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UNA NUOVA REGOLA: NON PAGA PANTALONE

L’enorme debito pubblico, unito allo scarso supporto politico di cui godono le riforme, rende l’Italia un osservato speciale delle agenzie di rating e delle organizzazioni internazionali. Come rassicurare agenzie e italiani di domani? Con una nuova regola: “Non paga Pantalone”. Significa la fine del populismo come prassi politica. Quel populismo che porta a sottolineare solo l’aspetto politicamente pagante e di parte delle politiche e a far apparire le riforme come stupidi sacrifici. Mentre si dovrebbe parlare sempre dei due lati del bilancio pubblico: le entrate e le uscite.

 

L’enorme debito pubblico rende l’Italia un osservato speciale delle agenzie di rating e delle organizzazioni internazionali. È proprio per il persistere dell’elevato debito pubblico (il quarto del mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Germania) che Standard and Poor’s, una della tre grandi agenzie di rating, ha abbassato da “stabile” a “negativo” il suo parere sulle prospettive future di buon pagatore dello Stato italiano. Vuol dire che, secondo gli analisti di S&P, la Repubblica italiana non è già oggi meno affidabile come prenditore a prestito, ma potrebbe diventarlo da qui a due anni. Dopo pochi giorni sono venuti toni più rassicuranti da parte delle altre due grandi agenzie di rating. A differenza di S&P, sia Fitch sia Moody’s sembrano riconoscere al governo italiano un’immutata capacità di tenere sotto controllo la dinamica dei conti pubblici nazionali. E però con mercati finanziari innervositi dalla spada di Damocle del default greco il parere anche di una sola agenzia di rating ha comunque pesato. Alla riapertura dei mercati, il differenziale di rendimento tra i titoli del debito a dieci anni dell’Italia rispetto ai titoli tedeschi con la stessa scadenza ha raggiunto un massimo di 187 punti base, arrivando cioè ai massimi da inizio 2011. E Piazza Affari ha perso quasi tre punti e mezzo, uno e mezzo in più delle altre borse europee.

CHE COSA PREOCCUPA LE SOCIETÀ DI RATING

Perché le agenzie di rating abbiano opinioni diverse è presto detto. "Non vediamo al momento alcuna modifica dell’outlook o del rating sovrano dell’Italia" ha detto a Reuters l’analista di Fitch David Riley. Fitch (e Moody’s) non vedono nessuna notizia, dunque. Il governo italiano ha riconfermato i suoi impegni in tutte le sedi e il suo piano di risanamento ha ricevuto il semaforo verde da Fondo monetario e Commissione europea. Di che cosa si preoccupa S&P allora? Si preoccupa del domani. L’agenzia ha spiegato in una nota che ritiene “deboli le attuali prospettive di crescita dell’Italia” e “incerto l’impegno politico nelle riforme tese a migliorare la produttività”.
La prima preoccupazione di S&P è ben esemplificata nelle 430 e passa pagine del “Rapporto 2011 sulla situazione del paese” presentato dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini a Montecitorio, per la prima volta arricchito di un’ampia analisi congiunturale, grazie all’innesto delle competenze dell’ora scomparso Isae all’interno dell’Istat. Nel Rapporto sono documentate con precisione e in modo approfondito due conclusioni, note a tutti, ma non abbastanza comprese dalla politica. Primo, la crescita italiana degli ultimi dieci anni è stata la più deludente tra tutte le grandi economie dell’Unione Europea – sia quelle coinvolte nel grande party della finanza creativa sia quelle che se ne sono tenute fuori come la Germania. Secondo, l’uscita dalla crisi è a macchia di leopardo con un numero limitato di grandi e medie imprese che vincono sui mercati esteri vicini e lontani e tante imprese e famiglie che arrancano e sperimentano nuove forme di difficoltà sociale ed economica, oppresse da uno Stato inefficiente e dalla globalizzazione. A meno che non cambi qualcosa, la crescita dell’economia italiana per i prossimi dieci anni assomiglierà a quella degli anni precedenti alla crisi, dunque sarà vicina all’uno per cento l’anno.
E qui viene la seconda preoccupazione degli analisti di S&P: le riforme di cui si parla da anni come urgenti (il fisco, l’amministrazione dello Stato, l’accesso alle professioni, il mercato del lavoro) potrebbero ridare fiato alla corsa dell’Italia globale ma, nell’attuale scenario politico, la loro approvazione diventa fantascienza. Con dibattiti parlamentari il cui ritmo è dettato dai problemi del presidente del Consiglio e con la prospettiva di governi legati all’assemblaggio di Responsabili e Coesi galoppa il male di sempre della politica italiana: il populismo. Come ai tempi del pentapartito Dc-Psi-Pri-Psdi-Pli, ma anche del secondo governo Prodi, quello dei 66 sottosegretari e 10 viceministri, è inevitabile che per tenere insieme governi di coalizione litigiosi la politica diventi l’arte del rinvio al futuro delle scelte difficili. Ma se a vincere è il ricattatore più rumoroso (“Chi vusa püsé la vaca l’è sua!”, si dice a Milano), le riforme – e i costi della loro attuazione – non possono che apparire stupidi sacrifici che sprecano consenso politico. E però con il populismo cresce lo Stato inefficiente e il treno della globalizzazione corre in territorio tedesco, sfiorando soltanto l’Italia. E S&P si preoccupa della sostenibilità del nostro debito pubblico.

COME RASSICURARE S&P E GLI ITALIANI DI DOMANI

Un’abitudine pluri-decennale non cambia dall’oggi al domani, ma si può fare qualcosa per rassicurare S&P (e gli italiani di domani). Si tratta di accettare davvero il principio del “Non paga Pantalone”: con una comune assunzione di responsabilità, tutti i partiti politici potrebbero prendere un impegno vincolante a presentare proposte che non aumentino il debito pubblico in nessun anno fiscale. Non è impensabile: l’articolo 81 della Costituzione italiana esiste già e al suo comma 4 dice “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”. E in fondo è proprio la scoperta del rigore fiscale ai tempi di Amato, Ciampi, Dini e Prodi che ha portato l’Italia nell’Unione monetaria. Ed è proprio la tenacia di Giulio Tremonti nel difendere i conti pubblici che ci ha risparmiato guai peggiori durante la crisi. Quindi una buona base di partenza c’è già.
Ma tutti i giorni si legge di questa o quella componente della maggioranza che vorrebbe “una svolta di politica economica”. Parole usate spesso anche dai partiti dell’opposizione, che oscillano tra difesa della linea rigorista e ritorni di fiamma per le politiche keynesiane di deficit, magari auspicando “una nuova politica industriale”. Anche a livello locale Letizia Moratti, per difendere la sua “cadrega” traballante, non trova di meglio che promettere la cancellazione delle multe o cancellare l’Ecopass che lei stessa aveva introdotto come misura anti-smog senza spiegare come coprirà i buchi di bilancio.
Così non si va da nessuna parte. È solo con il “Non paga Pantalone”, cioè tenendo la barra a dritta contro il deficit anche negli anni futuri, che le riforme possono sperare di entrare in modo più incisivo nell’agenda della politica. Èil populismo che porta a sottolineare solo l’aspetto politicamente pagante e di parte delle politiche e a far apparire le riforme come stupidi sacrifici. Ed è solo il suo abbandono che può far crescere il consenso per le riforme, introducendo nel dibattito politico l’abitudine a parlare sempre dei due lati del bilancio pubblico: le entrate e le uscite. È un sentiero stretto, ma un paese con un debito pubblico pari a 118 punti di Pil sulle spalle non ne ha un altro da percorrere.

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38 commenti

  1. Alessio B

    Ho letto il primo paragrafo e mi sembra alquanto lacunoso e impreciso: si vuole dimostrare una tesi con dei numeri che poco dicono. Si parla di spread ai massimi dell’anno non riconoscendo che il movimento è stato davvero esiguo se confrontato con il movimento degli altri paesi europei. Poi dire che il FtseMib ha perso il 3.3% ovvero l’1.5% in più rispetto agli altri indici è davvero una cantonata: sull’indice sono stati staccati dividendi cash agli azionisti per l’1.88% di valore=se l’indice avesse chiuso a -1.88% significava pareggio. In conclusione il nostro indice ha perso meno degli altri indici europei. Sono davvero amareggiato per queste vostre mezze verità.

    • La redazione

      Caro Alessio B., non c’è nessuna mezza verità. Prego vedere la risposta a Jorge. Grazie.

  2. Alessio Calcagno

    Perfetto articolo. Non credo però in una presa di coscienza della politica al concetto del “Non paga più pantalone”. Ho fiducia nel FMI. Speriamo che l’Italia non venga commissariata troppo tardi.

    PS Nel prendere le decisioni drastiche di cui si parla bisognerebbe avere maggioranze solidi ed omogenee (nella realtà, non a livello figurativo come l’attuale Pdl o l’ex Ulivo). Ergo serve una legge elettorale maggioritaria a doppio turno.

    • La redazione

      Non credo affatto che l’Italia abbia la necessità di essere commissariata da nessuno. Auspico solo che durante una campagna elettorale non si faccia più ricorso al Paga Pantalone. Se la sinistra vuole più spesa sociale, indichi dove prende i soldi tagliando altre voci di spesa o aumentando le tasse. Se la destra vuole tagliare le tasse, indichi dove taglierà la spesa o quali altre tasse aumenterà.

  3. roberto fiacchi

    Penso che il nostro Paese necessiti di un cambiamento significativo per non continuare solo a “tirare a campare”: quindi è poco semplicemente “tenere i conti in ordine” o continuare ad evocare generiche “riforme”. Senza uno slancio innivativo della politica non può essere intrapresa alcuna giusta strada. La speranza pertanto non deve cessare di far battere i nostri cuori e soprattutto l’mpegno personale per ciò che è possibile. Credo che ai responsabili attuali della politica debbano essere date, dagli elettori, delle lezioni, altrimenti nulla si muoverà. Infatti ciò renderebbe necessario di dare spazio ai migliori, come è avvenuto in ogni fase molto difficile e compromessa. E’ vero che la perfezione non è di questo mondo, ma perchè la salvaguardia di una nota imperfezione deve essere di questa nostra Italia?

    • La redazione

      Perché il cambiamento significativo possa sperare di godere di una maggioranza in Parlamento, occorre il Non Paga Pantalone. Altrimenti arriverà sempre qualcuno a promettere la Luna e sconfiggerà quelli che propongono sacrifici oggi per benefici domani.

  4. Claudio

    "E in fondo è proprio la scoperta del rigore fiscale ai tempi di Amato, Ciampi, Dini e Prodi che ha portato l’Italia nell’Unione monetaria". Sarebbe il caso che si diventi tutti un pochino demagogici per imporre a lor signori in primis di diminuire il debito pubblico partendo dai loro più che munifici emolumenti dando così il buon esempio "del buon padre di famiglia". Claudio

  5. bob

    Non pagherà un Pantalone ma ben 21! Il debito pubblico è il risultato della “regionalizzazione” folle di questo Paese, oggi gli abbiamo cambiato nome si chiama “federalismo” in pratica la follia di un masaniello che nel localismo più becero e moltiplicato ha trovato una vacca da mungere. Basta guardare la sfacciataggine ultima sullo spostamento dei ministeri a Milano, se non vanno i ministeri facciamo dei “dipartimenti” in pratica pochi posti per gli amici. Andate a fare un giro a Verona per vedere e toccare con mano cosa vuol dire voto di scambio (a paragone Napoli fa la figura del pivello). Allora Professore di quale populismo parliamo?

    • La redazione

      Caro Bob, ha ragione. Il federalismo presenta il rischio della moltiplicazione dei Pantaloni. Ma anche una qualche potenzialità di rendere più monitorabili i decisori di spesa.

  6. BOLLI PASQUALE

    “Di doman non c’è certezza”: con quali argomenti possiamo supportare una convinzione diversa per rassicurare agenzie di rating ed organizzazioni internazionali sul futuro della nostra economia? Il compito sarebbe veramente arduo! Per fortuna la psicologia insegna che il futuro non appartiene ai mortali. Se poi un’analisi prospettica del futuro volessimo proprio farla, e la facciamo dalla nostra attualità politica-economica-finanziaria dovremmo dire che, poi, le valutazioni non sono state veramente negative: la politica è inestente, il mercato è fermo, il lavoro non c’è, le famiglie soffrono ed i giovani ed i meno giovani non hanno più motivo di esistere. Tutto scaturisce da un debito pubblico la cui gravità viene, da una politica irresponsabile, completamente oscurata dicendo che “i conti sono in ordine” o come dice Tremonti “i conti tengono”. Perchè non si fa prendere coscienza che con questo debito non si va da nessuna parte e l’economia non potrà mai ripartire? Gli italiani sono in letargo, ma il risveglio sarà molto amaro. Le riduzioni delle imposte, le grandi opere, gli spostamenti dei Ministeri ed altro, sono solo favole e populismo per gente che ha più piedi in cielo che in terra.

    • La redazione

      Per questo propongo il Non Paga Pantalone. E’ un primo passo, a mio avviso necessario, per fare i passi successivi.

  7. Jorge

    Le tesi generali presentate non sono certo infondate, ma la affermazione: “….il parere anche di una sola agenzia di rating ha comunque pesato. Alla riapertura dei mercati, il differenziale di rendimento tra i titoli del debito a dieci anni dell’Italia rispetto ai titoli tedeschi con la stessa scadenza ha raggiunto un massimo di 187 punti base, arrivando cioè ai massimi da inizio 2011. E Piazza Affari ha perso quasi tre punti e mezzo, uno e mezzo in più delle altre borse europee.” è semplicemente non fondata: come già precisato, tenendo conto dell’effetto “tecnico” dello stacco dividendi, alla riapertura di lunedì 23 la Borsa italiana ha perso addirittura meno delle altre maggiori Borse della zona euro (Francia e Germania incluse), mentre il peggioramento dello spread sul Bund, lieve e inferiore agli altri paesi “non core”, è stato causato da un aumento delle preoccupazioni per la Grecia.

    • La redazione

      Giusta precisazione. Mi scuso per l’imprecisione relativa al mercato azionario. Che cosa abbia causato il peggioramento dello spread sul bund invece non lo so con certezza. Peraltro per essere precisi, la mia frase cominciava con "E però con mercati finanziari innervositi dalla spada di Damocle del default greco, il parere bla bla". Accettata la precisazione, la domanda è: in che cosa la precisazione inficia il resto dell’articolo? A mio avviso, in niente.

  8. Giuseppe

    La scarsa diffusione dei principi liberali nel nostro paese è forse il principale motivo della difficoltà di selezionare classi dirigenti di adeguato livello.Troppe volta si sente ancora dire “a me della politica non mi importa niente” oppure “io di politica non ci capisco niente”. In questa situazione auspicare la fine del populismo come prassi politica mi sembra purtroppo una vaga speranza. Una crescita culturale che includa la comprensione del pensiero liberale da parte di larghi strati della popolazione è una condizione indispensabile ad una svolta politica ed economica. E per questo il Prof.Daveri, insieme a tanti altri sinceri liberali, possono fare molto. Buon lavoro.

    • La redazione

      Grazie. Vedere la cosa pubblica come una cosa di tutti e quindi anche nostra (e non di nessuno) è il primo passo.

  9. bob

    “Qualche potenzialità di rendere più monitorabili i decisori di spesa”. egregio Daveri il monitoraggio della spesa pubblica non si fa con la “bufala federalista” ma con un semplice regola, che a me imprenditore privato viene applicata ogni minuto: assunzione di responsabilità! Capisco i momenti storici diversi, ma questo Paese ha avuto l’impostazione di Nazione fino agli anni ’60 cioè con un Governo centrale di programmazione. Possiamo sicuramente dire che ci sono state cose fatte male o direi applicate male, ma i risultati economici, di crescita di programma industriale sono scritti nella Storia. Dopo la follia! Di cosa parliamo oggi di un odontotecnico che mette mano all Costituzione fatta da Calamandrei, De Gasperi etc.? Neanche in Sudan succede una cosa simile. La colpa caro Daveri a mio avviso è stata soprattutto della classe intellettuale, di Voi! Che per un piatto di minestra quotidiano avete barattato il ruolo di studiosi lungimiranti quali dovreste essere. Vi rendete conto che sono 20 anni che non si parla altro che di beceri localismi, terreno ideale per ladri mediocri. Non si sente più parlare di distretti industriali!

    • La redazione

      Caro Bob, non capisco bene che cosa avremmo barattato. Comunque concordo sul fatto che uno dei problemi più gravi nell’attuare il federalismo si quello di trovare una classe politica locale che non colluda con quelli che deve governare o regolare a spese degli altri cittadini. E l’unica difesa è il principio di responsabilità delle proprie azioni.

  10. giancarlo

    Molto d’accordo su quasi tutto.
    1): Daveri dice:” Ed è proprio la tenacia di Giulio Tremonti nel difendere i conti pubblici che ci ha risparmiato guai peggiori durante la crisi.” Sembra un giudizio assolutorio, ma sarebbe meglio dire, se non altro per amore di verità, che il Tremonti di oggi difende i conti perchè spaventato dalla Grecia e dalla Merkel, ma che si tratta dello stesso ministro che ha peggiorato i conti lasciati dal 2° Prodi, lo stesso delle cartolarizzazioni e altre amenità….
    2) Giusto che non paghi Pantalone, Ovvio. Qualcuno però dovrebbe cominciare a dire che deve pagarlo questo impoverimento europeo. Il PD dice: le rendite finanziarie. Marcegaglia dice: pantalone, ovvero tagli al welfare. Gli “Indignati” dicono: non pantalone ovvero più wf. E “La Voce” ?
    3) Una curiosità. Lagarde, candidata al FMI ha detto: “essere europea non vorrei che fosse un handicap”. Vien da ridere: con le performance delle economie UE, crede forse di avere molto da insegnare ? Possibile che non sia praticabile una gestione delle finanze pubbliche che regga un buon welfare e non distribuisca debiti? Saluti

    • La redazione

      1) Il Tremonti del 2001-2004 era un ministro che tagliava le tasse senza tagliare le spese, e quindi doveva inventarsi cartolarizzazioni, condoni e altri strumenti di finanza pubblica creativa per finanziare il deficit. Il Tremonti dei tempi di crisi e – a onor del vero – anche della campagna elettorale del 2006 è un ministro che ha fatto proprio il Non Paga Pantalone. E’ giusto sottolinearlo. Si può poi dissentire da come mette in equilibrio i conti, cioè rinviando al futuro la spesa anziché ridurla sul serio oppure cancellando irresponsabilmente l’Ici mentre si va verso l’attuazione del federalismo fiscale. Ma, dal mio punto di vista, è importante che si sia convertito al principio del Non Paga Pantalone.
      2) Sarà ovvio ma è quello che è sempre successo: in Italia la spesa pubblica l’ha sempre pagata Pantalone. A mio giudizio, l’impoverimento dovuto alla crisi dovrebbe essere equamente distribuito tra le varie categorie di cittadini. Non è quello che è successo: durante la crisi, le disuguaglianze si sono accresciute. Come ho spiegato in un articolo precedente io credo in politiche fiscali che incoraggino le piccole aziende ad assumere lavoratori a tempo indeterminato. E in politiche del lavoro che riducano il dualismo tra garantiti e non garantiti.

  11. Maurizio

    Io vorrei riflettere sul fatto che l’Italia è un paese di “vecchi” già abituati a chiedere solo diritti per tutta la vita ma che con l’avanzare dell’età e avendo bisogno di assistenza non sarà disponibile a sacrifici di sorta e dunque sarà sempre incline a votare leader irresponsabili ma che promettono ciò serve anche se questo va a discapito delle nuove generazioni ridotte a minoranza oppressa. Pensare che una società vecchia e corporativa sia disponibile a rivoluzione il proprio modo di pensare (il merito, i sacrifici, ecc) mi sembra ingenuo solo una trauma può portare a più miti consigli e pertanto finché non arriviamo alla condizione della Grecia (tagli alle pensioni, agli stipendi pubblici, all’assistenza ecc ecc) il Paese non cambia e non sarà neanche disponibile ad avviare un percorso virtuoso di crescita e risanamento.

    • La redazione

      In effetti in un paese che invecchia c’è un forte rischio di “sclerosi decisionale” e di scelte che guardano indietro. Ma sarei più ottimista: anche le persone anziane possono adeguarsi rapidamente ai cambiamenti se vedono che i cambiamenti proposti non sono estemporanei ma portano a qualcosa. Se non altro per i loro figli e i loro nipoti, non per Standard & Poor’s.

  12. Roberto

    Condivido (quasi) tutta l’analisi ed anche l’inizio di terapia suggerita dal Prof. Daveri. Che la nostra situazione sia nera e le prospettive siano ancor più scure è noto agli analisti (cito, fra i tenti esempi, questo illuminnate articolo di pochi giorni fà), purtroppo molto meno noto alla stragrande maggiorana degli italiani, compresi molti operatori finanziari che pensano (e consigliano ai loro clienti/riparmiatori), sotto sotto, che alla fine “…io speriamo che me la cavo”. Forse, alla fine, è proprio di una bella paura, ma di quella vera, di vedere fallito il proprio paese, falcidiati i propri risparmi, ridotti in miseria; è di questo spettro che ci sarà bisogno per prendere decisioni molto impopolari, ma che affrontino, nel concreto, i nodi che ci fanno crescere di un misero 0,6% medio annuo (dato pre-2008, perché dopo la crescita media è negativa!). Abbiamo, anche in Eurpa, un esempio di come si può risollevare un paese, senza smantellare i principi di giustizia sociale e di equità, ma introducendo il merito, l’efficienza, ecc: la Svezia. Perché non provarci anche noi?

    • La redazione

      Giusto, i dati macroeconomici della Svezia post-crisi sono semplicemente stupefacenti e non se ne parla abbastanza qui da noi. Gli svedesi non hanno bisogno dell’euro perché la disciplina se la danno da soli. Pagano tante tasse e hanno anche loro troppi dipendenti pubblici ma la loro pubblica amministrazione e le loro scuole funzionano bene. Ma l’Italia non può diventare la Svezia dalla sera alla mattina.

  13. BOLLI PASQUALE

    Prevedere le entrate in correlazione alle uscite per una giusta impostazione di bilancio è cosa saggia è giusta, ma altrettanto dovremmo dire che per la concreta attuazione della regola “non paga pantalone” sarebbero ugenti, essenziali e severe norme penali per punire i politici di ogni colore e provenienza che molto spesso, più in mala fede che per involontari errori, causano danno alla comunità nazionale. Su questo argomento la politica nicchia e non sente, perchè fa comodo. Chi causa con il comportamento per suo interesse e non, un danno patrimoniale – finanziario all’inconsapevole popolo dovrebbe finire nelle patrie galere senza attenuanti, ma con solo aggravanti. Questo, però, per chi ci governa non è cosa saggia e giusta! Non riformare la politica con i suoi impossibili costi per le nostre finanze e, quindi, per il contenimento del debito pubblico non è già trasgredire il concetto del “non paga pantalone”? Non avere accorpato referendum con elezioni amministrative a danno delle nostre finanze a chi dovremmo imputarlo se mirava, solo, alla eliminazione del “legittimo impedimento”? Di questo passo,egregio Professore, più che i pantaloni pagheranno le…mutande!

    • La redazione

      Rendere ineleggibile al turno successivo chi non rispetta il Non Paga Pantalone sarebbe una penale sufficiente nella maggior parte dei casi.

  14. bob

    “…..trovare una classe politica locale….” Daveri questo Paese ha bisogno di una classe politica nazionale di alto livello. Questo Paese ha bisogno di smantellare tutti questi assurdi localismi. Parliamo di federalismo con Comuni di 150 abitanti residenti? La gente comune e avanti di un secolo a questa misera classe politica.

    • La redazione

      Il federalismo dei micro comuni non ha senso. Ma liberarsi dei localismi nel paese dei mille campanili vorrebbe anche dire buttare a mare il capitale sociale che a volte rappresenta ciò che rende diversi i prodotti dei distretti italiani nel mondo. E poi a questo mito che la gente comune sia più avanti dei politici non ci credo. La classe politica esprime mediamente il paese. Anche per problemi di lingua: le aziende possono andare a cercare un bravo manager all’estero e così Lactalis può provare a rimpiazzare Bondi se ritiene che Parmalat sia mal gestita. Ma per la gestione della cosa pubblica sarebbe complicato andare ad assumere un Tony Blair.

  15. Emilio Odescalchi

    Da neo-economista condivido da anni il concetto insito nell’economia contadina: non è possibile distribuire il raccolto che non c’è. Il ciclo contadino della semina, crescita del seminato, raccolto, lavorazione e distribuzione è sempre disturbato da eventi esterni (fattori climatici e naturali: cavallette, funghi, malattie delle piante ecc) e produttivi: senza contadini il raccolto rimane lì a terra. I tempi per arare, seminare, coltivare e curare e raccogliere sono dettati dalla natura e sono stretti. Così è per gli Italici, alti costi e bassa produttività. In più il terreno dove si dovrebbe raccogliere non è stato arato e rigenerato. E’ esaurito, invecchiato ha bisogno di fertilizzante, di tempo bello, di pioggie lievi e persistenti e di contadini fiduciosi, produttivi e capaci. E’ pieno di erbacce, gramigna parassiti, funghi, muffe che uccidono il raccolto prima che vegeti. Occorre disinfestare, lavorare, dissodare, poi seminare con nuova semenza.. Auguri a chi ci proverà, nel frattempo il grano per il pane dobbiamo comprarlo all’estero, il debito sale e la fiducia dei fornitori in un buon raccolto da tempo promesso, cala. Cercasi Agricoltori e Contadini, Agronomi.

    • La redazione

      Caro Emilio, la sua è una rappresentazione molto classica, se non biblica, dell’economia che piacerebbe molto al ministro dell’Economia.

  16. santeanton

    a)-Il10 per cento delle famiglie più ricche possiede, da solo, il 40 per cento dello stock di attività finanziarie (con l’esclusione di riserve assicurative e fondi pensione) dell’insieme delle famiglie. b)-Il 10% più ricco detiene il 45% di tutta la ricchezza nazionale (reale e finanziaria al netto delle passività). Per caso a qualcuno non viene in mente che con l’1% di “patrimoniale” (in senso allargato), si risolverebbero i nostri problemi?

    • La redazione

      A me no. La patrimoniale soffre dello stesso difetto dei condoni: il governo che la usa non può credibilmente promettere che sarà l’ultima.

  17. bob

    Prof. Daveri il Paese dei mille campanili è retorica che non serve più o forse non è mai servita per andare a conquistare i mercati esteri. Non siamo questo Paese esportatore che vogliamo far credere. Se va in giro per il mondo trova 4 auto Fiat. Se va negli scaffali di un supermercato di Londra o Berlino gli spazi per i prodotti italiani sono pochi. Il campanile si salvaguarda con altre iniziative che non devono interferire con la politica di un Paese. Altrimenti facciamo come il Formigoni di turno che trombato a Roma va in giro all’estero a "giocare" allo "statista" come "governatore" della Lombardia. Siamo ridicoli!

    • La redazione

      La cosa migliore per capire se il Made in Italy è apprezzato non è quello di contare il numero di Fiat lo di guardare gli scaffali dei supermercati esteri ma quello di guardare ai dati dell’export che sono tornati per fortuna ad essere molto positivi.

  18. giancarlo

    Non so se è corretto rispondere ad una risposta di Daveri, ma avrei bisogno di un approfondimento. La questione è questa: il Pantalone italiano (come quello giapponese) è il più tenace risparmiatore del mondo. Come può (come poteva..) risparmiare così tanto se non usufruendo della spesa pubblica? Vuoi con l’evasione, vuoi con il doppio lavoro, vuoi con servizi gratuiti, pensioni etc, impiego pubblico per le mogli… Questa è la spesa pubblica che da decenni tiene alti i consumi. E’ giusto comprimerla? E’ sensato? Naturalmente è meglio tagliare quella militare, inserire micro-percentuali di patrimoniale alle persone più ricche…come suggeriva Stiglitz, che però sconsolato si chiedeva come sarà mai possibile che chi governa colpisca se stesso? Pardon.

    • La redazione

      Non sappiamo con precisione perché Pantalone sia così risparmiatore. Secondo me, con un debito pubblico al 120 per cento del Pil, Pantalone risparmia molto anche perché ha paura del futuro, di dover far fronte a qualcosa di imprevisto (un aumento improvviso delle tasse, un sistema sanitario che non regge più). In ogni caso, vorrei chiarire che il principio del Non Paga Pantalone non implica necessariamente che si debba tagliare la spesa, ma solo che chi vuole aumentare la spesa pubblica deve spiegare dove prende le risorse per finanziarla. Oggi, non nel futuro. Personalmente credo che la spesa pubblica sia oggi troppo elevata, che dovrà essere ridotta in futuro e che dovremo abituarci a ridefinire chi fa che cosa tra settore pubblico e settore privato. Non basterà tagliare la spesa militare che è poca cosa. E di patrimoniali meglio non parlare nemmeno.

  19. AM

    Un commentatore si chiede se vi sia una correlazione fra l’elevato tasso di risparmio degli italiani e la altrettanto elevata spesa pubblica. L’osservazione non è campata in aria. Nel caso dell’assistenza sanitaria indubbiamente se si è curati gratis si può ma non necessariamente si risparmia. Tuttavia se si debbono pagare le cure vi è l’alternativa o si sottoscrive una polizza o si deve preventivamente accantonare risparmio come riserva per eventuali spese sanitarie future. Comunque a livello di singole famiglie posso portare esempi di famiglie con il medesimo reddito: alcune risparmiano altre spendono tutto. Si deve ricordare che anche quando in una famiglia vi è un solo portatore di reddito i consumatori possono essere tanti. Il risparmio non è solo merito di chi ha un reddito, ma anche di chi resiste alla tentazione di consumare.

  20. massimo

    per salvare l’economia, più di 5000 euro non si può percepire, tutto il resto va allo Stato per risanare.

  21. giobatta

    Leggo per la prima volta l’articolo e guardo la data: e’ di un mese fa! le cose sono cambiate, in peggio! l’unica speranza e’ che gli italiani, quando saranno sull’orlo del baratro, sappiano trovare lo spirito di sacrificio e l’orgoglio per salvarsi. in quel momento e solo in quello ci sentiremo tutti fratelli, uniti per il bene comune. Mi passano nella mente immagini di mitiche partite e tornei mondiali della nazionale, di film della tragi-commedia all’italiana, che ben rappresentano le mie considerazioni. Usque tandem, Italia!

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