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La proposta di Francesco Giubileo, esposta nell’articolo “La via inglese al collocamento” è sicuramente seducente, ma non pare possa considerarsi risolutiva, se l’intento è incrementare la capacità dei Centri per l’impiego pubblici di intermediare domanda e offerta di lavoro.
L’idea parte da un’osservazione: il volume del coinvolgimento dei Centri per l’impiego nella ricerca di personale in Italia è pari al 3,7 per cento, contro il 13 per cento della Germania e il 7,7 per cento della Gran Bretagna. Il rimedio consisterebbe nella rinuncia da parte dei servizi pubblici per il lavoro italiani alla funzione di intermediazione, per appaltarla (esternalizzazione) alle agenzie private, assicurando loro un “bonus” per ogni collocazione effettuata, secondo parametri qualitativi e quantitativi.

QUESTIONE DI ORGANIZZAZIONE

I punti critici della proposta sono più d’uno. Intanto, l’analisi dalla quale prende le mosse appare incompleta. Per stabilire le ragioni del gap tra l’intermediazione effettuata dai Centri per l’impiego italiani e quelli degli altri paesi, occorre un’analisi comparata del potenziale e delle risorse investite:

Rimanendo fermi al confronto con i paesi presi in considerazione da Giubileo, si nota che in Germania il personale dei Cpi pubblici ammonta a 74mila dipendenti; in Gran Bretagna è di 67mila unità; in Italia si arriva a malapena a 10mila. Le spese per politiche del lavoro sul Pil in Germania sono il 3 per cento, in Gran Bretagna lo 0,6 per cento, in Italia l’1,3 per cento. I disoccupati per addetto in Germania 48, in Gran Bretagna 24, in Italia 150. Ma, l’Italia risulta perdente sotto quasi ogni profilo nel rapporto anche con gli altri Paesi.
Visto l’abisso organizzativo e di risorse che intercorre rispetto alla Germania e alla Gran Bretagna, non c’è da stupirsi se la capacità di intermediazione dei servizi pubblici per il lavoro italiani sia tre volte e mezzo inferiore a quella dei servizi tedeschi e quasi due volte meno di quella dei servizi britannici.

NO ALL’ESTERNALIZZAZIONE

Il rimedio dell’esternalizzazione della funzione di intermediazione appare dunque inappagante. Occorrerebbe esattamente l’opposto: puntare al potenziamento delle risorse e dei servizi pubblici, gli unici in grado di offrire un servizio veramente universale, non segmentato per categorie di lavoratori.
Non convince, poi, nemmeno l’idea del “bonus” alle agenzie appaltatrici del servizio di intermediazione. Occorre ricordare che le agenzie di ricerca, selezione e anche somministrazione di lavoro ottengono già un ricavo dalle imprese per i servizi che rendono. Non si vede quale possa essere l’utilità di una spesa pubblica che andrebbe  nella sostanza a garantire un extra-profitto alle agenzie. Soprattutto, in presenza di un sistema di collaborazione pubblico-privato disciplinato partitamente dall’articolo 13 della “legge Biagi” (Dlgs 276/2003). Il sistema si basa sulla condivisione tra Centri per l’impiego e agenzie autorizzate alla somministrazione delle banche dati dei lavoratori e dei datori, per elaborare progetti di accompagnamento al lavoro dei disoccupati, percettori o meno di ammortizzatori sociali. Le agenzie di somministrazione possono somministrare i lavoratori a costi ridotti, avvalendosi degli sgravi previsti per i lavoratori sostenuti da sussidi o della possibilità di abbattere il costo del lavoro per i lavoratori privi di sussidi.
Questo sistema punta su una stretta collaborazione pubblico-privato, a valere su finanziamenti interamente privati.
La sinergia tra servizi per il lavoro pubblico e soggetti privati deve passare da due strade obbligate. La prima è un necessario e non più rinviabile potenziamento dei servizi pubblici, specie se si vuole davvero realizzare un sistema analogo a quello della flexsecurity. La seconda è considerare la sussidiarietà non come rinuncia del pubblico a svolgere servizi previsti dagli articoli 1 e 4 della Costituzione, ma aggiungendo a questi, quelli offerti dai privati.

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