente per il Paese, nel giugno 1998 – dopo poco più di un anno di presidenza – fu chiamato a far parte del primo board della Banca centrale europea per concretizzare il sogno di una vita: la creazione di una moneta unica e di un organo di politica monetaria sovranazionale.
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