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Il capitale umano nella lotta alla povertà

La cancellazione del debito dei paesi poveri non basta. Uno studio recente mostra che un incremento degli aiuti internazionali per investimenti pubblici destinati ad accrescere il capitale umano renderebbe più facile raggiungere i Millennium Development Goals. Sanità e istruzione svolgono un ruolo centrale. In un decennio, un aumento della spesa sociale di circa l’1 per cento del Pil riduce l’incidenza della povertà del 20 per cento. Le riforme macroeconomiche debbono dunque creare lo spazio fiscale perché tali investimenti siano sostenibili nel tempo.

L’incontro di luglio del G8 dedicato al problema della povertà nei paesi in via di sviluppo ha posto di nuovo al centro dell’agenda politica il tema della lotta all’indigenza in cui versa una quota troppo elevata della popolazione mondiale. In autunno, un summit delle Nazioni Unite discute le proposte per rilanciare la lotta alla povertà e per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo stabiliti nel 2000 dalla comunità internazionale.

Il debito dei paesi in via di sviluppo

La proposta di una parziale cancellazione del debito estero dei paesi poveri avanzata al G8 da alcuni Stati e da rappresentanti della società civile accoglie, sia pure in maniera ancora insufficiente, il grido di allarme lanciato dal gruppo di esperti nominati dal segretario generale delle Nazioni Unite e presieduto da Jeffrey Sachs. Il rapporto redatto dal gruppo aveva chiesto ai paesi avanzati di tener fede alla promessa di dedicare almeno lo 0,7 per cento del loro prodotto agli aiuti allo sviluppo: percentuale dalla quale i paesi ricchi, inclusa l’Italia, sono ancora molto lontani.
Ma i paesi poveri come devono utilizzare queste risorse per favorire la crescita economica e ridurre la povertà?

I fattori dello sviluppo

Gli economisti dibattono spesso quali siano i fattori che agiscono sullo sviluppo economico e quale sia il ruolo delle politiche economiche: la presenza di tassi di risparmio sufficienti a stimolare gli investimenti produttivi, l’esistenza di istituzioni pubbliche e mercati che garantiscano un efficiente funzionamento degli scambi economici, l’adozione di politiche macroeconomiche che assicurino la competitività dell’economia unitamente alla stabilità dei prezzi e alla sostenibilità fiscale, l’adeguatezza delle infrastrutture del paese e la creazione di modelli di coesione sociale tesi ad eliminare gli eccessi di disuguaglianze sono quelli che nel corso degli anni hanno suscitato i maggiori consensi.

Investimenti in capitale umano

Mentre l’esistenza di una relazione tra la crescita economica e la riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo è un risultato consolidato, l’aumento del reddito nazionale è una condizione necessaria ma non sufficiente per ridurre la povertà assoluta (generalmente misurata dalla popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno). Infatti, se non è distribuito all’intera popolazione, il circolo vizioso della povertà non si spezza, ma anzi viene accentuato da un ineguale accesso alle risorse, ai servizi sociali e alle potenzialità economiche.
Per questo motivo, un filone consistente di studi effettuati negli ultimi anni ha posto al centro dell’analisi il ruolo degli investimenti in capitale umano come motore di una crescita economica compatibile con l’eliminazione della povertà e dell’indigenza. La base teorica di questo approccio risiede nel ruolo che il capitale umano può avere nell’aumento della produttività dei fattori di produzione (capitale e lavoro) e negli effetti benefici che ciò ha per l’intera economia. In termini semplici, si assume che un aumento della scolarità della popolazione e delle sue condizioni di salute (due tipici esempi di indicatori del capitale umano di una società) possa non solo aumentare la capacità produttiva della forza lavoro e quindi avere un impatto positivo sulla crescita economica, ma abbia anche ricadute positive sul resto della società per effetto di cambiamenti associati alla domanda di beni e servizi. Il corollario è che gli Stati che investono maggiormente in istruzione e sanità devono avere, a parità di altre condizioni, più elevati livelli di crescita economica di lungo periodo (e minori livelli di povertà).
Finora pochi studi empirici sono stati in grado di dimostrare l’esistenza di un nesso statisticamente significativo tra investimenti in capitale umano e indicatori di crescita economica e povertà nei paesi a basso reddito. In genere, mentre gli indicatori del capitale umano hanno effetti positivi sulla produttività dei fattori e sulla crescita economica, gli investimenti pubblici e privati in capitale umano tendono a essere meno significativi. Ad esempio, Filmer, Hammer, e Pritchett tra gli altri, hanno mostrato che la spesa pubblica per la sanità non ha effetti significativi sugli indicatori di salute nei paesi in via di sviluppo. (1) Mentre Flug, Spilimbergo e Watchenheim hanno trovato una debole relazione positiva tra spesa pubblica per l’istruzione e indicatori di sviluppo quando si controllano alcune variabili economiche, tra cui il reddito pro capite e la struttura socio-demografica della popolazione. (2)
La risposta tradizionale a tale ambiguità di risultati empirici è stata che altri fattori possono fare la differenza: ad esempio, il grado di apertura al mercato e il livello di concorrenza esistente nel paese, gli equilibri finanziari del settore pubblico, la composizione e l’efficienza della spesa pubblica (inclusa la spesa sociale), il grado di rispetto dei diritti di proprietà e la trasparenza delle istituzioni pubbliche, per citarne solo alcuni.
Un recente studio mostra che un’adeguata specificazione dei legami tra il livello del capitale umano, l’investimento in questo fattore e la crescita economica permette di osservare le relazioni ipotizzate dalla teoria. (3) A differenza di studi precedenti, infatti, i fattori sono qui analizzati congiuntamente attraverso una specificazione coerente con la teoria economica. Inoltre, il modello utilizzato tiene conto dell’elemento temporale nelle relazioni tra investimenti in capitale umano, produttività e crescita economica, attraverso la possibilità di feedback ed effetti ritardati delle variabili. Questa specificazione consente anche di simulare quale sarebbe l’impatto sulla povertà e su altri indicatori socio-economici se risorse aggiuntive fossero rese disponibili per aumentare la spesa pubblica per sanità e istruzione in questi paesi. In tal senso, la metodologia consente analisi di scenario che possono guidare le policy in campo nazionale e internazionale.
Il principale risultato è che un incremento degli aiuti internazionali indirizzati agli investimenti pubblici per aumentare il capitale umano renderebbe più facile raggiungere alcuni degli obiettivi stabiliti dalla comunità internazionale per i paesi in via di sviluppo attraverso l’iniziativa dei Millennium Development Goals. (4)
L’investimento in capitale umano agisce direttamente sui livelli di scolarità e sulle condizioni di salute della popolazione: spesa pubblica più elevata per sanità e istruzione determina a parità di altre condizioni un miglioramento sostanziale della partecipazione al sistema scolastico da parte dei bambini e un accesso maggiore alle cure mediche. Questo ha effetti importanti e duraturi sulle variabili economiche: maggiori livelli del capitale umano aumentano la crescita economica attraverso un miglioramento dell’uso dei fattori di produzione e stimolando gli investimenti produttivi. Gli investimenti in istruzione hanno effetti sia contemporanei che ritardati: circa i due terzi di tale investimento realizzano effetti nei primi cinque anni e un terzo nel quinquennio seguente. La spesa per salute ha invece effetti positivi sulla crescita economica soprattutto nel breve periodo attraverso un miglioramento della produttività del lavoro.
Un risultato importante dell’analisi è che vi sono notevoli sinergie tra investimenti sociali: più elevati livelli di istruzione migliorano la capacità dei cittadini di accedere ai servizi sanitari. L’effetto sulla povertà è significativo: un aumento della spesa sociale pari a circa l’1 per cento del prodotto interno lordo riduce l’incidenza della povertà del 20 per cento nell’arco di un decennio. Tuttavia, altri fattori sono importanti perché gli investimenti in capitale umano siano indirizzati a un aumento del reddito e alla riduzione della povertà. Tra questi figurano il grado di funzionamento della macchina pubblica, un basso livello delle disuguaglianze non solo economiche ma anche sociali (ad esempio laddove le differenze di genere sono inferiori, l’investimento in capitale umano è più efficace), la qualità delle istituzioni e il livello del reddito. In generale sono proprio i paesi con i livelli più bassi del capitale umano e della spesa pubblica per sanità e istruzione che possono beneficiare maggiormente di un incremento marginale di questi investimenti per ridurre la povertà.
Le implicazioni di tale studio per le politiche di sostegno ai paesi in via di sviluppo sono almeno di tre tipi. Primo, l’efficacia degli aiuti allo sviluppo dipende dalla qualità e dalla quantità di risorse che possono essere orientate dal servizio del debito alle misure di lotta alla povertà. Secondo, il ruolo dei sistemi sanitari e di istruzione pubblici è centrale nella formazione del capitale umano che è condizione necessaria per il rilancio della produttività e della crescita economica. Infine, le riforme macroeconomiche debbono puntare a creare lo spazio fiscale perché gli investimenti in capitale umano siano sostenibili nel corso del tempo.

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(1) Deon Filmer, Jeffrey S. Hammer, e Lant Pritchett “Weak Links in the Chain: A Diagnosis of Health Policy in Poor Countries”, World Bank Research Observer, vol. 15.

(2) Karnit Flug, Antonio Spilimbergo, e Erik Watchenheim “Investment in Education: Do Economic Volatility and Credit Constrain Matter?” Journal of Development Economics, vol. 55.

(3) Emanuele Baldacci, Benedict Clements, Sanjeev Gupta, e Qiang Cui “Social Spending, Human Capital, and Growth in Developing Countries: Implications for Achieving the MDGs”, International Monetary Fund Working Paper, WP/04/217.

(4) Sono una serie di indicatori quantitativi di sviluppo economico e sociale che la comunità internazionale ha stabilito nel 2000. Comprendono fra l’altro il dimezzamento della povertà entro il 2015 e la drastica riduzione della mortalità infantile. Nel definire tali obiettivi la comunità internazionale si era anche impegnata a sostenere con risorse finanziarie le strategie nazionali di lotta alla povertà coerenti con il loro raggiungimento.

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  1. Claudio Resentini

    Non me ne voglia, dott. Baldacci, se uso il suo interessante articolo per esporre le mie opinioni.
    Il fatto è che una parte del suo testo mi sembra un esempio da manuale della fallacia economicistica nella quale incorrono, non solo e non tanto gli economisti, che in fondo fanno il loro mestiere, ma la maggior parte dei policy makers che si affidano troppop spesso ad occhi chiusi alle “formule magiche” dell’economia.
    Innalzamento della scolarità e miglioramento delle condizioni di salute della popolazione dovrebbero essere obiettivi in sè e non “indicatori” del “capitale umano”, parola odiosa che riduce le persone a input produttivi, esattamente come la sua gemella, “risorse umane”.
    Si tratta della classica inversione “mezzi/fini” dell’economia formale.
    La crescita economica non deve essere l’obiettivo del benessere, ma caso mai il contrario, come del resto dice anche lei sottolineando come non sempre alla crescita economica corrisponda una distribuzione equa dei benefici derivanti.
    Il discorso è complesso e bisognerebbe introdurrre nella discussione anche l’approccio alternativo di Amartya Sen, che comunque a mio avviso non esce dal paradigma economicistico, ma per ora mi fermo qui per motivi di tempo.
    Cordiali saluti.

    • La redazione

      Ringrazio il lettore per gli utili commenti alla nota che mi permettono di tornare sul messaggio principale di questo studio.
      Non mi sembra che i risultati delle analisi dell’articolo, che sono presentate più dettagliatamente nel testo integrale dello studio citato (che può essere scaricato dal sito http://www.imf.org) siano in contraddizione con quanto afferma il lettore o con un approccio tipo quello proposto da Sen: è esattamente il contrario. Si può discutere ovviamente di terminologia (capitale umano, sviluppo sostenibile sono termini controversi) ma la sostanza del messaggio che emerge dal lavoro è che investire in scuola e sanità pubbliche non solo migliora le condizioni di salute e aumento i livelli di scolarità della popolazione (e quindi indirettamente migliora queste componenti in indici tipo quello di sviluppo umano proposto da Sen) ma incrementa anche allo stesso tempo la capacità produttiva del sistema, garantendo una maggiore crescita economica. E’ quest’ultima a innescare il circolo virtuoso che permette di uscire dalla trappola della povertà e dedicare più risorse agli investimenti social
      i e quindi migliorare ancora gli indicatori di benessere e la qualità della vita in termini sostenibili.

      Il senso del lavoro è dunque quello di confermare alcune cose che forse al lettore sembreranno ovvie (spendere più e meglio per queste voci di bilancio funziona) ma che nelle analisi empiriche finora presentate per i paesi a basso reddito non era stato dimostrato (anzi in alcuni casi si era concluso che un aumento di spesa sociale fosse anche controproducente per i suoi effetti sulla sostenibilità fiscale e sulla stabilità macroeconomica). Invece credo lo studio mostri con chiarezza che investire in sanità e istruzione fa bene all’economia e al benessere sociale dei paesi poveri. Questa è la strada proposta dalle Nazioni Unite e i paesi ricchi dovrebbero tenerne conto nelle loro politiche (poco generose e a volte interessate) di aiuto.

      Emanuele Baldacci

  2. Luca Bandiera

    Caro Emanuele,

    ho letto con molto interesse l’articolo ed anche il tuo paper. Per paesi molto poveri, la riduzione del debito non porta a nulla, ma la qualita’ delle politiche’ e la distribuzione della spesa pubblica e’ il fattore determinante per ridurre il livello di poverta’. Vorrei pero’ ricordare come la riduzione della disuguaglianza di reddito non e’ necessariamente una priorita’ nei paesi estremamemente poveri. La Banca Mondiale ha posto recentemente l’accento sull’uguaglianza reddituale, ma lo scopo di una piu’ omogenea distribuzione dei redditi e’ l’aumento della domanda interna. Paesi molto poveri crescono soprattutto grazie alle esportanzioni e quindi alla concentrazione di risorse nei settori chiave, a scapito dell’eguaglianza reddituale.

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