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CONTI IN SICUREZZA: DIZIONARIO E ARITMETICA

Secondo il ministro dell’Economia i nostri conti sono in sicurezza. Lo erano dal 2009. Eppure, basta un po’ di aritmetica per indicare che il raggiungimento dell’equilibrio nei conti pubblici così come delineato dalla manovra estiva è fragile. Se arriva la recessione, la sicurezza dei conti richiederà azioni rapide e dunque andranno messi definitivamente in soffitta le esitazioni e i passi falsi dell’estate 2011.

Dopo l’operosa estate che lo ha portato a produrre ben tre manovre fiscali, il ministro dell’Economia è ritornato a parlare. E lo ha fatto risuscitando un’espressione ormai familiare nella politica italiana: con la manovra estiva l’Italia ha (o avrebbe) “messo i conti in sicurezza”. Siccome si tratta di una frase già usata con frequenza dal 2009 ad oggi, vale la pena di provare a chiarire il significato preciso dell’espressione. Anche per farci quattro conti sopra e capire se e in che senso la manovra estiva abbia davvero messo i conti pubblici in sicurezza.

CONTI IN SICUREZZA: DIZIONARIO

Quando nel 2009 il Pil scese di cinque punti in un anno, Giulio Tremonti annunciò con una punta di orgoglio che i conti dell’Italia erano stati messi in sicurezza. E qui bisogna spiegare. Nel 2009 il deficit pubblico aumentò al 5,2 per cento dal 2,7 per cento del 2008. Ma come, si potrebbe dire, un ministro dell’Economia fa salire di due punti e mezzo il deficit in un solo anno e ancora ci viene a dire che ha messo in conti in sicurezza? A onor del vero, Tremonti non aveva tutti i torti. C’è infatti una regola non scritta che lega l’andamento dell’economia e il deficit pubblico: quando il Pil va male, i conti pubblici peggiorano. Se diminuisce il Pil, le entrate dello Stato – tutte: Iva, Irpef, imposte sulle società e anche i contributi sociali pagati dai lavoratori – diminuiscono. In più, nell’economia che va male, aumentano i poveri e i disoccupati (in Italia i cassintegrati) che diventano destinatari di assistenza sociale pagata con i soldi pubblici. Insomma, quando l’economia è in difficoltà, ci sono meno entrate e più uscite e quindi il deficit aumenta. Di quanto? Di circa mezzo punto per ogni punto perso di Pil. Siccome il Pil 2009 è sceso di cinque punti, ecco che automaticamente, senza alcun intervento di Tremonti, il deficit pubblico 2009 è aumentato di 2,5 punti per colpa del cattivo andamento dell’economia. Per questo, già nel 2009 il ministro si vantava di “aver messo i conti in sicurezza”: quando la Grande Recessione si è abbattuta sull’economia italiana, nonostante le pressioni della maggioranza e dell’opposizione, non ha allargato i cordoni della borsa più di quanto dettato dalla legislazione vigente.
Un buon padre di famiglia, però, non può preoccuparsi solo del conto economico, deve guardare anche al conto patrimoniale della famiglia. Deve cioè chiedersi se è prudente portarsi dietro un sacco di debiti sulle spalle in attesa di non si sa cosa: nel caso della “famiglia Italia”, 1900 miliardi, il 120 per cento del Pil. L’euro ci ha illuso che il debito potesse essere surgelato come era e che ormai potevamo collocare i nostri tanti debiti a tassi tedeschi. È stato così per i primi dieci anni della moneta unica. Ma poi è arrivata la crisi, i debiti di tutti gli Stati sovrani sono saliti e così anche il costo del debito, soprattutto per i paesi che ne hanno tanto. Con l’insorgere del rischio di default anche per l’Italia. E con ben poco di “messa in sicurezza” dei nostri conti pubblici. È in questo quadro che sono arrivate le manovre dell’estate 2011.

CONTI IN SICUREZZA: ARITMETICA

Dopo aver ricordato il dizionario della “messa in sicurezza”, possiamo chiederci se la manovra estiva l’abbia davvero realizzata per i conti pubblici dell’Italia, usando la tabella riassuntiva ricavata dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2011 pubblicata dal ministero.

Dati in punti percentuali

2011

2012

2013

2014

 

 

 

 

 

Avanzo/Pil (“” vuol dire deficit)

-3,8

-1,6

-0,1

+0,2

Avanzo primario/Pil

1,0

3,7

5,4

5,7

Interessi sul debito /Pil

4,8

5,3

5,5

5,5

Debito/Pil

120,6

119,5

116,4

112,6

 

 

 

 

 

Dati di scenario

 

 

 

 

Costo medio del debito

4,0

4,4

4,7

4,9

Crescita del Pil

0,7

0,6

0,9

1,2

Inflazione (*)

1,4

1,9

1,8

1,8

 

I dati della tabella confermano che nei prossimi anni (dal 2013) sarà finalmente raggiunto il pareggio di bilancio, il che porterà, con un Pil moderatamente crescente, a una riduzione del debito pubblico fino a 112,6 punti di Pil nel 2014. Se le manovre produrranno l’effetto sperato, il risultato sarà raggiunto nonostante un aumento del costo degli interessi sul debito pubblico (che saliranno da 4,8 a 5,5 punti di Pil) e grazie a un avanzo primario – l’eccedenza delle entrate sulle spese vive dello Stato – crescente nel tempo e pari a ben 5,5 punti percentuali nel 2013. Come si vede nella tabella, i risultati elencati sono compatibili con un rallentamento della crescita del Pil sotto l’1 per cento e in presenza di un’inflazione non lontana dal 2 per cento.
Fino a qui tutto bene. La tabella descrive un quadro di sostenibilità: deficit azzerato e debito in calo. Conti in sicurezza. Però i tassi di interesse sul debito sono decisi dai mercati finanziari e la crescita economica è solo imperfettamente influenzata dall’azione governativa.
E qui un buon padre di famiglia qualche domanda sulle variabili di scenario se la deve fare. Ad esempio, cosa succederebbe alla dinamica del debito se l’Italia – a causa degli aumenti di tasse della manovra 2011 e delle politiche restrittive adottate negli altri paesi europei – entrasse in recessione nel 2012? L’aritmetica dice che con una crescita del Pil azzerata (Fondo monetario e Ocse prevedono un +0,3, non +0,6 per cento per il 2012) e un tasso di inflazione di un punto e mezzo come nel 2011, la riduzione del debito 2012 sarebbe virtualmente azzerata, invece di diminuire di un punto e mezzo. Se poi la recessione fosse più grave (diciamo con un Pil a -1 per cento), con annesso azzeramento dell’inflazione, il debito pubblico 2012 tornerebbe, in assenza di ulteriori manovre correttive, ad aumentare di quasi due punti, nell’ipotesi che la manovra porti davvero le nuove risorse fiscali, compreso quelle difficili da calcolare della lotta anti-evasione. Meglio ci andrebbe se la recessione fosse rinviata al 2013: a quel punto, l’aggiustamento fiscale avrebbe un anno di tempo per far diminuire il debito e la dinamica del debito sarebbe dunque un po’ più favorevole perché l’effetto valanga sarebbe più piccolo.
La poca crescita e la relativamente elevata inflazione previste per il 2012 e per gli anni a venire nella tabella sono dunque cruciali nel determinare la “sicurezza” dei conti dell’Italia. I dati dicono in definitiva una cosa sola: di fronte a un eventuale rapido peggioramento della situazione economica, per mettere davvero “in sicurezza” i conti, sarà importante agire in fretta, mettendo le esitazioni e i passi falsi dell’estate 2011 rapidamente, e definitivamente, in soffitta.

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25 commenti

  1. Francesco Pastore

    Lasciamo perdere l'infausto periodo dal 2001 al 2006. C'era ancora il Trattato di Maastricht. dal 2005 al 2011, il debito pubblico è aumentato dal 105,83% del PIL al 119% del PIL. Nel 2007, anno del governo Prodi, il debito pubblico era sceso dal 106,51 al 103,60. In totale, il debito è salito di circa il 18% del PIL. In quali tasche bisognerà prima o poi mettere le mani per pagari questa enormità? La paura che non si voglia più pagare spiega la crescita dello spread. Ma questo significa altri interessi e altro debito … è una spirale negativa che può portare presto al default.

  2. A.

    Il DEF di aprile prevedeva una crescita media per il 2011-2014 di 1.4 punti, già di per sè mediocre. Con l’aggiornamento, la media scende a 0.8 e il governo scrive che “una manovra di risanamento dei conti pubblici (…) può produrre effetti non positivi sul livello dell’attività economica”. Mi chiedo: se il comune cittadino non legge la nota di aggiornamento del DEF, perchè i tecnici come voi e come quelli della Commissione Europea non si indignano di fronte a queste ridicole affermazioni? Metà della crescita se ne va per effetto della correzione dei conti pubblici (e dell’aggiornamento del quadro inernazionale, non meglio quantificato), e sappiamo come le stime del governo siano sempre ottimistiche. Aspettiamo gli “effetti non-keynesiani a supporto della crescita, in presenza di politiche credibili di risanamento della finanza pubblica”.

  3. carlo g. lorenzetti settimanni

    Da un punto di vista teorico sono chiari i limiti della politica del ministro dell’Economia, tutta centrata sul rigore dei conti pubblici e sulla disciplina di bilancio. In pratica, data la sconfortante confusione che regna nella maggioranza e nel governo e l’assenza di una seria proposta alternativa sorretta da una visione culturale e politica coerente, quella di Tremonti appare come una tricea dalla quale si cerca di difendere il difendibile, in attesa di tempi migiori. Si potrà non essere d’accordo con le sue scelte, ma il cimento solitario del ministro credo meriti rispetto e, perché no, anche un po’ di ammirazione in quesa stagione non proprio di giganti.

    • La redazione

      Concordo sul fatto che i giganti non abbondino. Ma rimane il fatto che Tremonti ha colpevolmente ignorato per molto tempo che oltre all’equilibrio di entrate e uscite rimanere con un debito elevato era una cosa rischiosa, addirittura prendendo a volte in giro chi parlava di privatizzare e liberalizzare l’economia.

  4. Franco

    In presenza di deficit complessivo in rapporto al Pil non dovrebbe aumentare sempre il debito sul Pil dal periodo t al periodo t+1 dato che non possiamo più monetizzare il disavanzo? Perchè nell’esempio il debito decresce sempre pur in presenza di deficit fino al 2013? Perchè il peso del debito sul Pil è calcolato in termini reali (con tassi al netto di inflazione) mentre quello del deficit totale su Pil è calcolato in termini nominali? Mi scuso in anticipo se ho detto corbellerie ma serve a me stesso per verificare quanto ho capito. Grazie!

    • La redazione

      Suggerisco di vedere la risposta al lettore A. riportata sopra. In poche parole, anche se il deficit complessivo è positivo, il rapporto debito/Pil può comunque diminuire se l’economia cresce o se c’è inflazione, cioè se aumenta il Pil in termini nominali (in euro di oggi).

  5. Luigi Biagini

    Nella tabella si riporta un tasso di inflazione 2011 pari all1,4% mentre l’ultimo dato ISTAT ci da 2,8%. E’ l’inflazione “core”?

    • La redazione

      E’ l’inflazione relativa ai beni inclusi nel Pil (beni di consumo, di investimento, spesa pubblica ed esportazioni). L’inflazione dell’Istat riguarda i prezzi al consumo solamente. E’ quella del Pil l’inflazione da considerare quando si fa l’aritmetica del debito. Di solito sono molto simili, nel 2011, saranno diverse per un punto percentuale circa.

  6. A.

    Il rapporto debito/pil nell’anno t+1 sconta – fortunatamente – anche la crescita del PIL nominale (il denominatore) che si ricava sommando la crescita del PIL reale e l’inflazione (nel 2012: 0.6+1.9=2.5). L’identità Debito=Debito(-1)+Deficit è valida (a meno di altre piccole voci trascurabili) solo nei livelli (cioè in mld di Euro) e non in rapporto al PIL, perchè tra l’anno t e l’anno t+1 il PIL cambia, e quindi cambia il denominatore.

    • La redazione

      Il ragionamento svolto nell’articolo è tutto svolto proprio avendo il rapporto debito/Pil come punto di riferimento. Trattandosi di un articolo rivolto in linea di principio anche ad un pubblico di non specialisti, non ho riportato l’algebra sottostante in modo esplicito. Eccola per gli interessati. La variazione del rapporto debito/Pil 2012 si muove come dettato dalla formula seguente:

      variazione del debito/Pil = (costo del debito2012 – inflazione2012 – crescita del Pil 2012) * debito del 2011 + disavanzo primario del 2012

      Usando i dati nella tabella, i numeri sono:  (4,4, – 0,6 – 1,9) * 1,21 -3,7 = -1,4. Il debito pubblico dovrebbe cioè diminuire di 1,4 punti percentuali (siccome la formula è calcolata con qualche approssimazione algebrica, il risultato di 1,4 non è proprio uguale al numero riportato dalla pubblicazione del governo (1,1)  ma è piuttosto vicino).

      Se però sostituiamo a 0,6 e 1,9 i valori di 0 e 1,4, ecco che viene fuori: (4,4-0-1,4) * 1,21 – 3,7 che dà un numero molto vicino a zero. Se poi abbiamo una brutta recessione (crescita a -1 punto e inflazione a 0 punti) allora avremmo che la variazione del debito diventa: (4,4 – (meno 1) – 0)*1,21 – 3,7 = 2,8 punti percentuali. Anziché diminuire il debito ricomincia ad aumentare. Di quasi tre punti percentuali in un anno.

  7. Anonimo

    Non è chiaro perché le politiche di austerità adottate in italia e in Europa dovrebbero essere così negative per la crescita. Anzitutto, sul lato dei consumi, l’ente che ha maggiore influenza a livello europeo è la Banca Centrale Europea, che stimolando direttamente la spesa monetaria può compensare gli effetti diretti delle politiche di bilancio (la politica di “inflation targeting” è infatti stabilizzante; semmai, essa amplifica sul fronte della domanda gli effetti delle variazioni dell’offerta). Sul lato della produzione, l’aumento della pressione fiscale è piuttosto negativo, ma l’impatto sui cunei fiscali sembra per fortuna moderato grazie agli strumenti adottati (aumento dell’IVA e riduzione degli sgravi fiscali). In definitiva, tutto è ora rimandato ai cd. “provvedimenti per la crescita” su cui, proprio per questo, sarebbe opportuno maggiore vigilanza, anche da parte di chi contribuisce a questo sito.

  8. luciano

    se prendo il rapporto debito/PIL a fine 2011,pari a 120,6,e gli aggiungo il deficit 2012 pari a 1,6, ottengo un rapporto del debito sul PIL a fine 2012, pari a 122,2. durante il 2012 però si assume che il PIL aumenti del 0,6%, mentre l’inflazione 2012 sarebbe dell’1,9%; ciò significa che il denominatore del rapporto debito/PIL a fine 2012,aumenta di 1,006×1,019=1,025. 122,2/1,025=119,2 che per me è il rapporto debito/PIL a fine 2012,e non 119,5. Sbaglio qualcosa?

    • La redazione

      Facendo lo stesso conto, anche a me viene 119,2 e non 119,5. ma la nota del governo riporta 119,5 e quindi nella tabella ho riportato la cifra ufficiale. comunque non fa una gran differenza. per usare un’altra espressione cara al ministro, la sostanza del discorso non dipende dagli zero virgola.

  9. Anonimo

    Forse il rapporto deficit pubblico e il P.I.L. è un buon indicatore del tasso di crescita dello stesso P.I.L.. In altre parole il deficit può essere considerato come una leva finanziaria di interesse pubblico depurato dal tasso di inflazione e, quindi, come tasso di crescita reale del prodotto netto.

  10. Franco

    Ringrazio A del chiarimento sul mio primo dubbio; effettivamente non avevo considerato che non stiamo parlando di valori assoluti ma relativi (al PIL). Per la seconda questione, però, non mi è ancora chiaro del perchè i valori Debito/Pil dal 2011 al 2014 rispettivamente pari a 120,6; 119,5; 116,4 e 112,6 sono calcolati utilizzando i tassi di interesse in termini reali mentre i valori Avanzo/Pil (-3,8; -1,6; -0,1 e +0,2) sono calcolati attraverso i tassi di interesse nominali. I dati dell’Avanzo/Pil “reali” non dovrebbero essere “corretti” tenendo conto dell’inflazione? Se così fosse non dovremmo avere i seguenti valori Avanzo/Pil dal 2011 al 2014: -2,1; +0,7; +2,0 e +2,2 e quindi azzerare il disavanzo su Pil già nel 2012?

    • La redazione

      Per convenzione, i rapporti debito-Pil, deficit-Pil sono tutti calcolati a prezzi correnti, cioè senza depurare dall’inflazione. la crescita del pil è invece depurata dall’inflazione. per questo per calcolare la crescita del Pil nominale cioè a prezzi correnti bisogna fare la somma della crezcsita Pil (reale) + il tasso di inflazione

  11. BOLLI PASQUALE

    Il nostro Paese per uscire dal drammatico cul de sac economico-finanziario in cui ha saputo cacciarsi ha solo due soluzioni: applicare il detto napoletano”chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato” e quindi fallire o affrontare la situazione con determinazione, competenza e consapevolezza che non saranno rose e viole ma lacrime e sangue. La determinazine,però, non c’è, la competenza di chi ci governa è merce rara e la consapevolezza se ci assale va prontamente rimossa; per questo felice stato psicologico riceviamo conforto dei governanti che affermano: che i conti tengono, che sono in sicurezza, o, che sono in ordine e che si raggiungerà,a breve, il pareggio di bilancio. Ma che fine farà il nostro spaventoso debito? Gli interessi che dovremmo pagare per questo spaventoso stato debitorio a chi li accolliamo? Dove si reperiranno risorse per far ripartire l’economia e per incrementare le entrate finanziarie? Per essere seri è necessario, in ordine di priorità,fare le riforme strutturali,ridurre il deficit con dismissioni di patrimonio pubblico e severa lotta all’evasione fiscale e se non sufficiente applicare la patrimoniale.In caso contrario: chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato!

  12. Savino

    Al di là delle persone e degli schieramenti, in Italia da tempo si è concentrato nella stessa figura il ruolo di economista, di ragioniere e di cassiere. Abbiamo avuto valdissimi ragionieri e più o meno validi cassieri, ma mai grandi economisti. L’economia, a mio giudizio, deve essere meno ragioneria e più ragionamento, nel senso di qualcosa che attiene più a discipline umanistiche e all’arte politica, anzichè essere un corpo unico con le scienze dei numeri e delle formule, di cui deve continuare ad avvalersi, perchè nella profondità dei numeri ci sono gli uomini ed il loro quotidiano. Dietro le definizioni di recessione e deficit, nonchè dietro le aspettative di crescita e risanamento ci sono vite umane. Per questo occorrono figure che traducano i dati in programmazione per lo sviluppo, attività non certo affidabile ai ragioneri. Una vecchia canzone di Anna Oxa diceva “negli occhi dei contabili un altro zero cosa vuoi che sia…..”

  13. A.

    Chiedo scusa al Prof. Daveri. Il mio precedente intervento voleva cercare di rispondere al lettore Franco e non polemizzare sull’articolo. L’ho fatto in maniera eccessivamente semplificata per enfatizzare il ruolo della crescita, punto di criticità affrontato dal suo articolo. Dalla sua risposta emerge un altro importante elemento, forse sorprendente per i non addetti: quanto l’inflazione (intesa come deflatore del PIL) faccia bene ai conti pubblici!

  14. umberto carneglia

    E’ stupefacente che dopo aver portato il Paese sull’orlo della bancarotta il Ministro dell’economia dica di aver messo i conti pubblici in sicurezza. E’ ancora più stupefacente che molti uomini politici, perfino di opposizione, e non pochi commentatori economici dicano che Tremonti ha tenuto tutto sommato i conti in ordine…. fatta eccezione per un dettaglio marginale : la crescita del debito pubblico dal 105% al 120 % in soli 3 anni. Come se i conti d’esercizio e quelli del debito ( patrimoniali) fossero fra loro indipendenti. Chi conosce le più elementari reglole della contabilità, prima ancora che della finanza, sa che le variazioni dei conti patrimoniali dipendono – anche se in maniera non esclusiva – dai risultati di esercizio. I personaggi politici che ci hanno portato sull’orlo del crack hanno trovato spazio solo grazie al basso livello di istruzione – non direi nemmeno di cultura – del nostro ceto politico e di molti commentatori economici nostrani.

  15. hk

    Credo che la tabella manchi di realismo. Che probabilità ha l’Italia di vedere una crescita del Pil? 1.La bilancia commerciale è ormai in negativo con tendenza a crescere circa 2% Pil nel 2011! (credo sia la seconda volta in 100 anni) 2. Le grandi aziende stanno riducendo il personale con velocità mai vista (vedi dato istat di oggi) 3. le banche anche se deliberano prestiti a medio poi non li erogano (sono i prestiti per investimenti…) 4. è iniziato il bank run in Italia Se la crescita del Pil è affidata all’aumento di intermediazione dello stato (PIL cattivo) forse è meglio che non ci sia.

    • La redazione

      Di regola, il Pil non è come il colesterolo: è tutto buono, perchè a fronte della produzione di beni e servizi c’è la generazione di un reddito. Il problema può sorgere quando i redditi non sono generati dalla produzione di servizi pubblici ma dallo sfruttamento di posizioni monopolistiche. In quel caso, il contributo della spesa pubblica rischia di essere negativo. Però la crescita del Pil nell’economia italiana di oggi è per fortuna affidata all’export, più che alla spesa pubblica.

  16. Alessandro Pagliara

    Faccio una domanda semplice….se al posto di preoccuparci di debito, considerando che non esiste paese Europeo tecnicamente esente dal problema debito (tutti oltre il 50-60%)..e considerando un livello accettabile entro il 40-50%…quanto costa il fondo salva stati..gli Eurobond & C. alla Germania quando programmando un’inflazione al 4-5% per 5 – 6 anni si sistemerebbero le cose risanando PMI, stati e Imprese senza sperare in Tremonti, Zapatero e Papandreu??

  17. Anonimo

    Il divario di crescita del P.I.L. è misurato dalla mancanza di reddito delle domande effettive in funzione del tasso di indebitamento di natura pubblica. Pertanto una politica di espansione delle domande dei consumatori, come risulta essere l’aumento di spesa pubblica, sono dipendenti dal raggiungimento dei livelli di pieno impiego delle concorrenze intra-fattoriali. In altre parole il saggio di produttività dei fattori della produzione è marginale alla determinazione del prodotto netto e, quindi, del saggio di profitto residuo per le imprese di capitale causa dell’effetto della maggiore spesa pubblica.

  18. HK

    “Di regola, il Pil non è come il colesterolo: è tutto buono” Gentile Daveri, Ha certamente ragione, di solito non si guarda a chi o come lo si produce perché si fa l’assunto che sia prevalentemente buono, ma quando il PIL cattivo è il 50-60% del PIL allora le cose cambiano. Di questa settimana è la curiosa notizia trasmessa da Rai 3, che un impiegato siciliano abbia avuto pagate 51 ore di straordinario per aver spalato neve in luglio (in Sicilia). La corrispondente crescita del PIL, forse perché noi che di economia sappiamo al più fare i conti del macellaio, non ci sembra un gran risultato. Perché ci sembra che qualcuno ha dovuto pagare tasse invece di fare, ad esempio, investimenti.

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