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Qualche domanda sullo stress test

Delle due, l’una. Se l’esame della Bce è stato fatto correttamente, le banche italiane escono male dal confronto internazionale. Se invece il metodo utilizzato è discutibile, allora la vigilanza unica sta partendo con il piede sbagliato. Il dibattito è aperto. La Banca d’Italia cosa dice?
I RISULTATI DELL’ESERCIZIO
L’esito dello stress test, comunicato il 26 ottobre, solleva alcuni interrogativi sulle banche italiane e sulla metodologia dell’esercizio fatto dalla Banca centrale europea.
Il primo quesito riguarda in realtà la revisione degli attivi bancari (Asset Quality Review – Aqr), che ha preceduto lo stress test. La Aqr ha comportato un esame approfondito degli attivi, per verificarne la corretta valutazione in bilancio. Ebbene, le quindici banche italiane sotto esame hanno complessivamente riportato la maggiore correzione di valore nel confronto internazionale: 12 miliardi, doppia rispetto a quella delle banche tedesche e francesi, il quadruplo di quella delle banche spagnole (e molto superiore anche in percentuale dell’attivo ponderato per il rischio). Questo risultato può generare sospetti sulla contabilità delle nostre banche. La Banca d’Italia ha sorvolato su questo aspetto nel suo comunicato ufficiale di domenica, ma sarebbe bene che fornisse chiarimenti.
Venendo allo stress test, la Bce ha riassunto il risultato aggregato per la zona euro dicendo che la riduzione di capitale (Cet1 per gli addetti ai lavori) derivante dallo scenario avverso sarebbe di quattro punti percentuali per la banca mediana del campione. Anche qui stiamo peggio degli altri grandi paesi: per le nostre banche la riduzione sarebbe di cinque punti, contro i quattro della Germania, i tre della Francia e i due della Spagna. Si può obiettare che lo scenario avverso è stato costruito in modo penalizzante per le banche italiane, in relazione sia alla recessione ipotizzata sia alla valutazione dei titoli di Stato in portafoglio. È però vero che la recessione italiana sta effettivamente prolungandosi per il terzo anno consecutivo; ed è anche vero che l’esposizione al rischio sovrano delle nostre banche è cresciuta drasticamente negli ultimi anni.
Inoltre, l’Italia è ben rappresentata sia nella Bce (incluso il Supervisory Board) sia nella Eba (European Banking Authority), che ha condotto lo stress test in collaborazione con la Bce. Perché allora è stato tollerato un trattamento che ha favorito le banche di altri paesi? Forse la risposta va cercata nelle pieghe degli accordi di Basilea, che forniscono le regole per il calcolo dei requisiti patrimoniali utilizzati nella Aqr e nello stress test. Ma allora le autorità italiane dovrebbero sollecitare un dibattito su quelle regole, se è vero che penalizzano banche con un business più tradizionale e focalizzato sull’attività di banca commerciale piuttosto che sull’investment banking. Questo non tanto per “proteggere” le banche italiane, ma per dare maggiore credibilità alla regolamentazione stessa e agli stress test. Che credibilità ha uno stress test che promuove a pieni voti tutte le banche tedesche, francesi, spagnole, inglesi, anche quelle notoriamente caratterizzate da una leva molto elevata (ad esempio, Deutsche Bank)?
LE DEBOLEZZE DEL SISTEMA ITALIANO
I deficit patrimoniali evidenziati dalla Bce in seguito allo stress test ammontano a 25 miliardi per la zona euro, distribuiti su 25 banche, con i dati al 31 dicembre 2013. Di queste, nove sono italiane, per un deficit complessivo di 9,7 miliardi, contro lo zero (o quasi) di Germania, Francia e Spagna. Grazie agli aumenti di capitale effettuati quest’anno, rimangono secondo la Bce tredici banche con deficit patrimoniali, di cui quattro italiane. Tenendo conto delle ulteriori misure prese quest’anno (non considerate dalla Bce), alla fine restano solo due banche italiane che devono mettersi in regola, per un deficit complessivo di poco meno di 3 miliardi. È vero che a fronte di questo deficit vi sono eccedenze patrimoniali (per le altre tredici banche italiane complessivamente) per oltre 25 miliardi. Ed è anche vero che le banche italiane hanno avuto aiuti di Stato molto ridotti, al contrario delle banche di altri paesi (Germania e Spagna per primi) che hanno avuto aiuti massicci.
Tuttavia sembra che, rispetto alle loro concorrenti, le banche italiane si siano mosse in ritardo, rimediando solo nel corso di quest’anno ad alcune situazioni di debolezza patrimoniale. Le banche più in ritardo sono quelle caratterizzate da una governance più debole: le due banche che dovranno prendere ulteriori misure di rafforzamento patrimoniale, Mps e Carige, si sono in passato distinte per gravi problemi di controllo societario, che pongono pesanti interrogativi sul ruolo delle Fondazioni bancarie (che il Fmi aveva già posto in una analisi precedente). Speriamo che siano problemi in fase di rapida soluzione, anche grazie ai ricambi di gruppo dirigente avvenuti di recente.
In conclusione, se la metodologia adottata nella valutazione degli attivi (Aqr) e nello stress test è corretta, il sistema bancario italiano esce piuttosto male dall’esercizio, mostrando alcuni punti critici che non sono emersi per i principali sistemi concorrenti. Se invece la metodologia è sbagliata, perché penalizza alcuni paesi (segnatamente il nostro) a favore di altri, allora è la Vigilanza unica che ne esce male: il Single Supervisory Mechanism (Ssm) sta partendo con il piede sbagliato. Questo è un punto su cui bisognerà fare chiarezza, anche da parte della Banca d’Italia: limitarsi a richiamare la solidità complessiva del sistema bancario italiano, che peraltro nessuno mette in dubbio, non è sufficiente.

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  1. Gabriella Chiesa

    le banche italiane detengono titoli del debito pubblico italiano (sono “investors of last resort), questo crea qualche problemino nello stress test — problemini che altri non hanno (come, Germania, Austria,.Francia,… — ve lo ricordate il Sarko trade) .

  2. Marcello Esposito

    Per capire cosa è accaduto e cosa accadrà con la consegna delle chiavi del sistema bancario italiano a Francoforte, basta leggere l’intervista di Repubblica oggi ad Angeloni. “Nel codice genetico del supervisore europeo c’è l’obiettivo di rimuovere il circolo vizioso tra banche e debito sovrano …oggi sappiamo che i titoli di Stato non sono più senza rischio… mi aspetterei che durante il 2015 … anche in Europa ci sia consapevolezza crescente di questa realtà”. Messaggio ricevuto. Forte e chiaro.

    • overthecounter

      Bene, allora basta che la BCE garantisca con certezza i debiti pubblici nazionali come prestatore di ultima istanza. Se non lo fa allora vuol dire che per noi restare ancora in questo sistema non è un buon affare.

      • Maurizio Cocucci

        Il prestatore di ultima istanza è altra cosa, ovvero non garantisce i debiti di uno Stato bensì il sistema finanziario allorquando si dovesse trovare in crisi di liquidità (e non in condizione di insolvenza).

  3. marcello

    faccio Notare che Deixa è una delle banche di sistema, ovvero TBTF e che è stata bocciata. Anche AXA (Francia) è stata bocciata. Quindi se Atene piange,, Sparta non ride. Circa la validità dei test basati sugli scenari, ci sarebbe da riempire pagine e pagine, pure esercizi di statica comparata, inutili e dannosi. Il problema della sottocapitalizzazione delle banche è storico e vorrei ricordare che la ponderazione della rischiosità dell’attivo, più che arbitraria, cancella quella che è la realtà dei fatti: le banche tedesche e francesi hanno livelli di leva da far tremare i polsi (tra 30 e 40) a cui le banche italaine non sono mai giunte. Il problema è molto più generale e riguarda la scellerata scelta di adotatre il modello della Banca Universale, che storicamente e ciclicamente ha solo prodotto disastri come anche il nostro paese ha sperimentato tanto da promulgare le famose leggi bancarie. ma si sa il tempo cancella al memoria e tutti si sono piegati alle richieste tedesche abbondonando non solo il doppio circuito, ma anche l’idea del gruppo polifunzionale. Qual è la sorpresa?

  4. Carmelo Catalano

    Articolo fin troppo ecumenico.
    Quanto emerso dall’AQR (Asset quality review) pone un problema di ben altro rilievo rispetto alla struttura dell’esercizio della BCE e dei criteri di Basilea.
    I 4,8 miliardi di svalutazione dell’attivo di MPS, riferiti al bilancio al 31.12.2013, sono un’enormità.
    E pongono più di un interrogativo sull’attendibilità del bilancio di MPS ma, soprattutto, sull’affidabilità dell’operato della Vigilanza esercitata dalla Banca d’Italia.

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