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LE TASSE SULLA CASA AI TEMPI DI MONTI *

Reintrodurre le imposte immobiliari sulle prime case è fondamentalmente una scelta obbligata. L’Italia è infatti il paese con la più alta pressione fiscale, ma anche quello con la più bassa tassazione della proprietà immobiliare. E se il nostro problema principale è la crescita economica, dovremmo cercare di spostare il carico fiscale verso ciò che è immobile per sgravare quei lavoratori, dipendenti e autonomi, che provano a cambiare l’economia italiana. Può essere la base per un rinnovato patto fiscale che offra sostegno concreto alle parti più dinamiche del paese.

Nel mezzo di una crisi debitoria di grandi dimensioni, il nuovo governo di Mario Monti annuncerà il prossimo 5 dicembre la manovra straordinaria. Una componente importante sarà la reintroduzione delle imposte immobiliari sulle prime case e (probabilmente) l’aumento di quelle vigenti sulle “seconde” case. È fondamentalmente una scelta obbligata, dopo la riduzione del governo Prodi e l’abolizione del governo Berlusconi nel 2008 e contribuirà in maniera cruciale a reperire la cifra tra i 15 e i 20 miliardi di euro, ovvero più dell’1 per cento di Pil italiano, che il governo Monti sta cercando. Ma davvero la scelta di innalzare la tassazione sugli immobili residenziali ci rende più simili alle altre economie sviluppate? E quanto possiamo reperire e con quali costi per le famiglie?

I PRIMI E GLI ULTIMI IN EUROPA

In Italia la pressione fiscale è più alta rispetto a tutti i principali paesi europei e agli Stati Uniti d’America. Secondo i dati Ocse del 2009, il nostro paese è infatti il primatista per gettito fiscale in rapporto al reddito prodotto: più del 43 per cento del reddito nazionale finiva nelle casse statali. E questo risultato è destinato a consolidarsi.
Il
primato non è un accidente contabile, ma un fatto consolidato: se anche sottraessimo dal complesso della pressione fiscale i contributi sociali – cioè quanto versato annualmente per pagare pensioni, cassa integrazione e trattamenti di disoccupazione – scopriremmo che in Italia versiamo al settore pubblico ancora una volta di più di tutti gli altri paesi.

Al primato della pressione fiscale corrisponde inoltre, in Italia, una peculiare distribuzione del carico fiscale che grava maggiormente sui fattori di produzione. Secondo i dati Ocse del 2009, il gettito fiscale proveniente dalla tassazione degli individui e delle imprese era di poco superiore al 14 per cento del Pil italiano, una percentuale maggiore di Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Usa. Se poi consideriamo le imposte indirette sui beni e servizi (la cui componente principale è l’Iva), anch’esse implicitamente gravanti sui produttori di ricchezza, non facciamo che confermare il primato italiano. La situazione è il risultato di scelte politiche precise: abbiamo deciso di gravare più delle principali economie del mondo sui fattori responsabili della crescita economica.
Invece,
non è stato così per gli immobili. Sempre secondo i dati Ocse, l’Italia sceglie di tassare le proprietà immobiliari meno delle principali economi sviluppate, con l’eccezione della Spagna e della Germania. Infatti il gettito derivato dalla imposizione fiscale sugli immobili è poco superiore al 2 per cento del Pil, contro una media ben superiore al 3 per cento tra Francia, Gran Bretagna e Usa. Il presidente Monti ha quindi ragione quando afferma che, alzando l’imposta sugli immobili, riallineiamo il nostro sistema fiscale alle altre economie sviluppate.


I
DIVERSI SCENARI DELLA TASSAZIONE IMMOBILIARE


Quanto
possiamo però reperire con il riallineamento e con quali costi per le famiglie? Partiamo dai dati sulla nostra ricchezza immobiliare: secondo l’Agenzia del Territorio esistono in questo paese poco più di 33 milioni di abitazioni residenziali, a cui sono collegate 21 milioni di pertinenze (ad esempio cantine e parcheggi). (1) Delle 25 milioni di famiglie italiane, più di 20, cioè quattro su cinque, possiedono l’immobile dove risiedono. Per avere un’idea concreta dell’entità della tassazione potenziale, per quanto le abitazioni differiscano per ampiezza e valore, bisogna ricordare che l’Agenzia del Territorio stima che l’abitazione media italiana misuri 114 metri quadri e abbia un valore di mercato – non catastale – di 182mila euro. (2) Il totale della ricchezza immobiliare di proprietà delle famiglie è quindi stimato dalla Banca d’Italia, per il 2009, intorno ai 4.832 miliardi di euro, ovvero quasi tre volte il nostro Pil. (3)
Quanto
è possibile reperire dalla imposizione sugli immobili residenziali, quindi? Dipende sostanzialmente dai fini di gettito dell’imposta. Diciamo che il 25 per cento del gettito della manovra provenga da questa tassazione, ovvero 5 miliardi. Qualora il gettito ricercato dal Governo fosse diverso, basterà cambiare proporzionalmente i nostri risultati.

Scenario
1: Ripristino imposizione immobiliare solo sulle prime case. In questo caso, la famiglia media italiana proprietaria di casa si troverebbe a pagare una imposta immobiliare di circa 250 euro all’anno (incluse le pertinenze). L’imposta cambierebbe a seconda della grandezza dell’unità immobiliare e diventerebbe facilmente prossima ai 500 euro all’anno per l’appartamento di valore medio di un grande centro urbano italiano (intorno ai 400mila euro).

Scenario 2: Ripristino imposizione sulle prime case, con aumento imposizione sulle seconde case. In questo caso ci troveremmo a spalmare i 5 miliardi di gettito sui 33 milioni di immobili residenziali, incluse quindi le “seconde case” e gli immobili dati in locazione. In questo scenario l’imposizione media per immobile scenderebbe a circa 150 euro all’anno, in aggiunta però a quanto già pagato dagli immobili di lusso e dalle “seconde case”. Qui il dato medio è però meno significativo se, come ha annunciato il governo, l’imposta verrà applicata con forte progressività.

Scenario 3: Ripristino imposizione sulle prime case, con aumento imposizione sulle seconde case e riduzione dell’imposta sul reddito (es. Irpef). Per discutere questo scenario, coerente con il discorso alla Camera del presidente Monti, dobbiamo fare una assunzione sull’entità della detassazione del reddito. Diciamo che si tratti di 10 miliardi, cosicché l’imposta sugli immobili residenziali debba reperire 15 non 5 miliardi di gettito, per ottenere un contributo netto al bilancio dello Stato di 5 miliardi. In questo caso, dovremmo chiedere un contributo medio per unità immobiliare di 455 euro all’anno, contributo gravante sui 33 milioni di abitazioni di questo paese. Così facendo, il Governo reperirebbe risorse per offrire uno “sconto fiscale” di 434 euro a ciascuno dei 23 milioni di lavoratori italiani oppure di 370 euro a tutti i lavoratori oltreché ai 4 milioni di titolari di pensione minima. La cosa forse più sorprendente di una simile riallocazione del carico fiscale è che non ne beneficerebbero solo le famiglie in affitto o i titolari di pensione minima, ma anche la famiglia media italiana – composta di due lavoratori che possiedono la casa dove abitano – otterrebbe un beneficio economico netto.

Se il principale problema italiano si chiama crescita economica, dovremmo valutare di riallocare il nostro carico fiscale verso ciò che è immobile per sgravare chi si muove: quei lavoratori, dipendenti e autonomi, che malgrado tutto, ma nell’interesse di tutti, provano a cambiare l’economia italiana. Questa può essere la base per un rinnovato patto fiscale che offra sostegno concreto alle parti più dinamiche del paese.

 

Leggi anche:  Iup per un cambio di prospettiva nella fiscalità italiana

* Questo articolo si basa sul capitolo 4 del libro “Non ci resta che crescere”, a cura di Tommaso Nannicini, Egea, 2011.

(1) Rapporto “Gli immobili in Italia”, Agenzia del Territorio (2011), Capitolo 1. Ci sono poi oltre 4,5 milioni di immobili non residenziali che sono esclusi dalla discussione perché il governo non considera la loro tassazione.
(2)
Rapporto “Gli immobili in Italia”, Agenzia del Territorio (2011), Capitolo 3, pag. 104.
(3)
Banca d’Italia, “La ricchezza delle famiglie italiane”, 2009.

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13 commenti

  1. Maurizio

    Mi sembra fuori luogo richiamare i sistemi di tassazione americani quando noi non siamo americani. L’italiano considera la propria casa il principale componente della sua sicurezza. Non siamo un popolo di persone che nasce in uno stato, vive in un altro e muore in un altro ancora. Se tassiamo la prima casa in realtà rendiamo più incerti i nostri connazionali che non hanno più la certezza di un futuro dato che il racket Equitalia è lì che aspetta il primo momento di fragilità (perdita del posto di lavoro, malattia ecc) per iscrivere ipoteca e mettere la gente sulla strada. Non è più semplice pensare di tagliare le spese?

  2. Elettra

    Vorrei ricordare molto umilmente al Prof. Taddei che la PRIMA casa gli italiani se la sono COMPERATA con i loro soldi e con enormi sacrifici. Se fossero case popolari acquistate per 2 lire come succedeva in passato potrei essere d’accordo con lei, ma dato che non è così trovo inconcepibile dover pagare il pizzo allo Stato. Al governo non servono tecnocrati né tantomeno burocrati o politicanti tuttologi col sedere di piombo. Serve una massaia e un buon padre di famiglia che capiscono che prima di ridurre il cibo o il riscaldamento di casa ai propri figli bisogna eliminare le spese superflue e, in Italia, ci sono 245 miliardi di euro di spese superflue che si potrebbero eliminare in un solo anno! Viviamo proprio in uno schifo di paese. Dal canto mio evito di fare ferie all’estero perché mi vergogno di dichiararmi italiana.

  3. michele

    Il gettito potenziale si riduce notevolmente se si esclude la quota di proprietari di prima casa che ha un reddito ISEE pari alla pensione minima, e che difficilmente sarà in grado di pagare un’imposta pari quasi a una mensilità del proprio reddito. Chi ha un reddito inferiore a 7000 euro lordi annui, deve essere esonerato dalla tassazione, a meno di trattare i poveri come evasori e privarli anche della prima casa. 2° considerazione: la tassazione dovrebbe essere enutrale rispetto al tipo di reddito. L’immobiliare dà lavoro a un esercito di 500.000 prsone (fra agenti immobiliari, mutui, edili), è negli USA e può divenire da noi il motore della crescita economica. Perchè non una patrimoniale che tassi anche il riapsrmio, per spingere la propnesione ai consumi e la domanda interna?

  4. Giuseppe Savarino

    Solo una piccola considerazione che quasi mai viene fatta in questo genere di analisi. Spostare il carico fiscale può essere una soluzione ed è probabilmente anche la più equa. Tuttavia, l’acquisizione di un patrimonio può avere origini molto diverse e non necessariamente, (anzi normalmente) non determina un reddito immediato (a volte non determina mai un vero reddito). Cosa non trascurabile, visto che i possessori di tali immobili – in particolare la grande massa della popolazione – dovranno utilizzare il proprio reddito per pagare una (ulteriore) tassa che andrà a gravare sulla capacità di consumo. Ancora una volta penalizzando i possessori meno ricchi e incidendo pesantemente sul PIL e quindi indirettamente aumentando artificiosamente la percentuali analizzate nell’articolo. Un rimedio quindi che rischia di essere peggiore del danno.

  5. broncobilly

    Per capire se siamo tartassati ha senso esprimere le tasse sui redditi in funzione del PIL, ne ha un po’ meno fare la stessa cosa con le tasse sugli immobili. Sarebbe meglio rapportare la tassazione al valore complessivo degli immobili stessi. Ho poi letto questo articolo che sembra andare, almeno nei toni, in senso opposto. Come riconciliare i dati?

  6. carmine la mura

    L’ìidea di spostare la tassazione dal mobile all’immobile sembrerebbe interessante. Però, chiedo e vorrei una risposta, come si fa a conciliare con il principio costituzionale della capacità contributiva. Il ns. sistema fiscale è improntato a criteri di progressività in base alla capacità reddituale del contribuente. Tassare un immobile come se fosse un reddito non mi sembra una cosa equa anzi viola il principio di duplicazione della tassazione in quanto va a tassare una forma di risparmio accumulato (l’immobile) che ha già scontato per definizione una tassazione.Quindi rappresenta una duplicazione d’imposta. Possedere due immobili ad esempio non significa che io guadagno ogni anno un reddito x, costringere al pagamento di una tassa parametrata al valore è iniquo, vessatorio e noncurante dei principi costituzionali della progressività e della capacità contributiva.

  7. Vincenzo

    La nuova ICI secondo le dichiarazioni del presidente dell’ANCI non andrà ai Comuni ma allo Stato. Per cui tutte le osservazioni dell’autore dell’articolo si infrangono su questo dato di fatto. I cittadini di un Comune rischiano di pagare una tassa definita impropriamente “comunale” ma che servirà a tutto fuorché a ricevere servizi: un latrocinio in piena regola. Non è cambiato niente: cambia solo il cognome del premier.

  8. chiaberge claudio

    Mi stupisco che a fronte di tutti i piagnistei sui redditi bassi non si senta sollevare il caso dei proprietari di alloggi che affittano case a persone a basso reddito. Poichè la patrimoniale è stata introdotta sotto forma di revisione degli estimi e giustificata come adeguamento al valore delle case, possibile che non si distingua il concetto di patrimonio (un tempo tassato in successione e in compravendita e donazione con INVIM) dal reddito dell’alloggio. Sovente i redditi sono molto bassi, poichè oltre alle tasse si deve scontare la manutenzione straordinaria degli edifici. Possibile che non si veda che il sistema introdotto finisce di scaricarsi sugli utenti degli alloggi più deboli in assoluto, e cioè sugli immigrati e su famiglie prive di abitazione per mancanza di mutui e capitali per acquistarla? Questa categoria di alloggi esiste e come, non è necessariamente nota al catasto, spesso si rifà ad atteggiamenti dei proprietari di correttezza. Il risultato dell’equità è due volte negativo.

  9. chiaberge claudio

    Mi stupisco che a fronte di tutti i piagnistei sui redditi bassi non si senta sollevare il caso dei proprietari di alloggi che affittano case a persone a basso reddito. Poichè la patrimoniale è stata introdotta sotto forma di revisione degli estimi e giustificata come adeguamento al valore delle case, possibile che non si distingua il concetto di patrimonio (un tempo tassato in successione e in compravendita e donazione con INVIM) dal reddito dell’alloggio. Sovente i redditi sono molto bassi, poichè oltre alle tasse si deve scontare la manutenzione straordinaria degli edifici. Possibile che non si veda che il sistema introdotto finisce di scaricarsi sugli utenti degli alloggi più deboli in assoluto, e cioè sugli immigrati e su famiglie prive di abitazione per mancanza di mutui e capitali per acquistarla? Questa categoria di alloggi esiste e come, non è necessariamente nota al catasto, spesso si rifà ad atteggiamenti dei proprietari di correttezza. Il risultato dell’equità è due volte negativo.

  10. Luigi Sandon

    Reddito, casa, patrimonio assortito… alla fine, specialmente in Italia, si è alla ricerca di una base imponibile che sia difficilmente occultabile e che appaia (notare il termine) equa. C’è un eccesso di sentimentalismo sull’ “ente” tassato, alla fine sono tutti solo parametri per il calcolo delle imposte che vengono sempre pagate con il reddito prodotto, quello che importa a fine anno è quello che rimane in tasca. Attenzione però agli effetti discriminatori. La casa è uno dei tanti possibili beni possedibili. Spostare l’imposizione fiscale su un certo tipo di bene avvantaggia alcuni e svantaggia altri, a seconda della scelta del bene da acquistare. Perché tassare la casa, e non ad esempio i gioielli, gli orologi preziosi o le opere d’arte? È più ricco chi paga un mutuo per una casetta al mare o chi spende cifre elevate per vacanze all’estero in esclusivi resort? Tassare la casa solo perché è più difficile da spostare e quindi base imponibile più facile da individuare? Per molti versi l’imposta sul reddito è più equa perché meno discriminatoria. Altrimenti diciamo la verità: tassare la casa fa comodo perché è più facile.

  11. Giorgio

    Le tasse sulla prima casa sono veramente odiose, molti commenti hanno già rilevato come in Italia l’acquisto dell’abitazione sia stato l’obiettivo di intere generazioni di lavoratori. La Costituzione tutela questo valore. Negli Stati Uniti le tasse sulla casa sono più alte, bene, sarà un caso che milioni di persone vivono nelle roulotte o mobile homes? Delle volte mi vengono dei pensieri che non condivido, ad esempio che certe misure abbiamo uno scopo preciso che è quello di proletarizzare la popolazione italiana per avere una forza lavoro più ben disposta a lavorare per salari da fame. Un altro pensiero che non condivido è che il calo demografico italiano sia la risposta, come aveva previsto Veblen contraddicendo su questo Malthus e Marx, al peggiorare delle condizioni di lavoro, e quindi di vita, della popolazione. Così dobbiamo importare lavoratori disperati dal resto del mondo per sfruttarli, come diceva Sauvy, ma riusciamo pure a chiamare questo solidarietà. Cordiali saluti.

  12. Christian

    Leggo solo oggi l’articolo, e penso a come sarebbe stato “bello” e sicuramente più “equo” se si fosse avverato lo scenario 3: invece non solo hanno reintrodotto la tassazione sulla prima casa, ma aumenterà pure l’IRPEF (con la gabella sull’addizionale regionale) e sicuramente si aggiungerà anche quella comunale in quanto i comuni, se dovranno raggiungere l’autonomia fiscale, agiranno su quella (dato che l’IMU è fissata a livello nazionale).

  13. Lorenzo

    In Italia la casa, nello specifico la prima, non è ne una merce ne un investimento, ma un diritto. Tassare la prima casa è quindi come tassare il diritto di voto.

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