Il risultato poco soddisfacente dalle banche italiane negli stress test dipende in particolare dal basso livello del Cet1 ratio. Un valore più alto dell’indicatore avrebbe permesso di sostenere il credito per diversi miliardi, evitando così la caduta del prodotto registrata negli ultimi tre anni.
IL PESO DEL CET1 RATIO NEGLI STRESS TEST
L’analisi approfondita sui bilanci bancari, condotta da Bce ed Eba, ha individuato ventitré banche dell’area euro con deficit di capitale (sono venticinque includendo anche gli istituti europei che non fanno parte dell’Unione monetaria). Tenendo conto degli aumenti di capitale effettuati tra gennaio e settembre 2014, le banche che non hanno superato i test scendono a tredici, con un’esigenza complessiva di capitale aggiuntivo pari a poco meno di 10 miliardi di euro. Nel complesso, quindi, i test sembrano delineare un quadro abbastanza rassicurante per il sistema bancario europeo (forse troppo se si tiene conto delle considerazioni fatte da Giuseppe Montesi). Le banche italiane, in questo contesto sufficientemente rasserenante, sono quelle che hanno ricevuto probabilmente la pagella peggiore: sono ben nove i gruppi bancari che, secondo i dati del 2013, hanno fallito i test. Se però si considerano i successivi aumenti di capitale, ne rimangono solo due in uno stato di difficoltà più seria, ovvero Monte dei Paschi di Siena e Carige, con una carenza di capitale che sfiora i 3 miliardi di euro, pari a circa un terzo del totale rilevato per l’intera area euro. L’esito non favorevole dell’esame Bce-Eba dipende fondamentalmente dal basso livello del common equity tier 1 (Cet1) ratio, ovvero del rapporto tra il capitale di migliore qualità (azioni e utili non distribuiti) e il totale dell’attivo ponderato per il rischio (risk weighted asset, Rwa). Questo ratio, che costituisce l’indicatore di riferimento per Basilea 3, non lascia molti alibi alle banche italiane, che si sono posizionate all’ultimo posto tra i paesi dell’area euro (grafico 1).
Grafico 1 – Cet1 ratio post Aqr e incluse le variazioni sul capitale intervenute fino a settembre 2014
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Fonte: Rapporto Banche CER 2/2014.
Va detto che il pessimo risultato in termini di Cet1 ratio dipende anche da alcuni aspetti della normativa di vigilanza internazionale, che permette ad esempio delle eccezioni, su base nazionale (cosiddette national discretion), alle modalità attraverso cui calcolare il numeratore e il denominatore dell’indicatore. Inoltre, le regole di Basilea impongono una ponderazione per il rischio più elevata per l’attività creditizia rispetto a quella connessa alla finanza. Basilea 3 continua infatti nel solco di Basilea 1 e 2, privilegiando la finanza a discapito del credito: va ricordato, infatti, che l’accordo di Basilea 1 nacque alla fine degli anni Ottanta dalla ratifica di un negoziato che coinvolse esclusivamente Stati Uniti e Regno Unito, paesi fortemente sbilanciati verso i mercati finanziari.
UNA GRANDEZZA VIRTUALE
Un’evidenza di quanto l’Rwa sia rilevante nel determinare gli indicatori di patrimonializzazione è fornita da un altro indice, il leverage ratio, ottenuto dal rapporto tra il Cet1 e il totale attivo da bilancio, non pesato quindi per il rischio attribuito alle diverse forme di attività bancaria.
In questo caso, l’industria bancaria italiana appare molto meglio posizionata nel confronto internazionale. Il leverage ratio italiano, al lordo degli aumenti di capitale e al netto degli aggiustamenti richiesti dall’Aqr (asset quality review), è pari al 5,4 per cento, non molto distante dalla media europea (5,7 per cento). Sulla base di questo indice, l’Italia fa meglio di Francia (5,3 per cento), Spagna (5,1 per cento) e Germania (4,6 per cento). In definitiva, le banche francesi, spagnole e tedesche risultano meglio patrimonializzate solo nel caso in cui il capitale viene messo a confronto con l’attivo ponderato per il rischio, cioè quella grandezza virtuale ottenuta per lo più mediante l’utilizzo di modelli di autovalutazione del rischio (modelli Irb). Utilizzando una metafora tratta dalle scienze biologiche, potremmo assimilare l’Rwa a un esperimento genetico volto a creare in vitro una nuova forma di vita ottenuta semplicemente mescolando il Dna di centinaia di esseri viventi. Da non esperto di genetica, è facile prevedere che il risultato sarebbe ben peggiore di quello ottenuto dal dottor Frankenstein.
Pur consapevoli della debolezza dell’impianto delle regole di vigilanza internazionali, che permettono di fatto agli istituti di credito di giocare con i “geni” delle attività bancarie, le banche italiane non possono evitare di attenersi a questi dettami. Se non lo fanno adeguatamente, consentendo quindi al Cet1 ratio di attestarsi su livelli non di molto superiori ai minimi richiesti, a pagarne le conseguenze è soprattutto l’economia reale. Dal confronto internazionale sul legame tra dotazione di capitale e crescita degli impieghi alle imprese, si osserva che a un basso livello di Cet1 ratio si associa una minor dinamica dei finanziamenti alle imprese (grafico 2). Se l’industria bancaria avesse quindi avviato gli aumenti di capitale solo nell’arco del 2014, che nel complesso hanno aumentato il Cet1 ratio medio di 1,5 punti percentuali, ci sarebbe stato più spazio per sostenere la crescita del credito all’economia. Anche la crescita del Pil sarebbe potuta essere ben più robusta nel caso in cui il sistema bancario non avesse tardato nel dotarsi di più capitale
Grafico 2 – Relazione tra patrimonio e crescita impieghi alle imprese (Dati relativi al 2014)
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Note: il Cet1 ratio è il valore medio delle banche analizzate nell’ambito del comprehensive assessment dalla Bce e dall’Eba. È al lordo degli aumenti di capitali registrati fino a settembre 2014 e al netto degli aggiustamenti richiesti dall’Aqr. La crescita media degli impieghi alle imprese è pari al valore medio del tasso di crescita su base annua degli impieghi alle società non finanziarie corretto per effetto delle cartolarizzazioni calcolato nel periodo gennaio-ottobre 2014.
Fonte: elaborazioni dell’autore su dati Bce.
 

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