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QUELLE REGIONI ANCORA PIÙ SPECIALI

La riforma del federalismo fiscale avrebbe potuto essere l’occasione per intervenire sull’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale, eliminando alcuni privilegi ormai anacronistici, per accettare la sfida di una maggiore trasparenza sui costi e di una spinta verso l’efficienza ed efficacia dei servizi pubblici. Invece, l’attuazione della riforma allarga ancora il solco con le Regioni a statuto ordinario. E si delinea una segmentazione anche del regime delle singole Regioni autonome, a tutto svantaggio di quelle del Sud.

La riforma del federalismo fiscale avrebbe potuto essere l’occasione per intervenire sull’ordinamento finanziario delle Regioni a statuto speciale (Rss), eliminando alcuni privilegi ormai anacronistici. Al contrario, l’attuazione della riforma sta ulteriormente allargando il solco fra le Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario (Rso). Inoltre, si sta delineando una incomprensibile “segmentazione” anche del regime delle singole Rss, a tutto svantaggio di quelle del Sud.

 LE REGIONI A STATUTO SPECIALE …

L’articolo 116 della Costituzione riconosce alle Regioni a statuto speciale “forme e condizioni particolari di autonomia” rispetto alle Regioni a statuto ordinario. In soldoni, ciò significa maggiori funzioni e (soprattutto) maggiori risorse, garantite attraverso un favorevole meccanismo di compartecipazioni al gettito di tributi erariali. Tale regime, emendabile solo previa intesa fra lo Stato e la singola Rss, comporta evidenti vantaggi che è sempre più difficile giustificare richiamandosi alle peculiarità storiche, linguistiche e culturali dei rispettivi territori. Da tempo e da più parti, pertanto, si auspica una revisione del loro ordinamento finanziario attraverso una graduale convergenza verso quello delle Rso.

 … E IL FEDERALISMO FISCALE

 La legge delega di riforma del federalismo fiscale riguarda fondamentalmente le sole Regioni a statuto ordinario. Nei confronti delle Regioni a statuto speciale si applica direttamente soltanto limitatamente ad alcuni profili particolari (finanziamento delle città metropolitane, perequazione infrastrutturale, interventi speciali di sviluppo e coesione), purché in conformità con i rispettivi Statuti. Per il resto, come regola generale (articolo 27), è previsto che partecipino al disegno della riforma “su base pattizia“, cioè secondo criteri e modalità che saranno stabilite da accordi bilaterali con lo Stato. Tuttavia, nella stessa legge delega si specifica anche che gli accordi dovranno disciplinare i modi in cui lo Stato assicurerà la perequazione a favore delle Rss “povere” (quelle “i cui livelli di reddito procapite siano inferiori alla media nazionale”, cioè Sardegna e Sicilia), e la perequazione dovrà realizzarsi coerentemente con lo spirito generale della riforma sul federalismo fiscale: riconoscimento dei diritti di cittadinanza nel campo dei servizi essenziali (sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico, eccetera) e loro valutazione sulla base dei fabbisogni standard. In altri termini, se perequazione ci deve essere, sarà fondata anche in queste Regioni sui fabbisogni standard.
La timida spinta a una razionalizzazione nell’assegnazione delle risorse finanziarie anche nelle Rss (che, per la verità, dovrebbe riguardare anche le Rss “ricche”) non ha trovato però traduzione concreta nei decreti legislativi di attuazione della riforma, che invece si sono attenuti a una rigida perimetrazione alle sole Regioni a statuto ordinario.
Ad esempio, non si applica alle Regioni a statuto speciale uno dei punti più qualificanti (almeno sulla carta) della riforma, e cioè il decreto sui fabbisogni standard degli enti locali che costituiranno, quando fissati, guida alla determinazione delle risorse da decentrare, ma anche corretta base finanziaria su cui poi costruire il monitoraggio sull’effettiva fornitura dei servizi. Addirittura comuni e province delle Rss si sono autoesclusi anche dalla fase iniziale oggi in corso, che è banalmente quella della raccolta delle informazioni, mediante questionari, sulle caratteristiche strutturali dei singoli servizi forniti a livello locale, su cui poi determinare la standardizzazione dei fabbisogni. Si tratta di una scelta miope e incoerente. Miope perché un vero federalismo fiscale non può prescindere da valutazioni che riguardano tutto il territorio nazionale. Incoerente per le Rss che già internamente governano la finanza dei propri enti locali, come le province autonome di Trento e Bolzano e il Friuli Venezia Giulia. E forse ancor di più per quelle, come Sicilia e Sardegna, in cui gli enti locali dipendono tuttora in parte dai trasferimenti diretti dallo Stato: nel momento in cui queste Rss dovessero rivendicare la responsabilità piena sulla finanza locale, la coerenza con l’impianto della riforma del federalismo fiscale richiederà che le risorse tributarie aggiuntive che lo Stato riconoscerà loro siano determinate in ragione dei fabbisogni standard dei servizi da finanziare. Va anche ricordato che la determinazione dei fabbisogni standard a livello nazionale non mortifica gli spazi di autonomia locale dato che, una volta assegnati i finanziamenti dallo Stato secondo i fabbisogni standard, rientra poi nella possibilità di ciascuna Regione intervenire modificando, d’accordo con i rispettivi enti locali, i criteri di attribuzione delle risorse tra comuni sulla base di valutazioni proprie di capacità fiscali e fabbisogni standard.
Ancora, le Rss si sono rifiutate di sottoporre i propri sistemi sanitari al (relativamente) nuovo regime della determinazione dei fabbisogni standard previsto dal decreto sulla finanza regionale. Per sostenere questa posizione, le Rss hanno argomentato che esse (o almeno quelle “ricche” del Nord) non dipendono dai trasferimenti dallo Stato per il finanziamento della sanità regionale, e ciò perché hanno compartecipazioni sui tributi erariali che già consentono una piena fiscalizzazione dei trasferimenti erariali. È difficile condividere questa posizione: non è sulla base del fatto che si è riusciti nel passato a vedersi assegnate quote rilevanti di risorse statali che ci si può tirar fuori dal meccanismo di standardizzazione delle risorse sanitarie e soprattutto dalle procedure di monitoraggio su efficienza ed efficacia dei servizi che al meccanismo sono collegate.

 IN ORDINE SPARSO

Nel frattempo le singole Regioni a statuto speciale hanno avviato la negoziazione one to one con lo Stato dei nuovi accordi in materia finanziaria previsti dalla legge delega. I contenuti degli accordi sono diversi per ogni singola Rss, il che pone non poche criticità in quanto toccano anche la delicata materia tributaria. Si stanno sviluppando singolari forme di “federalismo a statuto speciale” (vedi Barbero, 27.01.2011), con Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia che hanno conquistato maggiori poteri sulla disciplina dei tributi erariali interamente devoluti o compartecipati, differenziandosi così ulteriormente anche all’interno del drappello delle Rss. In pratica, già oggi Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia hanno mano libera su tutte quelle imposte statali che le altre Regioni a statuto speciale (oltre che quelle a statuto ordinario) possono modificare solo entro limiti molto ristretti e che il federalismo fiscale renderà solo in parte manovrabili. Si comincia dunque a osservare una “segmentazione” anche del regime delle singole Rss, a tutto svantaggio di quelle del Sud, la cui autonomia finanziaria di fatto si differenzia sempre meno da quella delle Rso.

UN’OCCASIONE DA NON MANCARE

 L’attuazione della riforma del federalismo fiscale dovrebbe essere l’occasione per rifondare su basi più razionali gli assetti finanziari delle Regioni a statuto speciale, correlando in modo chiaro e trasparente le risorse nazionali attribuite a quei territori alle funzioni di spesa aggiuntive che queste Regioni realizzano. Di ciò dovrebbero essere consapevoli le stesse Rss, che dovrebbero abbandonare l’atteggiamento conservatore spesso assunto per scommettere anch’esse, in un momento in cui è pressante l’esigenza di contenere la spesa pubblica, sull’opportunità più interessante offerta dalla riforma del federalismo fiscale, quella di una maggiore trasparenza sui costi, di una spinta verso l’efficienza ed efficacia dei servizi pubblici.

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SANTORO E DINTORNI

  1. Silvi

    In una famiglia, quando un figlio ha bisogno, si cerca di aiutarlo "figlio speciale"; L’aiuto non può essere a vita, soprattutto quando gli altri figli hanno lo stesso bisogno dei "figli speciali" e non si riesce ad aiutarli come si dovrebbe; Dovrebbero essere, anche, i "figli speciali" a fare un passo indietro ed essere disponibili ad aiutare gli altri figli, come é stato fatto con loro; Invece è divenuto un "diritto acquisito" ed i genitori non riescono ad essere imparziali. E’ proprio vero che la "famiglia" è malata e che non è più la base sana del sistema.

  2. matteo

    Concordo pienamente Le Rss non possono (non vogliono) convergere verso le Rso e queste ultime, che potrebbero (e vorrebbero) convergere verso le prime (lo prevede lo stesso art. 116 Cost. ma finora nessuno si è dato pena di attuare questa previsione) sono bloccate.

  3. severo cereda

    Le Rss sono ormai un non senso, le inventano tutte pur di spendere i traserimenti che ricevono,
    esempio dare un contributo per i fiori sui balconi o ai proprietari per il taglio dell’erba nei prati. Cè chi pensa che con il federalismo sarà una cuccagna per tutti.

  4. P. Magotti

    Si dovrebbe estendere il modello Trentino Sudtirol e Friuli Venezia Giulia alle altre regioni, non "ordinarizzare" quelle speciali. Le 2 regioni citate trattengono sul territorio una percentuale delle imposte con cui finanziano come meglio credono i servizi offerti. Se li spendono male, ci penseranno gli elettori. Questa è la mia idea di federalismo. Il problema dei costi standard nasce perché ci sono regioni inefficienti che non sanno spendere e a regime non riescono a finanziare i loro sprechi con la loro imposizione, ma si vuole comunque aiutarle con trasferimenti "giustificati". Il vero federalismo si ha guardando le RSS del nord, non quello caotico e "all’italiana" creato di recente a roma.

  5. P

    1. E’ fuorviante parlare di fabbisogni standard invece che di costi standard: lo standard dovrebbe essere relativo a quanto costa erogare un certo servizio, non a quanti soldi chiedi allo Stato centrale: 2. Sono in gran parte cadute le ragioni originarie alla base dell’istituzione delle RSS: le minoranze linguistiche sono ben tutelate, anche troppo, chi amministra bene lo farebbe anche se la Regione fosse a SO, e chi amministra male lo stesso. Comunque l’abbondanza (anche relativa) di risorse porta inevitabilmente a sprechi, quando va bene. Quando va male…. 3. Se aumenta il grado di autonomia, aumentano anche le differenze: qual è il quadro nazionale entro il quale comunque occorrerebbe stare, per evitare differenze ingiustificate e talvolta odiose? Se aumenta l’autonomia, deve essere rafforzato lo Stato centrale, non indebolito, non come amministrazione, ma come autorevolezza politica e legislativa, come è negli stati federali: a qualcuno verrebbe mai in mente di spostare un ministero da Berlino o da Washington?

  6. Enrico A.

    Come già detto dal Sig. P. Magotti, la soluzione è parificare le rso alle rss, non il contrario, cosa che sembra un misto tra invidia e desiderio di vendetta delle "non beneficate" rso ed una specie di programma sovietico di "livellamento verso il basso"…a quanto pare sembra che l’italia e gli italiani sarebbero più felici all’idea di essere tutti poveri allo stesso modo, piuttosto che tutti privilegiati in egual misura. E’ questo pensiero che ha prodotto decenni di amministrazioni inefficienti e sprecone, aggrappate alla politica assistenzialista dello Stato.

  7. giorgio ponzetto

    In un modello federale serio non c’e alcuna ragione oggettiva per mantenere la differenziazione (fatti salvi gli interventi perequativi) fra regioni ordinarie, speciali, province autonome. Tutte dovrebbero avere risorse proprie e partecipazioni ai tributi statali stabilite secondo criteri omogenei. Con criteri altrettanto omogenei dovrebbero essere calcolati i costi da finanziare con fondi statali. A nessun ente dovrebbe essere consentito di non fornire i dati utili ai programmi e ai riscontri nazionali. Se invece si accentuano le differenze fra le regioni dando addirittura spazio alle negoziazioni fra Governo centrale e singoli enti, si crea un sistema confuso, costoso e, soprattutto, profondamente ingiusto. Già oggi i dati di quanto da e quanto ricevono i cittadini delle diverse aree geografiche lo dimostrano. Se i cittadini dei Comuni piemontesi al confine con la Valle d’Aosta vogliono passare a questa regione e quelli veneti alle province autonome, vuol dire che già attualmente le risorse non sono distribuite correttamente e che occorre invertire la rotta e ridurre le differenze: ma, a quanto pare la politica segue altre logiche.

  8. Adronio

    Ma lo sapete che le ferrovie italiane finiscono a Venezia? Il territorio più a oriente non interessa alle FS. Lo stesso per tutto il resto. Come friulano mi sento discriminato e penso che la RSS ha ancora senso. Piuttosto aumentate l’autonomia delle RSO a spese della PA centralizzata.

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