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FEDERALISMO REGIONALE: LA RIVOLUZIONE PUÒ ATTENDERE

Il federalismo regionale segna un passo avanti nel percorso di attuazione della legge delega. Ma resta incompiuto negli aspetti più delicati: sanità a parte, non è stata risolta la questione delle spese essenziali. Né quella della perequazione. La norma dimostra anche che l’elevata solidarietà giustamente imposta dalla Costituzione non consente rivoluzioni rapide e forti nei rapporti Nord-Sud. Il cambiamento sarà lento e non vistoso. Attenti quindi alle delusioni dei leghisti.

Il federalismo regionale, approvato in Commissione parlamentare, rappresenta il passo più importante nel percorso di attuazione della legge delega 42/2009. La spesa regionale, infatti, vale circa il doppio della somma di quella comunale e provinciale. È un passo nella direzione giusta, peccato che sia incompiuto; basta comunque a provare che il federalismo non sarà una rivoluzione né rapida né epocale e che le attese miracolistiche diffuse dalla Lega rischiano di creare delusioni esiziali.

INCENTIVI PER LA LOTTA ALL’EVASIONE

È stata sistemata in modo accettabile la partita decisiva della sanità, in cui i costi standard saranno calcolati sulla media dei costi di tre regioni virtuose (la migliore e poi due scelte tra le prime cinque in modo da rispettare la rappresentatività territoriale e dimensionale). Importante è che sia stato mantenuto come criterio fondamentale per definire i fabbisogni regionali la popolazione pesata per classi di età, come suggeriscono gli studi di economia sanitaria e le migliori esperienze estere: criterio che c’è già, come segnalato da più autori su queste colonne, quando il Governo lo sbandierava come grande novità. Forse inevitabile, ma di sicuro insoddisfacente il rinvio di ogni determinazione per quanto riguarda le altre spese essenziali, ossia assistenza, istruzione, spesa in conto capitale per il trasporto locale. Su tutto si applica poi il saggio principio di gradualità che porta il sistema a regime a fine 2017.
Dal lato delle entrate, l’autonomia regionale conta principalmente sull’addizionale Irpef che nel 2013 potrà arrivare all’1,4 per cento su tutti i redditi e nel successivo biennio fino al 3 per cento sui redditi superiori a 15mila euro. Rilevante come strumento di autonomia anche la tassa automobilistica regionale, mentre pesano ben poco alcuni tributi minori che da statali si trasformano in tributi propri regionali. Rimane la libertà per la regione di ridurre l’Irap, purché non aumenti l’addizionale Irpef di più dello 0,5 per cento; ma sarà un lusso che quasi nessuna regione si potrà permettere. Novità poi nel calcolo della compartecipazione all’Iva che sarà commisurata al gettito effettivo e non a quello teorico commisurato ai consumi. Così si penalizza la regione in cui c’è maggiore evasione. Colpa dello Stato, si dirà, visto che l’Iva, come l’Irpef, è a gestione statale; ma è bene incentivare la regione a dare una mano allo Stato. E in effetti il decreto prevede, oltre agli effetti automatici del criterio del gettito effettivo, robusti incentivi per il concorso delle regione alla lotta all’evasione.

FEDERALISMO AD ALTA SOLIDARIETÀ

Resta il nodo della perequazione, pieno di difficoltà tecniche e di questioni politiche. Bisognerà travasare dalle regioni ricche alle povere quanto basta per assicurare ovunque la piena copertura dei fabbisogni standard per i servizi pubblici essenziali (e siamo ben oltre l’80 per cento della spesa regionale totale) nonché ridurre le differenze regionali in termini di capacità fiscale “in misura non inferiore al 75 per cento”. Su quest’ultima questione, il legislatore si è dunque finalmente espresso, sia pure rinviando ai soliti approfondimenti tecnici il compito di misurare le diverse capacità fiscali. E il principio secondo cui si perequa al 100 per cento sui servizi essenziali e al 75 per cento sul resto fa capire che sarà davvero federalismo ad alta solidarietà, come previsto nell’articolo 119 della Costituzione. E va bene così. Ma allora bisogna affrettarsi a sgonfiare le attese miracolistiche, che la Lega ha irresponsabilmente alimentato, di una rivoluzione rapida e forte nei rapporti Nord-Sud. Il cambiamento sarà lento e non vistoso, sia per la gradualità prevista sia perché il nuovo sistema, una volta arrivato a regime, non introduce grandi spazi di autonomia né consente forti differenze territoriali. Benvenuto quindi il federalismo, che promette più efficienza e correttezza nel governo locale, soprattutto al Sud, e consentirà alle regioni virtuose che vogliano cimentarsi con nuovi compiti di acquisire ulteriori competenze rispetto a quelle oggi previste. Ma attenti alle delusioni che seguiranno ai miracoli mancati.

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EMERGENZA UMANITARIA TRA IPOCRISIE E REALTÀ

  1. Ugo Pellegri

    Se ben capisco, il provvedimento comporterà un ulteriore incremento del carico fiscale per i contribuenti. Si parla infatti di facoltà delle Regioni di incrementare l’addizionale IRPEF, di passaggio di una parte dell’IVA, dallo Stato ancora alle Regioni, ma non ho trovato da nessuna parte qualche provvedimento che faccia supporre:una contestuale riduzione delle necessità finanziarie per mantenere l’elefantiaca struttura dello Stato, una conseguente riduzione dell’IRPEF. Il tutto mentre la burocrazia federale (Regioni, Provincie, Comuni, Municipi, Comunità montane, Comitati di quartiere e altri enti che la fervida fantasia dei politici locali inventa ogni giorno) diventa ancor dispendiosa di quella statale.

  2. bob

    Muraro forse Lei è ancora uno dei pochi che crede a questa favola. Poichè chi parla ha impresa privata, dove a fine mese bisogna far quadrare i conti e non raccontare favole, questa vergogna messa in piedi è solo un trabbocare di misera politica fatta da un clan che nel localismo ha trovato la vacca da mungere. Per cui non deve venirci a dire "attento ai leghisti delusi". Dovete stare attenti all’ira della gente paziente e operosa che sarà più forte di uno tsunami.

  3. luca

    Il problema di questo federelasimo sta nella quantificazione dell’oggetto della riforma, giusto e corretto è adottare il sistema del fondo perequativo e del calcolo basato sul merito per garantire i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme in tutto il terriotorio nazionale; ma dobbiamo ricordarci che il nostro sistema delle autonomie territoriali a seguito della riforma del titolo 5 della costituzione e della legge 131 devolve e assicura ben altri spazi di autonomia conferendo e allocando complessivamente una serie di funzioni che non si "autofinanziano magicamente". Questo è un grosso problema da risolvere dal punto di vista sia giuridico che finaziario. L’unica prospettiva per cucire lo strappo sarebbe dilatare il concetto e la catagoria dei livelli essenziali in via intepretativa, ma così facendo si legittimerebbe un’indebita ingerenza dello stato tenuto a garantire i livelli essenziali ex art 117 Cost., con il rischio di un nuovo accentramento.

  4. Carlo Grezio

    Delusione dei leghisti? Ma chi se ne frega dei leghisti. Hanno inventato questa cialtronata inverosimile del federalismo regionale e lei fa anche finta di crederci. Quando ogni regione italiana (tra l’altro istituzione assolutamente inutile e prima tra quelle da abolire in una logica di riorganizzazione della pubblica amministrazione) avrà finalmente un bilancio analogo a quello della regione siciliana, credo il peggior esempio al mondo di gestione politica ed economica, il federalismo leghista sarà compiuto.

  5. Luigi

    Scusi ma la misura del 75 per cento per le altre spese dove è indicata nel testo? A me pare che si enuncia solo il principio per cui le regioni con più capacità fiscale alimentano il fondo mentre le altre partecipano alla ripartizione. Per il resto si rimanda solo a un successivo D.P.C.M.

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