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La politica fiscale quando la stagnazione è secolare

Se davvero la crescita economica nei paesi avanzati è scesa in modo duraturo, siamo tutti più poveri di quanto pensassimo. Non rimane che ridurre la spesa pubblica per evitare gli errori del passato. Come possiamo imparare dai casi storici, in particolare da quello del Giappone.
La possibilità che le economie avanzate siano finite in una cosiddetta “stagnazione secolare,” come sostiene l’ex rettore di Harvard Larry Summers, continua a essere tema di dibattito. L’enfasi viene posta sulle politiche economiche volte a evitare la stagnazione, invocando spesso la necessità di uno stimolo sotto forma di maggior spesa pubblica.
DI QUI A DIECI-VENT’ANNI
Ma se la crescita economica è destinata a rimanere bassa per almeno un altro decennio, dobbiamo ormai accettare che siamo meno ricchi di quanto pensassimo. Ci toccherà dunque ridurre i servizi forniti dallo stato, o pagare più tasse.
All’atto pratico non siamo in grado di stabilire se la bassa crescita economica odierna sia dovuta alla mancanza di domanda oppure a fattori tecnologici o demografici (invecchiamento della popolazione), o intoppi burocratici. Col passare degli anni, queste distinzioni diventano irrilevanti: un calo negli investimenti privati, inizialmente dovuto alla mancanza di domanda, porta ad avere macchinari obsoleti e minor crescita della produttività. Ciò che conta è se la crescita economica nei prossimi dieci o vent’anni sarà minore di quanto non ci si aspettasse qualche anno fa, quando si stabilivano i piani di politica fiscale per oggi. Gli economisti che s’azzardano a fare previsioni per la crescita economica durante il prossimo decennio le hanno già ridotte rispetto a quelle pre-crisi.
È comunque chiara la necessità di migliorare la composizione della spesa pubblica al fine di aumentare il potenziale di crescita dell’economia. Si tratta di aumentare gli investimenti pubblici e la spesa per l’istruzione, attuare riforme della spesa sanitaria e pensionistica, e condurre expenditure review mettendone in pratica le conclusioni. Chi propone l’ipotesi della stagnazione secolare ha ragione a porre enfasi sulla necessità di aumentare gli investimenti pubblici, soprattutto per la manutenzione. Ma per quanto riguarda la spesa pubblica nel suo complesso, le economie avanzate devono ridurne il rapporto rispetto al Pil, riconoscendo che non siamo più ricchi quanto pensassimo.
COSA INSEGNA LA STORIA
L’eccesso di ottimismo può avere un impatto enorme sugli indicatori fiscali. Si consideri una nazione con un rapporto debito/Pil del 100 per cento, con politiche fiscali tali da mantenere il rapporto stabile nel medio periodo. Se la crescita economica scendesse di un punto percentuale rispetto alle aspettative, il rapporto debito/Pil salirebbe al 140 per cento dopo dieci anni e ben oltre il 200 per cento dopo 20 anni. Chi guida la politica economica spesso crede di trovarsi di fronte a una recessione temporanea, non rendendosi conto che si tratta invece di un calo permanente del tasso di crescita economica. Dall’analisi dei casi storici di un centinaio di nazioni per più di un secolo, abbiamo documentato come le nazioni non riducano sufficientemente il deficit quando il tasso di crescita economica di lungo periodo cala in modo inatteso. Si pensi alla crisi del debito degli anni Ottanta in America Latina, alla lunga crisi del debito nelle economie in via di sviluppo risolta soltanto negli anni Novanta, e al rapido aumento del rapporto debito/Pil nelle economie avanzate. Il grafico mostra il caso particolarmente evidente del Giappone, con il calo della crescita successivo alla crisi petrolifera a metà anni Settanta e il crollo del mercato immobiliare e azionario all’inizio dei Novanta.
La recessione a seguito della crisi iniziata nel 2008 ha portato al più rapido aumento del debito pubblico in rapporto al Pil nelle economie avanzate dopo la seconda guerra mondiale -in media dal 78 per cento nel 2007 al 114 per cento nel 2014. La riduzione di debiti di tale entità diventa obiettivo ancora più lontano a causa della bassa crescita economica che si prospetta nel prossimo decennio.
Non c’è che tirare una conclusione piuttosto desolata: per il gruppo delle nazioni avanzate le prospettive di crescita economica durante il prossimo decennio sono meno brillanti di quanto si pensasse prima della crisi. La riduzione della spesa pubblica a livelli coerenti con una crescita economica più modesta sarà una delle sfide che caratterizzeranno il prossimo decennio.
Mauro_jap

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Piu’ istruiti e meno corrotti

  1. Rainbow

    Sui problemi della crescita,della sostenibilita’dei debiti pubblici,del welfare,della transizione demografica e della disuguaglianza c’e’l’interessante lavoro di thomas Piketty:”il Capitale nel XXI secolo”che analizza tutte queste questioni. Il lavoro e le analisi di Piketty sostengono proprio quello che viene esposto in questo articolo,ossia che stiamo entrando in una fase di bassa crescita dovuta sopratutto alla cosidetta “transizione demografica”, ossia al calo di natalita’in tutte le principali economie occidentali,ed anche in Cina ( politica del figlio unico,che seppur recentemente rinnegata,comportera’effetti di invecchiamento della popolazione nei prossimi 20 anni). Piketty mette in relazione la bassa crescita con la disuguaglianza dei redditi e dei patrimoni,dimostrando con una imponente mole di dati,che la bassa crescita accentuera’le disuguaglianze dei redditi e dei patrimoni,gia’ora enormi,per cui e’necessario rivedere le politiche pubbliche dei sistemi di tassazione. In particolare,partendo dal fatto che le disuguaglianze dei patrimoni sono ancora più forti di quelle dei redditi ( il 10% della popolazione possiede il 60/70% della ricchezza) lui propone una tassazione progressiva sui patrimoni, e un aumento delle aliquote marginali sui redditi,invertendo la tendenza alla riduzione della tassazione dei redditi da capitali in atto ormai in tutte le principali economie mondiali. In questo modo si ridurrebbero le disuguaglianze e si finanzierebbe un nuovo welfare.

  2. Finalmente un economista che affronta in termini problematici l’argomento della crescita, che da molti altri è stato trasformato in un dogma; e come tutti i dogmi non ha serie basi razionali. Aggiungerei che la imponente crescita che si è avuta dalla seconda metà del ‘900 al 2008 nei paesi occidentali e Giappone, si è servita di un debito pubblico e privato che, secondo un altro dogma, può aumentare all’infinito, ma ben difficilmente sarà così; più probabile che andremo incontro ad aggiustamenti periodici causati dal debito (i). Secondo me è anche il momento di abbandonare vecchi parametri (PIL) per misurare la ricchezza, e aumentare l’importanza di misuratori della qualità, economica e non, del sistema economico sociale.

  3. DDPP

    Mi sembra difficile pensare alla crescita economica a fronte di uno stato divoratore di ricchezza.
    In quasi tutte le nazioni europee il costo della pubblica amministrazione allargata è abbondantemente superiore al 50%. Se si volesse effettuare un’analisi fiscale senza ideologismi sarebbe facile vedere le distorsioni che sistemi fiscali così affamati comportano. Poveri tartassati, ricchi tartassati, altri poveri graziati e forse benedetti. Altri ricchi ancora più ricchi. In ogni caso credo che la pressione dello stato “belva fiscale” ci impoverisca tutti, sia di denaro sia di libertà-
    Che fare allora?

  4. bob

    .. sei dati riportati sono riferiti alle economie Occidentali, per una esatta valutazione non possiamo non considerare l’ entrata nell’economia mondiale di altro soggetti ( Cina – Brasile, India etc), inoltre visto che sono previsioni riferite a prossimi decenni non possiamo non considerare che un altro soggetto entrerà sulla scena: l ‘ Africa!
    Quindi viene da chiedersi quale sarà il modello di riferimento per l’economia, per il sociale nei prossimi venti anni?
    Sarà l’ Europa dello stato sociale e della qualità della vita o gli USA del sistema “usa e getta” o la Cina e l’ India della gestione “all’ingrosso” di immense masse di persone?
    Una rivoluzione epocale, come non mai, è stata Internet la cui affermazione ha creato, per me, le tensioni terroristiche di questi periodi perché strumento supremo di libertà che incute terrore al dittatore di turno e ai Paesi con deficit elevato di democrazia
    La risposta alle “primavere arabe” la cui voce ha viaggiato velocissima sulla rete, ha scatenato da chi detiene il potere la ritorsione terroristica.
    Quindi non si può valutare un discorso economico prescindendo da queste considerazioni, altrimenti parliamo di economia del “ salumiere” che è ben altra cosa ed è circoscritta in luoghi e tempi

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