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IL NIDO FA BENE. AI GENITORI E AI FIGLI*

In Italia, si investono poche risorse pubbliche nella prima fase del ciclo di vita dei bambini, con un’offerta di nidi tra le più basse d’Europa. Insoddisfacenti sono anche i risultati ottenuti dai ragazzi italiani nelle rilevazioni internazionali su apprendimenti e competenze. C’è un legame tra i due fatti? I bambini che hanno avuto una probabilità più alta di frequentare l’asilo nido, hanno punteggi migliori. Perché socializzazione precoce, rapporto educativo con personale specializzato, stimoli offerti da nidi di qualità sono fondamentali per lo sviluppo.

L’Italia ha tre cruciali peculiarità: la bassissima partecipazione delle donne al mercato del lavoro, la bassissimo fecondità e l’uscita delle donne dal mercato alla nascita del primo figlio, causata principalmente dal sovraccarico di lavoro familiare, secondo i recenti dati Istat.

NON SI INVESTE NEI BAMBINI

Dalla concomitanza di questi fenomeni “negativi” potremmo attenderci benefici almeno per i bambini: se ci sono pochi bambini in famiglia e poche mamme lavorano fuori casa, c’è più tempo, in media, da dedicare ai figli. Il benessere e lo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini dovrebbe trarne vantaggio.
Invece, i dati europei mostrano che i ragazzi italiani non ottengono risultati migliori dei loro coetanei degli altri paesi, ma addirittura peggiori. L’Italia infatti è trentatreesima nella valutazione delle competenze linguistiche (quart’ultimo peggior punteggio) e trentottesima per abilità matematiche su 57 paesi (Pisa-Ocde 2007).
I recenti studi di Jim Heckman e dei suoi coautori hanno dimostrato come sia cruciale per lo sviluppo cognitivo individuale l’investimento (da parte delle famiglie e del sistema scolastico) nei primi anni di vita. (1) Non solo ha rendimenti più elevati rispetto a un investimento fatto più tardi, ma ha anche costi minori .
In Italia, l’investimento pubblico nei bambini nella prima fase del ciclo di vita è limitato sia nel confronto europeo che nel confronto con altre classi di età. La spesa media per i bambini in questa fascia di età è del 25 per cento inferiore a quella media dei paesi Ocde ed è la metà della spesa media destinata alle classi di età 6-11 e 12-16. L’offerta di servizi, cioè nidi pubblici, è tra le più basse d’Europa: solo il 12 per cento dei bambini sotto i tre anni ha un posto al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e dei paesi nordici.
Esiste un legame tra lo scarso investimento nei bambini piccoli e i deludenti risultati dei nostri figli nelle classifiche internazionali? In Italia, la mancanza di dati longitudinali non permette di seguire i bambini, i loro genitori e i percorsi educativi nel tempo e di metterli in relazione con i risultati cognitivi e comportamentali di pre-adolescenti e adolescenti. (2)

IL NIDO E I SUCCESSIVI RISULTATI SCOLASTICI

Con i limitati dati disponibili tuttavia è possibile verificare la relazione tra frequenza dell’asilo nido e risultati scolastici successivi nella scuola elementare. Un primo data set che lo consente è l’Invalsi. L’analisi della relazione tra i punteggi al test Invalsi e la disponibilità di posti negli asili nidi a livello provinciale, (controllando per altri fattori di contesto che potrebbero influenzare gli esiti cognitivi dei bambini e l’offerta educativa) mostra una relazione positiva. (3) Per esempio, la correlazione dei voti nella seconda elementare in italiano e l’offerta di child care è mostrata nella figura 1.

Figura 1. Rapporto tra numero di posti nido/bambini 0-2 e voti in italiano

Fonte: Brilli, Del Boca Pronzato 2011

I bambini che hanno avuto una probabilità più alta di frequentare l’asilo nido, hanno punteggi migliori in italiano. L’associazione positiva è particolarmente forte se i bambini provengono da una famiglia più svantaggiata, ciò può rivelare un importante nesso con la qualità degli input del child care. Risultati del tutto analoghi si riscontrano dall’analisi degli esiti scolastici (voti alla fine delle medie, delle superiori e dell’università) dei giovani tra i 18 e i 30 anni riportati nell’indagine Isfol-Plus. (4)
Altri dati rilevanti sono quelli che emergono dalle indagini condotte dal dipartimento di Psicologia dell’università di Torino, che raccolgono informazioni sui bambini che hanno frequentato la scuola elementare (dalla I alla IV classe) nell’anno scolastico 2008-09 in alcune scuole delle province di Cuneo, Asti e Torino. Gli esiti misurati, questa volta, sono di natura non-cognitiva (capacità di ascolto, capacità di concentrarsi nello studio, capacità di stabilire relazioni amicali, creatività nel gioco e capacità di cooperazione con i compagni). I bambini che sono andati al nido hanno in media migliori capacità non-cognitive degli altri. Anche se l’effetto del lavoro della madre su queste capacità è in alcuni casi negativo, è comunque molto piccolo e quindi più che compensato dall’effetto positivo dell’aver frequentato il nido.

Tabella 1

Fonte: Del Boca Pasqua 2010

I dati anche se limitati suggeriscono risposte preliminari, ma importanti, che confermano l’esperienza di altri paesi (Danimarca, Gran Bretagna): la socializzazione precoce, il rapporto educativo con personale specializzato, gli stimoli offerti da nidi di qualità (quali sono, ancora, i nidi pubblici italiani) sono fondamentali per lo sviluppo dei bambini.
Si tratta di un’istituzione che compie oggi quarant’anni. La prima legge nazionale sulla costituzione di asili nido risale infatti al 1971 (legge n. 1044 del 6 dicembre 1971) e prevedeva un “Piano quinquennale per l’istituzione di asili comunali con il concorso dello stato”.
Il gettito della nuova Imu, anche se non lasciato interamente ai comuni (che ricevono il gettito delle prime case e metà del gettito relativo agli altri immobili, mentre il resto va allo Stato) potrebbe ridare una importante leva di fiscalità che permetterebbe di mantenere e incrementare questo importante strumento di conciliazione per i genitori e di investimento prescolare e della sua qualità.

(*) Questo articolo è pubblicato anche su www.ingenere.it

(1) Carneiro, P., and Heckman, J. J. (2003), “Human Capital Policy”, in J. J. Heckman, A. B. Krueger, and B. M. Friedman (Eds.), Inequality in America: What Role for Human Capital Policies?, Cambridge, MA: MIT Press, 77-239.
(2) Negli Usa, per esempio, il Panel Study of Income Dynamics (PSID) e Child Development Supplement (CDS), in Gran Bretagna il Millenium Cohort Survey (MSC).
(3) Brilli, Y., Del Boca D., Pronzato C. “Exploring the Role of Child Care in Italy on Mothers and Children” Collegio Carlo Alberto Notebook 2011.
(4) Del Boca, D. and Pasqua, S. (2010), “Esiti Scolastici e Comportamentali, Famiglia e Servizi per l’Infanzia”, Fga Working Paper No. 36/2010, Fondazione Giovanni Agnelli.

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  1. pepe carvalho

    Dal grafico presentato, la correlazione c’è ma non di tipo lineare. Suggerirei di analizzare i dati utilizzando anche la correlazione non-parametrica di Spearman, che non assume la linearità tra le due variabili. cordiali saluti PC

  2. Andrea Zhok

    Che gli asili nido siano un’istituzione utile per consentire un maggiore apporto lavorativo delle donne è fuor di dubbio, come è indubbio che in Italia, rispetto a molti partner europei, l’offerta di posti nido è molto carente. Se però veniamo alla correlazione statistica che viene usata a supporto di questa tesi, francamente questa mi pare avventurosa (come spesso mere correlazioni sono): una lettura alternativa degli stessi dati mi dice che le aree che hanno maggiore disponibilità di posti nido sono aree più ricche ed organizzate e le famiglie che mandano i bimbi al nido sono parimenti in media appartenenti a ceti con redditi e formazione superiore (famiglie culturalmente ben disposte al lavoro femminile ed in cui le donne hanno avuto una formazione a ciò atta). Entrambe le componenti, relative alle aree e alle famiglie, incidono plausibilmente sul ruolo attribuito all’educazione dei bambini, e spiegano il differenziale INVALSI. In sostanza, la tesi mi pare giusta, il modo di provarla no.

  3. Dante Petruccioli

    Il tema mi sembra affrontato con superficialità. Non sempre i nidi sono concepiti come il primo stage del percorso di istruzione, ma piuttosto come dei meri posteggi per bambini. Altro che socializzazione. La qualità dei servizi va poi analizzata in termini relativi. Il figlio di due docenti universitari accumula più capitale umano se sta in casa, quello di due immigrati irregolari che non sanno l’italiano invece no.

  4. maiden

    La statistica è una bella scienza perché a seconda di quale tesi si vuole sostenere si cercano le correlazioni preferite. Come hanno detto già altri commenti, dato che i nidi sono più diffusi nelle zone ricche del paese e dato che hanno un costo molto elevato (è quasi impossibile pagare meno di 300-400 euro al mese) è probabile che siano frequentati dalla parte relativamente più ricca della popolazione. Che a sua volta è quella a più alto tasso di scolarizzazione e quindi ciò spiegherebbe perché i figli ottengano risultati migliori. Quanto all’influenza del nido in quanto tale mi sembra risibile: ai miei tempi (primi anni settanta) quasi nessuno andava al nido eppure sia il sottoscritto che tanti dei miei amici si sono serenamente diplomati e poi laureati col massimo dei voti, in una scuola ed università oggettivamente più difficili di quelle attuali…

  5. Chiara Fabbri

    Dalla mia personale esperienza posso dire che il nido fa bene ai genitori e ai figli se è un nido di qualità, innanzitutto delle insegnanti. Fa bene ai genitori perchè in una società come la nostra, nella quale i bambini sono un lusso e si arriva molto tardi a farli, spesso i nuclei familiari sono privi di supporti familiari anche idonei a trasferire l’esperienza dell’allevamento di un figlio e il confronto con personale specializzato e con altri genitori aiuta innanzitutto i genitori a vivere in maniera più serena e corretta le normali problematiche evolutive del bambino. Questo è vero però solo se il personale addetto e le condizioni generali del servizio sono adeguate, altrimenti vale il ragionamento contrario: un nido di cattiva qualità può danneggiare gravemente il bambino e anche la stessa propensione al lavoro dei genitori, che sicuramente da un’esperienza negativa potranno rivedere drasticamente le loro valutazioni di costi/benefici tra l’uso del nido e l’astensione dal lavoro di uno dei due.

  6. Saverio Soldi

    Fittando una legge di potenza si ottengono risultati migliori di un fitting lineare (anche se non di tanto, vista la dispersione del campione). Tale legge porterebbe a una saturazione sui voti alti al crescere della spesa. Interpretando questo risultato verrebbe fuori che vale la pena spendere per gli asili nido, ma non così tanto quanto l’Emilia Romagna che spende quattro volte più dei molisani per avere le stesse prestazioni scolastiche. Per difendere gli asili nido ci sono argomenti migliori di quelli utilizzati nell’articolo.

  7. angela solimando

    Sulla base della qualità in generale dei nidi e in particolare della preparazione delle persone che li promuovono,a scopo puramente imprenditoriale, date le forti esigenze sociali, e delle persone che vi lavorano, in gran parte senza una formazione adeguata, e sulla base anche della mia esperienza personale, non penso che sia così fondata la tesi sostenuta nell’articolo. Studi di altro tipo (v. per tutti, John Bowlby, Teoria dell’attacamento) dimostrano, al contrario che, un bambino seguito da un’unica figura di riferimento, nella fattispecie la madre che si dedica a lui con attenzione e amore, è nella maggior parte dei casi, un adulto più sicuro, consapevole e dotato di maggiore spirito critico.

  8. Il nido fa bene. ?

    Non credo che si possa valutare la capacità di apprendimento di un bambino che ha frequentato il nido oppure è stato in casa con un’unica figura di riferimento. Il mio primogenito ha circa 32 anni, ha frequentato il nido anche se a quei tempi ce n’erano pochi e funzionavano malissimo….noi che lavoravamo e che avevamo la casa di proprietà non avevamo accesso al nido comunale che sicuramente funzionava meglio ma dovevamo rivolgerci a strutture private che avevano come unico interesse il profitto…non certo l’educazione dei bambini! Lasciavo mio figlio “parcheggiato” per tutta la giornata così…ho dovuto scegliere se continuare a lavorare o se dedicarmi alla famiglia…ho scelto la seconda. Dopo qualche anno ho avuto un altro figlio che è sempre stato con la mamma fino all’età della scuola materna. Hanno studiato e si sono laureati tutti e due, il secondogenito però ha sempre ottenuto risultati migliori a scuola.

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