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LA RISPOSTA AL COMMENTO

Tommaso di Tanno riassume bene le mie obiezioni (vedi “Così la svizzera mantiene il segreto“) all’ipotesi di un accordo con la Svizzera, e in buona parte le condivide (vedi “Il merito di un accordo“). È uno “scudo fiscale” ma – dice Tommaso – il suo prezzo è ben più alto (fino al 34%) di quello degli scudi di Tremonti (minimo 2,5%, massimo 7%, più le recenti imposte di bollo). Quindi l’Italia incasserebbe di più.
Ma la Svizzera accetterebbe di prelevare per nostro conto il 34%, ben sapendo che anche recentemente ci siamo accontentati di molto meno? Io penso di no. Per una legge basta la maggioranza parlamentare, per un accordo internazionale bisogna essere favorevoli in due. Se pure si arrivasse a concordare il 34% con la Svizzera, i contribuenti infedeli accetteranno di pagare così tanto? Io penso di no: chi non ha voluto fare lo scudo al 2,5%, al 5% o al 7% perché mai dovrebbe accettare di farlo pagando il 34%?
Tommaso dice che, forse, le banche svizzere non faranno le furbe e incoraggeranno i clienti a pagare. Può darsi. Pare però che in occasione degli scudi italiani molte banche elvetiche remuneravano sottobanco i consulenti italiani che riuscivano a convincere il cliente a non far nulla.  Inoltre, il gettito dell’euroritenuta proveniente dalla Svizzera si è dimostrato ridicolmente basso perché le banche svizzere consigliavano ai propri clienti di intestare i conti ad una società off-shore, aggirando così l’obbligo fiscale. L’Unione Europea sta ancora cercando di convincere la Svizzera a chiudere questo evidente buco. Io mi fido poco non perché le banche svizzere siano malvagie ma perché in tutto il mondo business is business. D’altronde, non si sono fidate neppure Germania e Gran Bretagna, che hanno chiesto alla Svizzera un versamento minimo (di 2 e 0,5 miliardi). Noi non otterremmo nulla di più.
Ciò detto, riconosco che la possibilità di inviare 999 richieste motivate di informazioni bancarie in due anni sarebbe un risultato importante. Così come varrebbe l’una tantum che la Svizzera potrebbe graziosamente riconoscerci.
All’Italia però costerebbe l’accettazione forse irreversibile del principio dell’intangibilità – salvo eccezioni a numero chiuso – del segreto bancario svizzero. Avremo poi un altro scudo fiscale, con gettito una tantum trascurabile e un costo incalcolabile in termini di perdita di credibilità dell’azione di governo nel recupero della fedeltà dichiarativa.
Tutto sommato, rimango persuaso che un accordo così non ci conviene affatto.

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UNA DOTE DI CURA PER I NON AUTOSUFFICIENTI

  1. Marco Silvio Jäggi

    Apprezzo le rispettabili argomentazioni di Manzitti, di cui è acclarato il valore riconosciuto di “far dottrina”, ma mi permetto, umilmente, di sottoporre alla vostra attenzione alcune considerazioni. 1) non tiene il discorso della motivazione economica – business is business – per un semplice ragionamento “economico” che tenga in considerazione il valore in commissioni generato dalla gestione di un centinaio di miliardi di Euro frutto di irregolarità fiscali italiane ed il danno derivante da questa gestione per le banche svizzere, la piazza finanziaria e la Svizzera economica. Se esaminiamo il Pil svizzero scopriamo che “solo” l’11% viene generato da banche, assicuazioni e intermediari finanziari. Questa Pil iene generato anche dalle commissioni generate da 5’800 miliardi di depositi presso gli istituti elvetici, di cui la parte derivante dalle irregolarità fiscali riguarda solo alcuni punti percentuali. 2) Nemmeno per il rinnovo della Convenzione l’Italia si siede al tavolo della trattativa fiscale con la Svizzera. Questo malgrado la Svizzera sia disponibile ad applicare lo standard OCSE sullo scambio amministrativo di informazioni, accordo che la “euro-rispettosa” Francia ha già firmato. 3) il trattato “Rubik” ha, nei confronti della Convenzione un vantaggio notevole, l’amministrazione fiscale svizzera verificherà le procedure ed i conti dichiarati dalle banche svizzere, questo sulla base di un trattato molto dettagliato, che non ha i “buchi” di quello denominato “euroritenuta”. 4) forse nelle pieghe del trattato firmato con UK e Germania sta la reticenza del Governo italiano anche solo ad iniziare trattative in merito. Una delle condizioni accettate da tedeschi ed inglesi è l’apertura dei rispettivi mercati agli intermediari finanziari svizzeri. Forse che questa liberalizzazione piace poco agli ambienti della “finanza bianca” presenti nell’attuale governo Monti? Marco Silvio Jäggi Centro Studi Jean-Jacques Rousseau – Lugano

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