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LA RIVOLTA NELL’ERA DELLO SHOPPING

Le cause profonde dei disordini nel Regno Unito non sono da individuare nella crisi della convivenza tra diverse etnie. Ma nelle disuguanze sociali, rese più drammatiche dalla crisi economica. È questo il malessere del paese. Che si esprime senza motivazioni politiche con forme di violenza giovanile, con il saccheggio di oggetti di marca. Una rivolta anche contro i furbetti del mondo della finanza che sfrecciano impuniti su auto di lusso.

Le rivolte e i vandalismi in corso in questi giorni nel Regno Unito sollevano domande importanti sulle conseguenze sociali della crisi economica, sull’impatto dei tagli alla spesa pubblica, sulla possibilità di esistere di una società multietnica e multiculturale.
È  bene chiarire subito che i riots hanno riguardato non solo le periferie povere e non solo le minoranza etniche. Quartieri di Londra come Clapham e Islington sono tutt’altro che poveri e isolati. Il quartiere di Hackney, storicamente povero, ha conosciuto un notevole livello di gentrification nell’ultimo decennio, proprio grazie alla sua posizione geografica molto vicina alla City e a Canary Wharf. 

LE CAUSE DEI DISORDINI

È prematuro cercare di individuare le ragioni che hanno determinato le violenze stabilendo precisi rapporti di causalità. Non mancheranno inchieste approfondite al riguardo. Per il momento possiamo però azzardare alcune ipotesi, basandoci anche sull’esperienza storica di questo paese. Il Regno Unito, infatti, non è nuovo a episodi del genere. Notevoli ad esempio furono i riots del periodo in cui la Thatcher era al governo, (in particolare nel 1981, in diverse città, e nel 1985 ancora nel quartiere di Tottenham a Londra, nel 1990 come reazione alla cosiddetta poll tax).
Il più delle volte i disordini sono stati scatenati, come anche in questo caso, da conflitti fra minoranze etniche e polizia (eccezione importante furono i poll tax riots del 1990). Occorre dire che negli ultimi 30 anni, a partire dalle rivolte del 1981, la polizia britannica ha fatto passi da gigante nel cercare di scrollarsi di dosso le accuse di razzismo e che oggi esistono efficaci meccanismi per una valutazione indipendente del suo operato (tramite l’Independent police complaints commission). Si spera che proprio questi meccanismi possano fare luce su quanto realmente accaduto a Tottenham la settimana scorsa in occasione dell’uccisione di Mark Duggan.

IL CONTESTO É LA RECESSIONE ECONOMICA

Se le tensioni fra minoranze e polizia spesso costituiscono la scintilla, occorre chiedersi tuttavia da dove venga la dinamite. Una caratteristica comune a episodi di questo genere è di verificarsi in un contesto di recessione economica. Vale allora la pena ricordare che dall’inizio della grande recessione nel 2008, in Gran Bretagna ci sono un milione di disoccupati in più, con un tasso di discoccupazione che, pur restando più basso della media europea, in tre anni è passato da poco più del 5 per cento a poco meno dell’8 per cento. A questo si aggiunge un’inflazione che ormai viaggia stabilmente sopra il 4 per cento. L’Institute for fiscal studies, peraltro, stima che l’inflazione media del periodo 2008-2010 fronteggiata dal quintile più povero della popolazione è del 4,3 per centoa fronte di un 2,7 per cento per il quintile piu’ ricco. Dunque l’inflazione sta erodendo il potere d’acquisto soprattutto dei più poveri. Come se non bastasse, il Governo ha di recente aumentato la Vat, l’equivalente della nostra Iva, notoriamente regressiva. Senza volere qui individuare dei rapporti di causalità, possiamo dunque notare che rivolte come quelle di questi giorni sono spesso associate a condizioni di disagio economico, molto evidenti in questo caso.

I TAGLI AL WELFARE

A questo difficile contesto economico, non specifico alla Gran Bretagna, si aggiungono i pesanti tagli alla spesa pubblica e al welfare che il Governo conservatore ha cominciato ad implementare da qualche mese. Forti tagli sono stati o verrano operati, fra l’altro, sui sussidi di disoccupazione, sull’impiego pubblico, sui trasferimenti alle amministrazioni locali (che spesso forniscono supporto e servizi alla popolazione). Il notevole aumento delle tasse universitarie e la pressocché totale abolizione di importanti forme di supporto economico per gli studenti avevano già causato proteste, a volte violente, nei mesi scorsi. Nel caso attuale, però, le rivolte e i vandalismi sembrano mancare di qualsiasi carattere politico. Le ragazzine che provavano gli abiti prima di portarli via, la ricerca accurata dei prodotti di marca, l’assalto diretto quasi esclusivamente a negozi e senza distinzioni fra grandi catene di distribuzione e piccole attività a gestione familiare ci dicono che gli eventi di questi giorni, anche se probabilmente affondano le proprie radici nel disagio economico, non hanno un carattere esplicito di protesta contro il governo.

LA MALATTIA DEL REGNO UNITO

Entrando appieno nel terreno delle congetture, si può invece provare a stabilire un legame con un malessere più generale che si respira nel Regno Unito da qualche tempo, e che coinvolge le classi medie tanto quanto i piu’ poveri. È un malessere legato alla forte disuguaglianza nella distribuzione del reddito, alla bassa mobilità sociale e al modo in cui la crisi finanziaria è stata gestita. Che le disuguaglianze economiche siano cresciute, anche durante i governi laburisti, è cosa risaputa. Che il Regno Unito abbia un tasso di mobilità sociale fra i più bassi in europa può essere meno noto ma è altrettanto vero. E tuttavia, finché l’economia cresceva mediamente intorno al 3 per cento all’anno, questi non erano percepiti come problemi e non erano in molti a lamentarsi. Oggi, con la crisi economica e i tagli di bilancio, gli spazi si restringono, i giovani fanno piu’ fatica a trovare lavoro, i salari reali scendono e il cittadino medio avverte sempre più la distanza che lo separa dai banchieri della City. E a Londra la disuguaglianza è evidente e tangibile come in pochi altri posti. Non c’e’ niente di strano se, vedendo sfrecciare per la città le Ferrari e le Jaguar dei trader, c’è sempre più gente a chiedersi: “Ma non erano loro quelli che ci hanno cacciato nel disastro? Non erano quelli che il Governo ha dovuto salvare nel 2008 e che oggi possono concedersi gli stessi bonus di allora come se niente fosse successo?”.  I furbetti del quartierone sembrano averla fatta franca e il risentimento è sempre più palpabile.
A ciò si aggiunga che sono ancora in corso i processi ai parlamentari che hanno abusato dei rimborsi spese a che il recente scandalo News of the World getta una luce sinistra anche sul mondo dell’informazione. Giusta o sbagliata che sia, è in corso anche in questo paese un processo di delegittimazione delle classi dirigenti, sebbene di una portata non paragonabile al nostro. Ci si deve sorprendere se tutto ciò può indurre qualcuno a pensare che rubare un ipod da un negozio vandalizzato possa non essere in confronto un gran delitto? Resta fuori discussione che i vandalismi e i furti non possono essere giustificati o tollerati in alcun modo. È altrettanto sbagliato, tuttavia, liquidare la questione come semplice problema di ordine pubblico, rischiando cosi’ di non vedere le minacciose nubi che si stanno addensando all’orizzonte.

COESISTENZA DI CULTURE DIVERSE

Non manca chi ha colto l’occasione di queste rivolte per dichiarare solennemente la fine del melting pot, e della possibilità di coesistenza pacifica fra individui di diverse culture ed etnie. Mi pare che, soprattutto in Italia, l’attenzione dei media si sia concentrata sulla questione razziale e che i riots siano stati interpretati prevalentemente in questa chiave. Sono stati fatti dei paralleli, non so quanto pertinenti, con le rivolte parigine di qualche anno fa.
È fuori di dubbio che la violenza sia esplosa a causa delle tensioni fra polizia e comunità afro-caraibica nel quartiere di Tottenham. Tuttavia nelle ore successive si sono riversati in strada ragazzi di tutte le etnie. L’elemento comune era la giovane età e la provenienza da quartieri disagiati, non l’etnia. Anzi, in un modo molto peculiare queste rivolte sono state esse stesse un melting pot e hanno rivelato una omogeneità culturale che taglia orizzontalmente la capitale britannica: bianchi, neri, asiatici, tutti insieme a sfasciare le vetrine, tutti a caccia degli stessi gadget, degli stessi prodotti, fianco a fianco. I disordini del 2011 non hanno carattere razziale e, se ce l’hanno, è unicamente in quanto le minoranze etniche tendono a essere più povere, più escluse  e a con meno opportunità all’orizzonte. Per quanto ne possiamo dire al momento, e fermo restando che analisi più approfondite dovranno essere fatte, le rivolte esprimono un disagio sociale che riguarda, sebbene in diverse proporzioni, tutte le etnie e non mi sembrano affatto essere il segnale di una tensione fra diverse etnie (come fu invece il caso a Manchester nel 2001) .
Infine una considerazione sul ruolo della polizia. Tutte le testimonianze indicano che la polizia ha avuto finora la mano molto leggera. È sistematicamente arrivata con ore di ritardo e a volte ha assistito ai vandalismi senza intervenire. Di certo Scotland Yard si è trovata a fronteggiare una situazione inaspettata e le risorse a disposizione forse non erano sufficienti a fronteggiare l’emergenza. È legittimo pero’ anche pensar male. Fra i numerosi tagli programmati dal cancelliere Osborne, c’è una riduzione del 4 per cento all’anno per cinque anni al bilancio della polizia. Questo comporterà, fra l’altro, riduzioni di organico che potrebbero raggiungere le 32 mila unità. Sebbene una buona parte dei tagli debba riguardare l’amministrazione più che i reparti operativi, è possibile che nei prossimi anni vi saranno 18 mila poliziotti in meno sulle strade del regno. Non è che in queste ore si sia anche voluto mandare un segnale al Governo?           

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COME IL PEGGIOR GOVERNO BALNEARE

  1. LUCIANO GALBIATI

    L’incendio nelle periferie del Regno Unito segna il clamoroso fallimento della “Big Society” immaginata da Cameron. La retorica di una società civile capace di sostituirsi allo Stato nella produzione dei beni collettivi ha dissimulato -con grande abilità- pesanti tagli al welfare e aquiescenza verso disuguaglianze sociali ormai insostenibili. La politica dei conservatori inglesi: iper-liberismo ammantato da localismo e volontarismo caritatevole. Il risultato è evidente a tutti. La periferia di Londra vive le stesse tensioni delle favela sudamericane.

  2. massimo baldini

    Articolo decisamente condivisibile, pero’ forse c’è anche altro: perche’ rivolte simili non si verificano in altri paesi in cui le diseguaglianze sono in aumento, i giovani sono privi di prospettive e la mobilita’ sociale e’ bassa (ad esempio l’Italia)? I quotidiani hanno parlato anche di giovani delle classi medie tra i protagonisti dei disordini, non so se si tratti di casi marginali. Forse sono rilevanti anche fattori socio-culturali specifici al mondo giovanile britannico?

  3. Luigi Sandon

    Si sottovaluta l’effetto martellante del marketing negli ultimi 10-15 anni, con il nascere del concetto di “brand” fine a sé stesso. Il prodotto non è qualcosa di utile “per fare”, diventa mezzo per “diventare”. Così nasce ancora di più il bisogno di “esclusività” del brand, perché meno possono “diventare” più il prodotto è agognato (se garantisce riconoscimento “sociale”), e ovviamente in cambio deve costare di più per garantire adeguati introiti. Nel contempo massicce dosi di “ad” devono cercare di massimizzare gli introiti, per lo più basati sul messaggio “se non ce l’hai non sei nessuno”. Il risultato è che in momenti di follia collettiva succede quel che è successo in Inghilterra. Il marketing dovrebbe farsi un esame di coscienza.

  4. maurizio

    Vandalismi avvengono senza l’intervento della forza pubblica anche nel suburbio di Roma. Neanche vengono denunciate piccole estorsioni e furti. I vigili urbani nel quartiere in oggetto dopo che rischiarono il linciaggio dalla folla inferocita hanno rinunciato a intervenire. Se ne parla nei titoli del tg1 e dei giornali? No, quindi il problema non esiste.

  5. stefano delbene

    Articolo molto interessante, soprattutto perchè, credo, frutto non solo degli studi accademici dell’Autore, ma anche della sua esperienza diretta, vivendo e lavorando a Londra da tempo. Due sole considerazioni:
    1. sarei cauto nel non individuare un elemento politico nei “riots”: le rivolte non hanno mai un diretto ed immediato significato politico, come dice l’articolo, ma vi un elemento politico che non definirei secondario: l’appropriazione di ciò che essi ritengono sia loro dovuto, non tanto (o non soltanto) perchè “povere vittime” delle campagne di marketing, ma in quanto consapevoli interpreti del ruolo di “consumatore” che l’attuale fase del capitalismo attribuisce loro. In fondo rubando nelle vetrine i giovani dimostrano maggiore consapevolezza dei loro padri e fratelli maggiori.
    2. L’altro aspetto fondamentale, per il quale l’Autore si limita ad un breve accenno, è la definitiva prova del fallimento delle politiche “blairiane”, che ancora oggi fanno capolino nei programmi del centrosinistra nostrano e delle quali anche questa newsletter si è spesso fatta, absit injuria verbis, acritica sostenitrice. Grazie

  6. gerardo lisco

    Ho ascoltato attentantamente il discorso di Cameron alla Camera dei Comuni, semplicemente assurdo. Quanto è successo a Londra e nelle altre città inglesi è soltanto la dimostrazione della crisi profonda di un sistema di cultura politica ed economica. Non dimentichiamo che in Gran Bretagna con il Governo Thatcher ha inizio l’onda lunga del tanto decantato neoliberismo. La società britannica trasformata in una giungla è il risultato delo slogan “la società non esiste esiste solo l’individuo”. Questo è l’individuo lasciato a se stesso senza nessuna forma di protenzione e di tuela. Lo smantellamento dei sindacati e in generale delle tradizionali agenzie di socializzazione capaci di mediare e indirizzare il conflitto ha lasciato spazio alle bande giovanili. Sono esse oggi l’unico strumento di protezione individuale. Queste e non solo sono le ragioni delle assurdità di Cameron quando accusa scuola e famiglie e riduce il tutto a un problema di educazione e di ordine pubblico. Attacca famiglie e scuola quando su di queste si è abbattuta in modo spietato la scure del neoliberismo. Siamo a un bivio nel mondo a soluzione è non la polizia ma più giustizia e più democrazia politica.

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